Luce: onde o particelle?
Il fotone, l'emergere di un concetto
di GianCarlo Ghirardi

Fin dai tempi remoti l'uomo ha osservato con curiosità l'universo ponendosi infinite domande circa il fulgore delle stelle, il moto degli astri e il mondo circostante, cercando di comprendere il senso della realtà, della vita, del suo ruolo nel mondo. Tra i fenomeni che hanno colpito la sua attenzione domina la luce. Quando prende corpo l'idea di una possibile comprensione razionale del mondo, risulta naturale cercare di spiegare la natura dei processi luminosi.
La massa di "Asimmetrie", così come quella di tutta la materia ordinaria, è concentrata quasi interamente nei nuclei dei suoi atomi, fatti di protoni e neutroni. Questi, a loro volta, sono composti da quark, particelle elementari prive di struttura interna, attualmente considerate i costituenti ultimi della materia. Ma se mettessimo assieme le masse di tutti i quark contenuti nella rivista, la bilancia segnerebbe appena qualche grammo. Dov'è il resto della massa? Già le prime indagini sulla luce hanno visto la contrapposizione di due concezioni incompatibili: quella corpuscolare e quella ondulatoria. Attorno all’anno 1000 lo scienziato iracheno Alhazen (Ibn Al-Haythan) descrive i raggi di luce come un flusso di particelle materiali emesse dagli oggetti. Serve però un salto in avanti di oltre 600 anni per arrivare alla formulazione precisa delle leggi della rifrazione: è Cartesio a proporre un modello ondulatorio della luce, al quale il matematico e fisico olandese Christiaan Huygens fornirà alla fine del ’600 solide basi. Il modello ondulatorio, tuttavia, resterà per lungo tempo nell’ombra a causa dell’interpretazione newtoniana della luce, secondo la quale la luce sarebbe composta di particelle dotate di energia e impulso, che nel vuoto si propagano in linea retta. In quest'ottica, il fenomeno della riflessione conseguirebbe all'impatto di queste particelle con un corpo compatto che ne provocherebbe il rimbalzo. Nel caso in cui il corpo fosse in qualche misura poroso (caratterizzato cioè da ampi spazi tra i suoi costituenti), nel passaggio attraverso il materiale i diversi corpuscoli di luce risentirebbero per un breve tratto dell'attrazione degli atomi che lo compongono. Questi ne devierebbero così la traiettoria, dando origine al fenomeno della rifrazione della luce. Oggi sappiamo che questa interpretazione della rifrazione della luce non ha fondamenti reali. Tuttavia Newton ha giocato un ruolo decisivo nello studio di questo processo, per quanto concerne la luce bianca, riuscendo a "decomporla e ricomporla" nelle sue componenti monocromatiche con un prisma di cristallo, uno strumento che è noto da allora come "prisma di Newton". Per dare corpo alla sua interpretazione corpuscolare, egli dovrà fare ricorso a delle ipotesi che oggi sappiamo essere false. In particolare, Newton sarà indotto a supporre che i diversi corpuscoli caratterizzati da colori diversi abbiano masse diverse che dipendono dal loro colore. Questo primo dibattito sulla natura della luce si conclude all'inizio dell'800, quando Thomas Young e Augustin Jean Fresnel, studiando i fenomeni di diffrazione e di interferenza della luce, confermano definitivamente la validità del modello ondulatorio.

 

a.
Dispersione ottica di un fascio di raggi paralleli di luce bianca, che attraversa un prisma di vetro e si scompone nei vari colori.
Newton fu il primo a osservare che facendo convergere nuovamente i diversi raggi in un secondo prisma – con l'uso di una lente – si riotteneva la luce bianca.

Nel secolo XIX le indagini di Michael Faraday e James Clerk Maxwell portano a riconoscere la sostanziale unità dei fenomeni elettrici e magnetici e consentono la formalizzazione definitiva dell'elettromagnetismo. Fa il suo ingresso nella scienza moderna il concetto di campo, un'entità fisica distribuita con continuità nello spazio e nel tempo, che sembra richiedere il riconoscimento di un'esistenza altrettanto reale di quella dei corpuscoli materiali. Il campo elettromagnetico trasporta energia attraverso lo spazio sotto forma di onde radio, calore, luce, raggi X, ecc., secondo la descrizione data dalle equazioni ondulatorie di Maxwell. Alla fine dell'800 si afferma la concezione "classica" dei processi fisici, compendiata nei due pilastri teorici della meccanica e dell'elettromagnetismo. Questa visione del mondo fisico comportava tuttavia l'inconciliabilità dei processi corpuscolari e ondulatori e si dimostrò profondamente discutibile quando, alla fine del secolo, furono identificati alcuni semplici processi che resistevano a qualsiasi tentativo teso a ricondurli all'interno della formulazione "classica". È esperienza comune, ad esempio, che molti corpi cambino colore aumentandone la temperatura, passando dal rosso arancio fino all'incandescenza. Sebbene sia naturale aspettarsi di poter descrivere questo fenomeno così comune nell'ambito della fisica classica, non sembrava possibile renderne conto nei termini delle leggi della meccanica e dell'elettromagnetismo. Questo problema non trovò una soluzione, fino a quando Max Planck avanzò un'ipotesi assolutamente rivoluzionaria che sconvolse le idee classiche sulla radiazione elettromagnetica. La stessa ipotesi fu avanzata in seguito da Einstein per descrivere l'effetto fotoelettrico, il fenomeno in base al quale un elettrone può essere "scalzato" dall'atomo a cui è legato, illuminando il materiale con fotoni di energia superiore a una quantità "di soglia" (la spiegazione dell'effetto fotoelettrico valse il premio Nobel a Einstein nel 1921). L'idea di Planck e di Einstein consisteva nell'ammettere che l'energia del campo non fosse distribuita con continuità nello spazio, ma concentrata in "granuli" puntiformi, i fotoni, ciascuno dotato di una quantità hν di energia – dove h è la costante di Planck e ν è la frequenza di oscillazione dell'onda. Dovendo naturalmente evitare di contraddire quanto previsto in generale dalla teoria classica, se un dato volume di spazio contiene una quantità di energia elettromagnetica, esso dovrà contenere un numero N di fotoni di energia hν, in modo che sommando N volte l'energia hν di ciascun fotone si ottenga l'energia complessiva.

 

b.
Michel Faraday rappresentato sulla banconota da 20 sterline.

[as] approfondimento
L'esperimento di Young



1.
Schema dell'esperimento di Young della doppia fenditura. In alto a sinistra l'interpretazione geometrica semplificata, con linee chiare nei punti in cui le due onde originate dalle fenditure 2 e 3 si sommano in modo costruttivo ("in fase") e con linee scure dove esse sono in controfase. Nella parte bassa è rappresentata l'alternanza di bande chiare e scure che si otterrebbe su una lastra fotografica. A destra appare una visione più realistica delle zone chiare e scure della figura di interferenza. Nella figura in basso, composizione di due onde: caso di interferenza totalmente costruttiva e totalmente distruttiva.

Un fenomeno fisico esemplare per comprendere la natura dualistica (ondulatoria e corpuscolare) della luce è rappresentato dall'esperimento di Young della doppia fenditura: l'interferenza di un'onda diffratta da due fenditure. Supponiamo di avere una sorgente di un'onda che si propaga dalla fenditura a della fig. 1 (in alto) e investe uno schermo nel quale sono praticate due fenditure, b e c. Queste fenditure danno a loro volta (per diffrazione) origine a due onde sferiche, le quali interferiscono tra di loro. A seconda del punto considerato, il processo di interferenza può far sì che i contributi delle due onde si rafforzino a vicenda oppure si cancellino (nella fig. 1 [in basso], la sovrapposizione di due onde rispettivamente in fase o sfasate di una mezza lunghezza d'onda). Corrispondentemente l'intensità dell'onda nei vari punti dello schermo potrà dare luogo a un campo notevolmente intenso, a uno meno intenso o addirittura a uno nullo. Per ora abbiamo considerato solo gli aspetti ondulatori del processo, ma interpretando il fascio come composto da numerosissimi fotoni sappiamo che essi si distribuiranno come vuole il campo: l'alternarsi di zone chiare e zone scure della figura di interferenza, in questo caso, sarà dato rispettivamente da zone su cui incidono molti fotoni e zone su cui incidono pochi fotoni. Tuttavia, gli aspetti corpuscolari del processo emergono in tutta la loro evidenza nel caso limite, in cui il campo sia così debole che in pratica un solo quanto – un fotone – percorre il cammino dal punto a allo schermo prima che un secondo fotone venga emesso da a. La fig. 2 riporta il formarsi dell'immagine di interferenza nel corso del tempo. Come si vede, ogni fotone dà luogo a una macchia in una precisa posizione (aspetto corpuscolare), con distribuzione probabilistica in base all'intensità del campo (aspetto ondulatorio). Passando da 10 a 70.000 fotoni dopo un certo lasso di tempo, si vede chiaramente che la distribuzione finale tende a riprodurre la distribuzione a strisce della figura d'interferenza. Si osservi che il singolo fotone, essendo un'unità indivisibile, passa necessariamente o dalla fenditura b oppure dalla c (questo può verificarsi ponendo due rivelatori subito dopo le fenditure e constatando che scatta sempre uno solo di essi). Ma tutto va come se il fotone che passa per b sapesse che la fenditura c è aperta (infatti chiudendo una fenditura la figura di interferenza sparisce). Per la sua lontananza dal senso comune e la scarsa accessibilità alla più naturale intuizione, il fisico americano Richard Feynman volle caratterizzare questo esperimento come "the only mistery of quantum mechanics".

2.
Figura di interferenza ottenuta da diffrazione con doppia fenditura utilizzando singoli fotoni: con il passare del tempo la figura d'interferenza a strisce si manifesta in modo sempre più evidente.
A titolo di esempio, osserviamo che a un metro di distanza da una comune lampadina da 100 watt incidono su ogni cm² di superficie circa 1016 fotoni ogni secondo, cioè un numero di quanti di energia hν pari a dieci milioni di miliardi. Non stupirà quindi se, a causa dell’enorme numero di quanti coinvolti, il carattere corpuscolare della luce non emerge nelle situazioni ordinarie (oggi in realtà, le moderne tecniche consentono di realizzare situazioni, in cui è possibile rivelare anche un solo fotone incidente in media ogni secondo su uno schermo, ma naturalmente solo in laboratorio).
Pochi anni dopo l’introduzione dell’idea di fotone, l’elaborazione della meccanica quantistica, la teoria che assieme alla relatività sta alla base della visione moderna del mondo, ha portato a concludere che tutti i processi naturali presentano i due aspetti ora illustrati, quello ondulatorio e quello corpuscolare (o quantistico). La teoria implica che anche la propagazione di una particella dotata di massa (e non solo il fotone che non ha massa) sia governata da un’equazione delle onde, la celebre equazione di Schrödinger. La visione moderna dei fenomeni fisici prevede quindi che ogni processo sia caratterizzato da un’onda che rende conto della propagazione ondulatoria del campo, ma anche da quanti (i fotoni nel caso della luce, gli elettroni e i protoni nel caso delle particelle).
c.
Erwin Schrödinger rappresentato sulla banconota austriaca da 1000 scellini.
I campi “guidano” i relativi quanti, nel senso che questi ultimi hanno maggior probabilità di trovarsi dove è più intensa l’onda ad essi associata. Un’altra caratteristica della visione quantistica della luce è che essa non fa in generale previsioni certe, ma solo probabilistiche, circa gli esiti dei processi di misura. Per quanto ci interessa, la densità di probabilità di trovare il quanto del relativo campo nella posizione r (dove con r si indica il punto di coordinate x, y, z nello spazio a tre dimensioni) al tempo t, dipende dalla funzione (dal suo quadrato per l’esattezza) che descrive l’onda associata al quanto stesso in quel punto e in quell’istante: la funzione d’onda. Tutte le equazioni che entrano in gioco nella descrizione dei processi fisici sono lineari, il che significa tra l’altro che l’evoluzione nel tempo e nello spazio della somma di due campi coincide sempre con la somma dei singoli evoluti spazio-temporali dei due campi. Se il fotone, quanto del campo elettromagnetico, ha le caratteristiche peculiari che abbiamo fin qui descritto, caratteristiche che stanno alla base di tutta la meccanica quantistica, viene naturale analizzare alcuni aspetti sorprendenti di questa teoria che sono diventati attuali solo di recente. Oggi possiamo infatti fare ricorso a potenzialità tecnologiche che erano inimmaginabili fino a pochi anni fa (vd. La fisica di Star Trek) e che risultano possibili grazie a un aspetto della meccanica quantistica che Schrödinger ha identificato addirittura come “il tratto caratteristico della teoria”: l’entanglement (intreccio, intrico), una peculiare proprietà della teoria che prevede che le caratteristiche di due fotoni (come ad esempio la loro polarizzazione, vd. approfondimento) restino correlate anche a distanza. La specifica natura quantistica dei fotoni ci permette di sfruttare l’entanglement per elaborare un sistema di trasmissione dell’informazione che risulta fondamentalmente inviolabile, una cosa impossibile nell’ambito della fisica classica (vd. Fotoni e segreti). Non a caso diversi sistemi bancari stanno cominciando a utilizzare questo metodo per comunicazioni particolarmente riservate. Fotoni arrivano anche dalle sorgenti più energetiche del cosmo, buchi neri di dimensioni stellari, frutto del collasso delle prime stelle, molto più massive di quelle che incontriamo in galassie come la nostra, e risultano essere così i messaggeri per eccellenza dell’universo. La scoperta del fotone quale costituente fondamentale della luce, oltre ad aver segnato un balzo concettuale di enorme portata per la comprensione del mondo, ha anche consentito importanti innovazioni tecnologiche. Senza dubbio, lo studio del quanto di luce resterà a lungo una delle più interessanti frontiere della scienza.
[as] approfondimento
Fotoni polarizzati e intrecci quantistici
1.
Rappresentazione di un’onda elettromagnetica, il cui campo elettrico è polarizzato nel piano verticale. Nella figura è rappresentato anche il campo magnetico, sempre associato al campo elettrico di un’onda elettromagnetica e ad esso perpendicolare. Come il campo elettrico, anche il campo magnetico oscilla in una direzione ortogonale alla direzione di propagazione dell’onda. Ruotando questa figura di 45° o di 90° intorno alla direzione di propagazione, in un senso o nell’altro, si ottiene la raffigurazione, rispettivamente, della polarizzazione del campo elettrico diagonale od orizzontale.

Il campo elettrico associato a un’onda oscilla sempre in una direzione perpendicolare alla direzione di propagazione ma, in generale, esso può ruotare in modo arbitrario attorno all’asse di propagazione. Quando il campo elettrico oscilla in una direzione fissata tra le infinite possibili perpendicolari alla direzione di propagazione, si dice che l’onda ha una polarizzazione piana, perché il campo elettrico oscilla sempre nello stesso piano mentre l’onda si propaga. È possibile, ad esempio, produrre luce di questo tipo facendole attraversare una lastra polaroid e costringendo così il vettore campo elettrico a oscillare lungo una direzione predefinita. La caratteristica di quest’onda consiste nel fatto che il vettore campo elettrico oscilla sempre nello stesso piano: questa caratteristica del campo si traduce in un’analoga caratteristica dei fotoni che costituiscono l’onda elettromagnetica, che saranno quindi a loro volta polarizzati in una direzione precisa. Consideriamo ora una sorgente che emette ogni secondo una coppia di fotoni che si propagano in direzioni opposte, entrambi polarizzati nel piano verticale rispetto alla direzione di propagazione. In modo analogo, considereremo coppie di fotoni entrambi polarizzati orizzontalmente. Siamo pronti ad affrontare l’entanglement. Se lo stato (quantico) di due fotoni polarizzati verticalmente, come pure quello di due fotoni polarizzati orizzontalmente, sono stati possibili, allora anche la loro somma è uno stato possibile per il sistema dei due fotoni. Questo è noto come principio di sovrapposizione. Il sistema dei due fotoni così costituito mostra caratteristiche peculiari e inaspettate. Se si esegue una misura di polarizzazione piana in una qualsiasi direzione su uno dei due fotoni, si verificheranno queste due uniche possibilità a caso (ciascuna cioè con probabilità 1⁄2): o il fotone “sopravvive” o viene assorbito. Tuttavia, se si eseguono misure uguali (nella stessa direzione di polarizzazione) su entrambi i fotoni, allora gli esiti – sebbene casuali – risultano sempre identici. Ed è questo l’aspetto sorprendente del fenomeno! Sembrerebbe quindi che i due fotoni rimangano in qualche modo legati indissolubilmente (per questo entangled) e che quello che accade a uno di essi si ripercuota istantaneamente anche sull’altro, indipendentemente dalla distanza che li separa.

Biografia
GianCarlo Ghirardi è docente di Fisica Teorica all'Università di Trieste dal 1976. È membro dell'Academic Board dell'International Centre for Theoretical Physics (Ictp) dal 1976. Ha dato contributi di notevole rilievo al campo dei fondamenti della meccanica quantistica, in particolare con la teoria di GRW (Ghirardi, Rimini, Weber).

 

Link

http://www.mi.infn.it/~phys2000/atomic_lab.html

 

icon-pdf [scarica pdf]

 

{jcomments on}

 ©asimmetrie   Istituto Nazionale di Fisica Nucleare / via E. Fermi 40 / 00044 Frascati [Roma] Italia
Ufficio Comunicazione INFN / P.zza dei Caprettari 70 / 00186 Roma Italia
Registrazione del Tribunale di Roma n. 336/2012 del 7 dicembre 2012
powered by Multimedia Service e INFN-LNF servizio di calcolo
Informativa sulla Privacy e Cookie Policy