Per fare l’albero…
Breve storia della materia
di Wanda Alberico
La parola “materia” è un termine del vocabolario comune, apparentemente intuitivo, ma in realtà ha molti significati a seconda del contesto. Di solito con “materia” si intende materiale inorganico, inerte: rocce, terra, liquidi, gas. L’etimologia della parola si richiama al latino materia, da mater ovvero “madre”, ma anche dal legno, quale materiale primigenio.
Qui vogliamo ripercorrere il cammino della scienza, per arrivare alla nostra attuale comprensione della materia, dall’infinitamente piccolo alle straordinarie dimensioni dell’universo intero.
Oggi, ovviamente, le spiegazioni degli antichi riguardo al concetto di materia non ci soddisfano più. I quattro elementi del filosofo greco Aristotele (terra, acqua, aria, fuoco) ci fanno sorridere, sebbene geniali per l’epoca. Tuttavia, già nel V secolo a.C. Democrito di Abdera suggerì che tutta la materia fosse composta da “atomi” (entità indivisibili, come dice il nome). Si trattava di una speculazione filosofica, ma ancora oggi possiamo dire che la materia è fatta di atomi, sia pure molto diversi da quelli di Democrito e, soprattutto, divisibili… La teoria atomistica, successivamente apprezzata da Epicuro e riportata nel De Rerum Natura di Lucrezio (vd. [as] lampi, ndr), poté giungere fino a Isaac Newton, che descrive gli atomi come costituenti di tutti i corpi e interagenti tra loro, producendo diverse reazioni chimiche. Newton fu anche fautore della teoria corpuscolare della luce, poi avversata dalla teoria ondulatoria finché, agli inizi del ’900, le due “nature” vennero riconciliate dalla meccanica quantistica.
La teoria atomistica riceve il suo riconoscimento scientifico dalla chimica del ’700 e soprattutto dell’800. John Dalton redige una tavola dei pesi atomici, confermata da William Prout, che li identifica come multipli del peso atomico dell’idrogeno. Nel 1870 vede la luce il sistema periodico degli elementi di Mendeleev (vd. [as] Tavola periodica degli elementi, ndr), che rafforza la teoria atomica, soprattutto dopo aver dimostrato il suo potere predittivo sull’esistenza di elementi chimici ancora sconosciuti. Siamo dunque al capolinea della descrizione atomica della materia? Nemmeno per sogno: 26 anni dopo Joseph John Thomson scopre che l’atomo è divisibile, eccome! In particolare, che al suo interno ci sono gli elettroni, particelle subatomiche con carica elettrica negativa e massa piccolissima (meno dello 0,06% della massa atomica). L’elettrone viene subito ritenuto un costituente elementare (cioè non ulteriormente divisibile) della materia. La scoperta di Thomson chiudeva un ventennio di studi iniziati da William Crookes, che aveva effettuato esperimenti su quelli che vennero chiamati “raggi catodici” e solo in seguito identificati come fasci di elettroni.
L’atomo dunque è divisibile e al suo interno sono presenti cariche negative (gli elettroni) e positive (i protoni) che ne garantiscono la neutralità elettrica.
Tubo per raggi catodici, ideato da Joseph Thomson presso il Laboratorio Cavendish all’Università di Cambridge.
Nell’atomo quindi abbiamo un nucleo centrale, in cui risiede la quasi totalità della massa atomica, e un certo numero di elettroni, pari al numero atomico dell’elemento (ovvero il numero di protoni nel nucleo). Gli atomi e le molecole della materia ordinaria sono composti da questi tre costituenti: protoni, neutroni ed elettroni.
Grande soddisfazione per i risultati raggiunti, ma il cammino della ricerca non si ferma qui (ancora oggi potremmo dire che non si ferma mai). Vengono proposti vari modelli dell’atomo, sembra prevalere il modello planetario di Bohr-Rutherford, ma troppe discrepanze con le misure sperimentali inducono i fisici a scavare ancora nei segreti della Natura.
Val la pena di ricordare qui (vd. anche Scontri creativi, ndr) che per esplorare il mondo subatomico i ricercatori dovettero inventare nuovi strumenti, tipicamente ispirati a quello usato da Rutherford per scoprire il nucleo atomico: gli acceleratori di particelle elettricamente cariche (per esempio elettroni e protoni), accelerate e guidate da campi elettrici e magnetici e quindi inviate sul bersaglio che si vuole studiare. L’analisi di quanto è successo nell’urto ci permette di scoprire la struttura del bersaglio nonché la natura di nuove particelle prodotte. Questa tecnica geniale ha richiesto enormi progressi di tecnologia e materiali, ma ancora oggi è alla base dei grandi esperimenti come quelli del CERN di Ginevra.
Ernest Rutherford davanti alle apparecchiature del suo laboratorio presso la Victoria University di Manchester.
Fin dal 1900, con Max Planck, vengono proposti i quanti di luce, prima solo nello scambio di energia con la materia, poi, con il lavoro di Albert Einstein sull’effetto fotoelettrico, come vere e proprie particelle: nasce la “dualità onda-corpuscolo”, oggi più nota come dualità onda-particella (la luce è pur sempre un’onda elettromagnetica), che verrà presto estesa anche alle particelle note, come gli elettroni.
Le leggi della fisica diventano sempre meno intuitive: il principio di indeterminazione di Heisenberg, il principio di esclusione di Pauli, la relatività ristretta e successivamente la relatività generale ci offrono descrizioni della materia a volte difficili anche solo da immaginare, ma piene del fascino dell’ignoto di un territorio tutto da esplorare, pieno di sorprese e di novità.
Abbiamo da tempo abbandonato l’idea che gli atomi siano indivisibili, ora sappiamo che anche protoni e neutroni sono oggetti composti da tre quark, considerati i costituenti elementari degli “adroni” (cioè quelle particelle, come ad esempio il protone e il neutrone, che interagiscono con la forza forte), ipotesi che ha permesso di inglobare in un unico schema le numerose particelle via via prodotte e identificate in laboratorio. Inoltre, si sono identificati i cosiddetti “messaggeri” delle interazioni che intervengono tra le particelle. Il modello standard (Elementari, Watson!, ndr) ci offre un panorama di ben 17 costituenti elementari, ivi incluso l’ultimo arrivato, il bosone di Higgs, lungamente cercato dai ricercatori.
Non solo, ma grazie all’ipotesi di Paul Dirac (vd. Uguali e contrari, ndr), siamo stati capaci di identificare e produrre particelle di antimateria. Se un elettrone incontra la sua antiparticella (il positrone), si annichilano in un fiotto di energia elettromagnetica, la più elegante dimostrazione dell’equivalenza massa-energia concepita da Einstein. Viceversa, dall’energia primordiale del Big Bang, sono state create miliardi e miliardi di coppie particella-antiparticella: ma allora perché il mondo che conosciamo sembra contenere solo materia? Un’ipotesi interessante è la cosiddetta asimmetria materia/antimateria con una prevalenza della prima, ancorché in percentuale minuscola, ma sufficiente a spiegare un universo che contiene solo materia.
Altrettanto degne di nota sono particelle instabili, che non entrano nella composizione della materia ordinaria ma sono prodotte negli acceleratori o dalle interazioni dei raggi cosmici; una delle prime a essere state individuate nel 1947 è la particella lambda (Λ), il cui insolito comportamento le valse l’appellativo di particella “strana”, perché mostrava di avere una vita media più lunga di quel che si pensasse. Questa sua proprietà fu denominata “stranezza” (strangeness, in inglese) e portò successivamente all’ipotesi dell’esistenza di un nuovo quark, il quark strange. Altri stati esotici della materia o del suo stato primordiale (un plasma caldissimo di quark e gluoni) sono sotto indagine, in attesa di conferme (vd. More quarks for Muster Mark! e Sic transit materia mundi ndr).
Fin qui si è focalizzata l’attenzione sul mondo dell’infinitamente piccolo, ma come gli antichi astronomi è doveroso chiederci di cosa siano composte le grandi strutture che vediamo nel cielo, talvolta utilizzando potenti telescopi, talvolta utilizzando sonde specializzate, inviate anche a grandi distanze dalla Terra. Anche in questo caso la ricerca ci ha fornito molte informazioni sulla materia che compone le grandi strutture dell’universo (stelle, galassie, ammassi di galassie).
Pur dal nostro limitato osservatorio, analizzando gli spettri di radiazione luminosa emessi da stelle lontane si è potuto risalire alla loro composizione e capire che la materia da cui sono composte non è dissimile da quella che ci è nota sulla Terra, anche se vi sono casi particolari come le stelle di neutroni, prodotte dal collasso gravitazionale di stelle massicce, con densità enormi per la nostra immaginazione (vd. Stelle di neutroni, ndr).
Protoni e neutroni sono altresì responsabili dell’energia prodotta nelle stelle, grazie al processo di fusione nucleare (vd. Le stelle in una stanza, ndr): un processo complesso in cui intervengono sia la forza forte (nucleare) sia quella debole, che permette di formare nuclei di deuterio (p-n) e dare inizio a una catena di reazioni il cui bilancio finale consiste nel fondere protoni e neutroni in un nucleo di elio-4 con emissione di energia sotto forma di fotoni e neutrini.
La relatività generale di Einstein ha rivoluzionato il concetto di gravità, introducendo uno spaziotempo curvo, la cui curvatura è indotta dalla massa e dall’energia. Le equazioni della relatività generale ci hanno permesso di elaborare teorie cosmologiche sull’origine ed evoluzione dell’universo, come la teoria del Big Bang, con le sue implicazioni sull’espansione dell’universo e sulla formazione della materia a partire dai suoi costituenti elementari. Le condizioni della materia nelle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang pongono difficili quesiti alla teoria che cerca di descrivere un plasma di quark e gluoni non ancora confinati in un adrone, un magma caldissimo da cui sono emerse le particelle che conosciamo oggi.
Le ricerche sulla cosmologia sono un capitolo aperto, ricco di ipotesi affascinanti, come quella riguardante l’esistenza della materia oscura (e dell’energia oscura) (vd. AAA materia cercasi, ndr).
Come Galileo Galilei attendiamo conferme puntando i nostri occhi verso il cielo.
Una pulsar (una stella di neutroni magnetizzata in rapida rotazione), scoperta al centro del residuo della supernova SN1987A.
Biografia
Wanda Maria Alberico è stata professoressa ordinaria di fisica teorica presso l’Università di Torino, in quiescenza dal novembre 2020. Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Si è occupata di fisica nucleare e fisica del plasma di quark e gluoni.