Nel buio dei buchi neri
Dove la gravità incontra la meccanica quantistica
di Gianguido Dall’Agata

I buchi neri sono tra gli oggetti più affascinanti ed estremi dell’universo, capaci di divorare e distruggere intere stelle. La forza di gravità dovuta alla loro massa enormemente concentrata fa sì che per un qualsiasi oggetto che si muova verso di essi esista un punto di non-ritorno: una superficie immaginaria chiamata orizzonte degli eventi, superata la quale nulla può più tornare indietro, nemmeno la luce (vd. fig. a). Da questo deriva il loro nome e per questo motivo, non potendoli osservare direttamente, ci siamo convinti della loro esistenza solo osservando gli effetti della loro presenza nello spazio circostante. Una convinzione oggi tanto radicata da far ritenere che al centro di ogni galassia si trovi un buco nero. I buchi neri però non sono solo affascinanti oggetti astrofisici. Fin dalla loro scoperta sono stati un laboratorio teorico eccezionale per la comprensione della forza di gravità e, allo stesso tempo, una vera e propria sfida alle idee su cui si fonda la descrizione delle leggi fondamentali della fisica. Uno dei principi cardine della teoria che è alla base della fisica moderna, la meccanica quantistica, è l’assunzione che un qualunque sistema in evoluzione conservi l’informazione contenuta in esso, che siano cioè conservati all’interno del sistema tutti i dati necessari a identificare il suo stato iniziale (si dice in questo caso che l’evoluzione del sistema è unitaria). Nel processo di creazione di un buco nero tutta l’informazione contenuta nella materia che collassa viene confinata al suo interno. In altri termini, visto dall’esterno, un buco nero formato ad esempio a partire da oggetti macroscopici, come una o più stelle, è indistinguibile da uno che è stato “assemblato” mettendo insieme oggetti più piccoli, come palle da biliardo o singoli atomi. In questi casi, cioè, l’informazione su quali tra questi differenti “stati iniziali” abbia dato origine al buco nero è nascosta all’osservatore che si trova fuori dall’orizzonte degli eventi. Questo non sarebbe un problema, se si usa la teoria classica di Einstein per descrivere il buco nero: esso vive in eterno e si può immaginare che questa informazione sia preservata, ma non più accessibile a chi guarda dall’esterno. La situazione cambia nel momento in cui si considerano gli effetti quantistici. Come mostrato da Stephen Hawking, infatti, ogni buco nero evapora, ossia emette radiazione termica in modo continuo, in corrispondenza dell’orizzonte degli eventi. Dato che questo tipo di radiazione è estremamente “povera” di informazione, essendo caratterizzata da un solo parametro (la temperatura), la massa/energia che fuoriesce dal buco nero attraverso questo processo non trasporta alcuna informazione sullo stato iniziale. Poiché l’esito finale del processo di evaporazione è la scomparsa del buco nero, con lui scompare anche tutta l’informazione, in palese contraddizione con i fondamenti della meccanica quantistica. Nel cercare una soluzione a questo problema sono nate molte nuove idee affascinanti, ci sono stati anche forti scontri tra gli scienziati e si sa di una famosa scommessa tra Hawking, convinto che i buchi neri violassero l’unitarietà, e Preskill, sostenitore della superiorità dei principi della meccanica quantistica.

a.
Per capire cosa succede alla materia nelle vicinanze di un buco nero possiamo ricorrere a una semplice analogia: pensiamo al corso di un fiume, vicino a una grande cascata. Un pesce potrà risalire il fiume controcorrente e tornare verso acque più tranquille soltanto fino al momento in cui la velocità dell’acqua che si avvicina alle rapide diventa uguale a quella del pesce. A quel punto, per quanto si sforzi, il pesce sarà trascinato nella cascata senza accorgersene (nel buco nero avrebbe oltrepassato l’orizzonte degli eventi). A sinistra è raffigurato un buco nero classico, nel cui centro la densità tende all’infinito. Ciò è rappresentato dalla punta (la cosiddetta singolarità). A destra la raffigurazione di un buco nero secondo la teoria delle stringhe.

Una possibile soluzione a queste contraddizioni è offerta dalla teoria candidata a fornire una corretta descrizione della gravità quantistica: la teoria delle stringhe. In base ad essa, i quanti fondamentali non sono particelle elementari puntiformi, ma oggetti estesi noti come stringhe. Per la teoria delle stringhe, un buco nero è un oggetto molto diverso da quello che conosciamo dalla teoria classica di Einstein: l’interno è completamente alterato e la sua nuova struttura, più complessa ma più regolare (vd. fig. a), permette all’informazione di sfuggire all’esterno, se pure dopo tempi estremamente lunghi, risolvendo la contraddizione tra l’evaporazione e la conservazione di informazione. In particolare, lo studio dei buchi neri all’interno della teoria delle stringhe ha portato all’affermazione di un principio, chiamato principio olografico, secondo il quale la gravità sarebbe la manifestazione di una teoria quantistica che vive in uno spazio con un numero minore di dimensioni, proprio come succede in un ologramma, dove un’immagine apparentemente tridimensionale è realizzata tramite una struttura bidimensionale. Se il principio olografico è corretto, essendo le teorie quantistiche unitarie – esse conservano cioè l’informazione – qualunque processo fisico, inclusa la formazione e l’evaporazione dei buchi neri, deve essere unitario. Proprio a seguito dell’affermarsi di queste idee Hawking ha finalmente ammesso la propria sconfitta nella scommessa con Preskill. Questo però non significa saper tutto su questi oggetti affascinanti, anzi, il loro studio è una continua fonte di sorprese, di importanti lezioni e di accesi dibattiti. Ancora oggi si discute sulla vera natura delle modifiche della loro struttura interna necessarie per risolvere il paradosso dell’informazione. Infatti, un ipotetico osservatore che cada in un buco nero non si accorge del momento in cui ha passato l’orizzonte degli eventi e rimane intrappolato al suo interno (vd. fig. b). D’altra parte, le modifiche introdotte per spiegare come l’informazione viene riemessa dal buco nero sembrano implicare l’esistenza di un muro di materia e radiazione che si accumula all’orizzonte e che, data l’elevatissima temperatura che ne consegue, non può essere compatibile con la sopravvivenza dell’avventato visitatore. Dunque chi cade nel buco nero sa di sopravvivere, mentre chi lo osserva da fuori ne constatata senza ombra di dubbio la fine. Un altro paradosso la cui soluzione ci farà capire meglio questi affascinanti oggetti e la vera natura della forza di gravità.

b.
La presenza della radiazione di Hawking crea situazioni paradossali. Chi cade in un buco nero non si accorge del momento in cui ha passato l’orizzonte degli eventi e rimane intrappolato al suo interno. Chi osserva da lontano, invece, vede un muro di radiazione termica, conseguente all’evaporazione che si accumula all’orizzonte e che, data l’elevatissima temperatura che ne consegue, non può essere compatibile con la sopravvivenza. Ecco il paradosso: chi cade nel buco nero sa di sopravvivere, mentre chi lo osserva da fuori ne constata senza ombra di dubbio la fine.

 

Biografia
Gianguido Dall’Agata è professore di fisica teorica presso l’Università di Padova. Ha lavorato all’Università von Humboldt di Berlino, al Cern e all’École Normale Supérieure di Parigi. Per le sue ricerche sulle teorie di supergravità e di superstringa ha vinto il premio Sigrav nel 2008.


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