[as] radici
Contraria sunt complementa
di Federico Laudisa
filosofo della scienza

Niels Bohra.
Niels Bohr
“Bohr era principalmente un filosofo, non un fisico, ma comprendeva che la filosofia naturale nei nostri tempi diventa importante soltanto se ciascuno dei suoi dettagli può essere sottoposto alla prova inesorabile dell’esperimento”. Questa descrizione di Niels Bohr (1885-1962), dovuta al suo allievo Werner Heisenberg (1901-1976), descrive efficacemente sia il ruolo che Bohr ha svolto nel costruire un quadro di riferimento concettuale per la teoria quantistica, sia la prospettiva autenticamente filosofica, che egli stesso ha privilegiato nel suo lavoro di scienziato nei decenni della maturità. Niels Bohr ha fornito contributi fondamentali alla fisica atomica nel periodo di costruzione della teoria quantistica – tanto da meritare il premio Nobel nel 1922 – ma nel periodo in cui la teoria si è consolidata, verso la fine degli anni ’20 del XX secolo, egli si era ormai dedicato completamente a una riflessione di tipo filosofico, particolarmente attenta alle conseguenze di questa fondamentale ma bizzarra teoria su un’interpretazione generale del mondo naturale. La “filosofia naturale” di Bohr si realizza in particolare nel proporre una nozione dalla quale, secondo il fisico danese, discendono tutti gli aspetti più rivoluzionari e apparentemente enigmatici della teoria quantistica: la nozione di “complementarità”. Questa nozione fu proposta ufficialmente in una conferenza intitolata The quantum postulate and the recent development of atomic theory (Il postulato quantistico e il recente sviluppo della teoria atomica), tenuta da Bohr il 16 settembre 1927 al Convegno internazionale dei fisici di Como, il primo grande congresso in cui si dibatté della neonata meccanica quantistica. La complementarità è definita dallo stesso Bohr come “essenziale per un’interpretazione consistente dei metodi della teoria quantistica”: ma come si presenta questa nozione? Quali sono i suoi presupposti e quali le sue implicazioni?
Soffermiamoci in primo luogo sul significato intuitivo del termine complementarità. Nel linguaggio di uso comune, diciamo per esempio che due membri di un gruppo di lavoro sono “complementari”, quando hanno competenze nettamente distinte ma tali che la loro integrazione funziona efficacemente per risolvere una certa classe di problemi.
Ebbene, nello sviluppo della fisica atomica nei primi trent’anni del XX secolo, i fisici si sono trovati a riconoscere la centralità di fenomeni per descrivere i quali abbiamo bisogno di descrizioni “complementari” in un senso simile: Bohr è stato il primo a mettere l’accento su questa circostanza e a sviluppare le conseguenze concettuali e di ampio respiro che ne discendono. Esistono due tipi fondamentali di fenomeni ai quali Bohr si riferisce nel suo uso della nozione di complementarità: in primo luogo, il cosiddetto “dualismo onda-particella” e, in secondo luogo, l’impossibilità di conciliare una descrizione spaziotemporale dei fenomeni quantistici con una loro descrizione causale. Nel primo caso, esistono situazioni – l’esempio più noto è l’esperimento della doppia fenditura (vd. Luce: onde o particelle?, ndr) – nelle quali i sistemi quantistici sembrano comportarsi “come onde” o “come particelle” a seconda di quale procedura sperimentale di misura si decida di compiere. Nel secondo caso, esistono situazioni nelle quali ci troviamo a poter descrivere i sistemi quantistici o nei termini della loro configurazione spaziale oppure nei termini della loro quantità di moto, ma non nei termini di entrambi. Come scrisse Wolfgang Pauli, riferendosi con la x alla posizione e con p alla quantità di moto, “non si può fissare il valore delle x insieme a quello delle p. Si può guardare il mondo con l’occhio x, oppure con l’occhio p, ma se si tenta di aprirli entrambi si ha una visione confusa”.

 

Fermi, Heisenberg, Pauli sul lago di Como nel settembre 1927.b.
Fermi, Heisenberg, Pauli sul lago di Como nel settembre 1927, in occasione del Convegno internazionale dei fisici.
 Secondo Bohr, in entrambi i casi siamo indotti a interpretare i fenomeni mediante l’uso di un principio di complementarità, secondo il quale la descrizione completa della situazione fisica ha bisogno di tutti e due i tipi di descrizione, anche se ciascun tipo potrà essere utilizzato su uno dei due tipi di fenomeni e non sull’altro. Sempre secondo Bohr, la necessità di adottare un punto di vista “complementare” sul mondo quantistico nel suo complesso si deve a ciò che, fin dal titolo del celebre articolo del 1927, cui abbiamo fatto riferimento, egli ha definito “postulato quantistico”, vale a dire quella fondamentale proprietà di discretezza o discontinuità su cui aveva concentrato l’attenzione fin dalla proposta del suo primo modello atomico del 1913, nel quale gli elettroni erano confinati in stati stazionari su orbite quantizzate e le transizioni erano caratterizzate da processi discontinui di emissione o assorbimento di fotoni.
Come scrive efficacemente il fisico danese: “Il postulato quantistico implica che qualsiasi osservazione di fenomeni atomici comporterà un’interazione con l’apparato di osservazione che non può essere trascurato. Di conseguenza, non sarà possibile attribuire una realtà indipendente nel senso fisico comune né al fenomeno né agli apparati di osservazione. [...] Questo postulato implica una rinuncia alla coordinazione causale e spaziotemporale dei processi atomici”.

Stemma di Niels Bohr (Ordine dell’elefante)
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Stemma di Niels Bohr (Ordine dell’elefante) con il motto “Contraria sunt complementa” (I contrari sono complementari).

 


Bohr sembra concepire insomma la complementarità come una vera e propria “condizione di possibilità” per la descrizione del mondo microfisico in un senso autenticamente scientifico. In questa prospettiva, diventa allora importante il ruolo che il linguaggio svolge non soltanto nella descrizione dei fenomeni fisici, ma anche nella comunicazione tra gli scienziati. Da qui svolge un ruolo fondamentale l’armamentario linguistico e concettuale “classico”, quello cioè che abbiamo ereditato dalla fisica precedente alla fisica atomica e che appare come un adeguato raffinamento del linguaggio con cui gli esseri umani, sistemi fisico-biologici macroscopici essi stessi, interagiscono comunemente. Ancora una volta nelle parole di Bohr: “Il postulato fondamentale dell’indivisibilità del quanto d’azione […] ci costringe ad adottare una nuova modalità di descrizione designata come complementare nel senso che ogni data applicazione di concetti classici preclude l’uso simultaneo di altri concetti classici che in una differente connessione sono ugualmente necessari per la delucidazione del fenomeno”. Sulla base dunque dell’esigenza primaria che secondo Bohr una teoria fisica fondamentale deve soddisfare, cioè quella di fornire un’adeguata descrizione delle nostre esperienze fisiche sotto l’ipotesi che queste descrizioni soddisfino requisiti di oggettività e, soprattutto, di comunicabilità, è essenziale riconoscere che in qualsiasi resoconto dell’esperienza fisica sia le condizioni sperimentali sia le osservazioni devono essere descritte con gli stessi mezzi di comunicazione usati in fisica classica.
 

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