Un tè con Peter Higgs
Conversazioni con il padre del bosone di Higgs.
di Vittorio Del Duca

a.
Peter Higgs ritratto in occasione della sua visita al Cern, nella primavera del 2008.

Higgs è il nome di una particella, di un modello e di un meccanismo matematico, ma è soprattutto il nome del protagonista di un’affascinante avventura concettuale che ha portato a sintetizzare con coerenza e bellezza matematica le scoperte di numerosi e importanti fisici della seconda metà del ’900. Il meccanismo di Higgs è l’intuizione finale, la soluzione elegante e l’invito alla scoperta della prova sperimentale, il bosone di Higgs. Vittorio Del Duca ha conosciuto Peter Higgs quando, già fisico teorico, lavorava a Edimburgo prima di trasferirsi ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn, il cuore della ricerca sulle particelle in Italia. Il loro rapporto di amicizia è stato lo spunto per una conversazione informale a casa di amici comuni sulla genesi di un’idea che dalle premesse alle ultime conseguenze anima la comunità da quasi 50 anni. Oggi, con l’avvio di Lhc, quella stessa idea sta offrendo per la prima volta ai fisici di tutto il mondo l’occasione di completare il quadro rappresentativo delle particelle elementari e delle loro interazioni. È riportato in questa pagina solo un estratto del lungo dialogo; nella versione integrale dell’intervista, è ripercorso con cura di dettagli storici e scientifici il ricco racconto di un’intuizione.
[Francesca Scianitti]


V. Del Duca: La storia della sua fama ha inizio negli anni ’60. A noi oggi sono noti i presupposti di certe intuizioni, ma per lei e per i fisici della sua generazione che cosa era già chiaro e che cosa, invece, era completamente avvolto dall’oscurità?


P. Higgs: Il mio coinvolgimento nella fisica delle particelle ebbe inizio con l’assegnazione della docenza a Edimburgo, nel 1960. Già prima di assumere quell’incarico, tuttavia, ebbi l’occasione di entrare in contatto con alcuni membri della comunità dei fisici delle particelle, partecipando alla Scuola Estiva Scozzese al college di Newbattle Abbey, fuori Edimburgo. E nella cripta del college, di notte, un gruppo di studenti era solito discutere di fisica: erano Cabibbo, Glashow, Veltman e Derek Robinson. Da parte mia, non potei partecipare alle loro discussioni, perché in quanto membro del comitato organizzativo mi fu assegnato il compito di acquistare e custodire il vino per la cena e dovevo alzarmi presto! Anni dopo, quando conobbi Cabibbo personalmente, mi confidò che le conversazioni notturne alla Scuola Estiva erano state lubrificate da parecchio vino trafugato dal mio stoccaggio davvero poco sicuro. Ed ecco come cominciò.

b.
Peter Higgs durante la conversazione con Vittorio Del Duca a Edimburgo, nel dicembre del 2008.
 

V.DD.: Come iniziò a dedicarsi agli argomenti che la portarono a concepire il Meccanismo di Higgs?

 

P.H.: Iniziata la docenza a Edimburgo, quello stesso anno, ebbi l’occasione di leggere l’articolo di Yoichiro Nambu (premio Nobel per la fisica 2008 con Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa) e Giovanni Jona Lasinio (sulla rottura spontanea della simmetria chirale): l’idea che vi era suggerita mi affascinò a tal punto che decisi di dedicarmi a questo campo di ricerca. In seguito, Jeffrey Goldstone mostrò che quando una simmetria è rotta spontaneamente in una teoria relativistica, si ottengono particelle con massa nulla, i bosoni di Goldstone. Lo stesso Goldstone, Abdus Salam e Steven Weinberg pubblicarono la dimostrazione di questo teorema su Physical Review nel 1962. Ciò turbò molte persone e anche me, perché se dalla rottura spontanea ci si aspettano particelle senza spin prive di massa, queste dovrebbero essere semplici da produrre e da rivelare. Tuttavia, non se ne aveva alcuna evidenza sperimentale.
Il mio primo breve articolo del 1964 stabiliva un modo per svincolarsi dal teorema di Goldstone, combinando la rottura spontanea di simmetria con una teoria di gauge. Così, l’articolo breve arrivò sulla scrivania dell’editor di Physics Letters al Cern e ne fu accettata la pubblicazione.
L’avevo scritto molto rapidamente: c’erano infatti segni di poca cura nella scrittura.
Realizzai quindi che il passo successivo
doveva essere osservare cosa accade nell’esempio più semplice possibile, ossia in elettrodinamica quantistica: la settimana successiva scrissi il secondo articolo ed ecco ciò che prese il nome di Modello di Higgs.

V.DD.: Come fu preso questo risultato dalla comunità dei fisici delle particelle?

 

P.H.: L’articolo, intanto, fu rifiutato... (ride)
Inviai anche questo secondo articolo all’editor di Physics Letters al Cern, il quale, per qualche ragione che non capisco ancora oggi, aveva accettato il primo. Beh, fu enigmatico per me che nel primo articolo accettasse la semplice rappresentazione matematica del fatto che c’è un modo per evitare il teorema di Goldstone e che rifiutasse invece un articolo nel quale davo un esempio e mostravo come questo accadeva effettivamente. E l’esempio era molto più interessante, dal punto di vista della fisica. Ricevetti un cortese rifiuto e l’invito a inviare l’articolo a un’altra rivista. Estesi l’articolo, ma non lo rimandai indietro; conclusi che non avevano capito di cosa stavo parlando e decisi di mandarlo dall’altra parte dell’Atlantico. La versione estesa fu così pubblicata su Physical Review Letters. Quando accettò l’articolo, il referee mi chiese di commentare il lavoro dei fisici belgi Robert Brout e François Englert. Il giorno in cui il mio articolo arrivò all’ufficio editoriale di Physical Review Letters, infatti, era lo stesso giorno in cui pubblicarono l’articolo di Englert e Brout sulla generazione di massa di particelle a spin unitario: era sostanzialmente la stessa cosa, ottenuta però in un altro modo.
Vent’anni dopo incontrai Nambu per la prima volta; mi disse che era stato lui ad accettare il mio articolo per Physical Review Letters. Penso che fosse leggermente seccato di non averci pensato lui stesso, ma pare che uno dei suoi figli fosse stato molto malato e questo l’aveva fatto rimanere un po’ indietro. Diversamente sono convinto che avrebbe trovato la stessa cosa piuttosto rapidamente.

c.
Peter Higgs in una rappresentazione del pittore londinese Ken Currie, del 2008. Il quadro è ospitato alla School of Informatics dell’Università di Edimburgo, in onore di Christopher Longuet-Higgins, chimico teorico e scienziato cognitivista, uno dei padri degli studi sull’intelligenza artificiale, del quale Higgs fu studente al King’s College di Londra.

V.DD.: Ok, che cosa accade dopo? Ad eccezione del referee di Physics Letters, come fu accettato dalla comunità nel suo insieme?

 

P.H.: Una delle prime reazioni fu una lettera di Walter Gilbert (biochimico e fisico statunitense, premio Nobel per la chimica nel 1980), nella quale si diceva che mi sbagliavo. Opponeva alcune obiezioni tecniche alle quali feci fatica a rispondere subito, perché avevo fatto due cose che non si conciliavano ancora esattamente. Ebbi effettivamente da considerare le conseguenze del mio modello nella teoria quantistica e non ci fu nulla da fare fino all’anno seguente, quando presi un anno sabbatico in North Carolina. E questo ci porta all’estate del 1965. Dopo avere lavorato sui dettagli del modello, scrissi l’articolo esteso che fu pubblicato su Physical Review nel 1966; la fase successiva, in quanto a reazioni, venne la primavera seguente.
Il 15 e il 16 marzo del 1966 furono praticamente i giorni più faticosi della mia vita: tenni un seminario all’Istituto a Princeton il 15, ma ero stato precedentemente in contatto con Stanley Deser per i miei interessi sulla gravità e lui, sapendo che stavo andando dall’altra parte dell’Atlantico, mi propose un talk a Boston. Così, il seminario del giorno seguente fu ad Harvard.

d.
Peter Higgs ripreso davanti al rivelatore Cms durante la visita a Lhc nel 2008.

V.DD.: Come un pianista in grand tour.

 

P.H.: Sì, l’esperienza di Princeton mi intimidì inizialmente. Ma nonostante Klaus Hepp, un teorico di campo assiomatico, mi avesse avvisato che stavo per andare a dire delle fesserie, sopravvissi al seminario e mi fu detto, più tardi, che se non altro avevo convinto il fisico matematico Arthur Wightman che ciò che avevo fatto era corretto e che le teorie di gauge erano un’eccezione agli assiomi di questo teorema (di Golstone).

V.DD.: Ok, ma da parte delle persone che erano più coinvolte con la teoria di gauge, con la teoria della particelle, ci fu qualche reazione in quegli anni?

 

P.H.: Avvenne il giorno dopo, ad Harvard. Il seminario di Harvard fu più una conversazione che un monologo. Alla fine del seminario, Sheldon Lee Glashow (Nobel per la fisica 1979 con Steven Weinberg e Abdus Salam per la formulazione della teoria elettrodebole) disse: “Hai ottenuto un bel modello, Peter”. Ma non si accorse che la cosa aveva a che fare con il suo lavoro! (ride) Non lo disse, ma chiaramente pensava che il mio risultato fosse giusto una curiosità. Credo che il problema fosse che quel seminario divenne a tal punto un dialogo tra me e i membri dell’auditorio che non ebbi il tempo di dire cosa avevo fatto con questo modello. Li convinsi del fatto che non stavo dicendo fesserie, ma non che ciò che dicevo aveva delle conseguenze pratiche.

e.
Simulazione del decadimento del bosone di Higgs.

V.DD.: Quando la sua idea cominciò ad essere percepita come un’idea d’avanguardia all’interno della comunità? Quando divenne famoso?

 

P.H.: Divenni famoso nel 1972, dopo la conferenza al Fermilab. Uno dei miei colleghi, Ken Peach, tornò da quella conferenza e mi disse: “Peter, sei famoso!”
Ma c’erano già state alcune conseguenze del mio lavoro. Non so se Salam lesse mai l’articolo, ma certamente venne a sapere ciò che avevo fatto. Weinberg ne venne certamente a conoscenza, perché nel suo articolo del 1967, che era essenzialmente la teoria elettrodebole, usava il mio lavoro. Ebbi l’impressione in seguito che, avendo perso il mio seminario, avesse appreso qualcosa da Bruno Zumino che era stato al seminario di Harvard: quella era la prima volta che incontravo Zumino e certamente sapeva molto del mio lavoro e lo capiva.

V.DD.: Divenne quindi una lunga attesa…
Nessuno sapeva quale massa dovesse avere il bosone di Higgs e non era chiaro quando e dove sarebbe stato scoperto…

 

P.H.: Sì. Penso che l’articolo cruciale, in grado di catturare l’interesse dei fisici sperimentali, sia stato un articolo di Ellis, Gaillard e Nanopoulos del 1976, Fenomenologia del bosone di Higgs. Fu scritto all’epoca in cui fu costruito il collisore Sps (Super Proton Synchroton, il collisore protone-antiprotone che iniziò a operare al Cern nel 1976). Così gli sperimentali furono messi in guardia: sapevano che avrebbero potuto trovare qualcosa nei loro dati.

V.DD.: So che è stato al Cern la scorsa primavera. Che impressione le ha fatto sapere che hanno costruito una macchina che costa parecchi miliardi di qualsiasi valuta si voglia usare, euro, dollari o sterline, per cercare qualcosa che è saltato fuori dalla sua mente?

 

P.H.: Beh, sono soddisfatto, certo. Tuttavia, temo che non sia stata una buona tattica assumere il bosone di Higgs come punto di forza di Lhc. Penso che non sia stato saggio enfatizzare così tanto quell’aspetto ai tempi del Lep (l’acceleratore Large Electron Positron collider, operativo al Cern dal 1989 al 2000), anche perché i fisici sapevano che quello che il Lep stava per fare era di fatto molto di più. Applicherei la stessa critica alla propaganda associata a Lhc. Se non trovano il bosone di Higgs, chi finanzierà più qualsiasi altra cosa?

V.DD.: Se posso indagare un po’ più nel personale, questo circo generato intorno al suo nome la ha influenzata personalmente, ha avuto effetti di qualche tipo sulla sua vita personale, su di lei come persona?

 

P.H.: Dal lato scientifico mi ha dato una tale esagerata reputazione che quasi ha soffocato la mia successiva attività di ricerca. Ci fu un gap, potrei dire, durante il quale non feci poi molto. Quando tornai a essere più attivo, mi interessai alla supersimmetria, ma a quel punto ero davvero troppo vecchio per fare cose nuove: c’era già un tale background di nuova matematica coinvolta nella supersimmetria, che non avrei potuto assorbirlo tanto rapidamente quanto le persone che stavano ottenendo il loro PhD e che pubblicavano gli articoli. Così alla fine lasciai perdere, all’inizio degli anni ’80.

V.DD.: Non riusciva più a concentrarsi?

 

P.H.: No, era come se fossi diventato troppo ambizioso. Se mi fossi accontentato di lavorare su cose più semplici avrei potuto produrre ancora, ma avendo ottenuto un successo pretendevo di dedicarmi agli sviluppi più promettenti, come la supersimmetria, la supergravità e così via; ma non ero più in grado di apprendere tanto rapidamente.
Un secondo aspetto mi influenzò probabilmente in un altro senso e certamente alla fine contribuì alla rottura del mio matrimonio: penso che a quel tempo mia moglie non comprendesse a fondo i miei successi e quanto fosse importante per me ciò che facevo, così quando cominciai a dare la priorità a ciò che riguardava la mia carriera, le conferenze e via dicendo, più che agli interessi per la mia famiglia, il matrimonio crollò. Questo ebbe come effetto immediato un periodo davvero poco produttivo.

e.
Peter Higgs durante la visita al rivelatore Cms nel 2008.

V.DD.: Così, deve avere vissuto sentimenti contrastanti a causa della sua fama, una benedizione e una maledizione allo stesso tempo...

 

P.H.: Sì. Ebbe naturalmente un impatto tremendo sulla mia autostima: ora ero un fisico teorico! Un impatto esagerato, direi… (ride) Prima del successo mi consideravo solo un outsider, perché il mio lavoro di tesi non era affatto sulla fisica delle particelle.

V.DD.: Lei sa che Leon Max Lederman (premio Nobel per la fisica nel 1988 e autore di un libro sul bosone di Higgs) ebbe l’ardire scherzoso di chiamare il bosone di Higgs, nel titolo del suo libro, The goddamn particle, la dannata particella.

 

P.H.: … e l’editore non glielo permise.

V.DD.: … per ragioni ovvie, giusto? Così lo chiamò The God particle, la particella di Dio. Naturalmente, dato che era solo uno scherzo, non dovremmo dare alla cosa troppa importanza, ma la infastidì in qualche modo?

 

P.H.: Sì. Anche se non sono mai stato credente, pensai che quel titolo avrebbe potuto offendere inutilmente. Una volta però passai la notte in un piccolo Bed & Breakfast nel nord della Scozia, prima di prendere un traghetto per le Isole Orcadi. C’era una buona collezione di libri in quel posto, e cosa vi trovai se non “La particella di Dio”?!

Intervista integrale
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Biografia

Vittorio Del Duca è ricercatore Infn ai laboratori Nazionali di Frascati, dove si occupa di fisica teorica nel campo delle particelle elementari. Ha svolto attività di ricerca allo Stanford Linear Accelerator Center in California e al Deutsches Elektronen-Synchrotron di Amburgo e ha insegnato all’università di Edimburgo.


Link

http://www.ph.ed.ac.uk/peter-higgs - versione integrale dell'intervista in italiano
http://www.lnf.infn.it/theory/delduca
http://cdswep.cern.ch/record/1019670
http://physicsworld.com/cws/article/print/19750
http://wlap.physics.lsa.umich.edu/umich/mctp/conf/2001/sto2001/higgs

 

 

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