Laboratori in orbita
Ricerche di fisica fondamentale nello spazio

di Marco Pallavicini

Lo spazio, inteso come punto privilegiato d’osservazione del cosmo, perché non disturbato dagli effetti di assorbimento o aberrazione atmosferici, oppure come luogo dove svolgere esperimenti impossibili a terra, svolge un ruolo essenziale nella ricerca in fisica. L’indagine fisica del mondo, infatti, sin dagli albori della scienza moderna, ha seguito due strade distinte che nelle ricerche spaziali e astrofisiche si fondono in modo sinergico: una di esse, antica come l’umanità, è fondata sull’osservazione passiva del cielo al fine di carpirne leggi e regolarità; l’altra, propriamente sperimentale, desume le leggi fisiche dall’interpretazione teorica di esperienze controllate e riproducibili in laboratorio. Sebbene entrambe abbiano avuto importantissimi e antichissimi precursori, queste due vie hanno avuto in Galileo Galilei il moderno rifondatore e, da allora, hanno camminato insieme. Nel corso dei secoli successivi nessuna delle due vie ha prevalso o ha potuto assumere un ruolo preminente. Continuiamo a scoprire nuove proprietà del mondo fisico attraverso l’osservazione del cosmo, oggi rinforzata e ampliata dal paradigma multimessaggero, per il quale guardiamo l’universo avvalendoci non solo dell’intero spettro elettromagnetico dalle onde radio ai raggi gamma, ma anche di nuove sonde come neutrini e onde gravitazionali. Ma continuiamo anche ad aver bisogno di “sensate esperienze” per comprendere e riprodurre i fenomeni fisici, essendo la mera osservazione spesso insufficiente a capire ciò che osserviamo, ed essendo l’approccio sperimentale controllato – quando è possibile – assai più efficace. La scoperta del mondo microscopico delle particelle elementari ha rinforzato questo legame, arricchendolo con la consapevolezza che processi fisici che avvengono su distanze infinitesime sono la chiave per comprendere l’universo. Non solo nessuno oggi dubita che le leggi fisiche siano le stesse ovunque nel cosmo, ma abbiamo la certezza che la fisica microscopica, scoperta per mezzo della radiazione cosmica e poi sviluppata agli acceleratori di particelle, sia alla base del funzionamento delle stelle, delle galassie e dei meccanismi fisici che hanno dato origine all’universo e all’evoluzione della vita. Nel mezzo secolo appena trascorso entrambe le strade hanno raggiunto risultati straordinari, sviluppando quasi in parallelo due “modelli standard”, teorie che descrivono accuratamente gli ambiti a cui si applicano. Il modello standard delle particelle elementari, la teoria fisica che spiega (finora) ogni fenomeno microscopico conosciuto regolato dalle forze elettromagnetiche, nucleari deboli e forti, ha visto il suo trionfo nel 2012 con la scoperta del bosone di Higgs, che ha completato la costruzione della teoria e coronato decenni di straordinari esperimenti e profondissime intuizioni teoriche. Il modello standard sintetizza la nostra conoscenza attuale della materia ordinaria e delle leggi fisiche che la governano e, coadiuvato dalla teoria einsteniana della gravitazione, pone le fondamenta, seppur in modo ancora incompleto, della comprensione del cosmo. Tale comprensione ha anch’essa avuto un recente prodigioso sviluppo, a partire dagli anni ’20, con la scoperta di Hubble dell’espansione isotropa dell’universo e poi, soprattutto dopo gli anni ’60, con la scoperta del fondo cosmico a microonde (CMB – Cosmic Microwave Background ) e l’avvento di tecniche astronomiche anche satellitari che hanno portato l’occhio umano ai confini dell’universo osservabile. Queste osservazioni, coadiuvate con lo sviluppo della teoria del Big Bang e dell’applicazione della fisica delle particelle elementari e della fisica nucleare a esso, hanno condotto allo sviluppo della teoria Big Bang-LCDM (Lambda Cold Dark Matter, vd. Alta tensione, ndr), uno schema teorico che potremmo chiamare “il modello standard cosmologico”, anche se assai meno fondato e soddisfacente di quello delle particelle elementari.

Opera di Pablo Carlos Budassia.
Rappresentazione artistica dell’universo osservabile (opera di Pablo Carlos Budassi).
 
La teoria Big Bang-LCDM spiega quantitativamente quasi ogni proprietà cosmologica osservabile, seppur postulando l’esistenza di tre elementi fisici ad hoc che non sono spiegabili in termini del modello standard delle particelle e che quindi, per ora, non hanno fondamento nelle leggi fisiche note: l’esistenza di una componente importante di materia oscura fredda (cold dark matter), ovvero lenta e catturata dai campi gravitazionali al momento della formazione delle principali strutture dell’universo, che contribuisce in modo evidente alla dinamica di galassie, cluster di galassie e alla formazione delle strutture primordiali; l’esistenza di una costante cosmologica (Lambda) di valore inspiegabilmente piccolo o in alternativa di una forma di energia oscura dalle proprietà fisiche ignote, che rende conto sia dell’accelerazione dell’espansione cosmica a grande distanza sia della densità critica necessaria a spiegare l’apparente geometria euclidea piatta dello spazio; e, infine, l’ipotesi che per qualche ragione nei primissimi istanti del Big Bang l’antimateria sia scomparsa, dando luogo a un universo fatto solo di materia barionica, materia oscura ed energia oscura, con una piccola, significativa e ancora sconosciuta componente di neutrini. La fisica nello spazio, sia per mezzo di nuovi strumenti osservativi sia portando in ambiente spaziale veri e propri apparati sperimentali, è uno dei modi per affrontare i problemi che questi scenari pongono. I due modelli standard sono infatti parzialmente soddisfacenti nei loro rispettivi ambiti, ma totalmente inadeguati se messi insieme. Il modello standard delle particelle – per come oggi lo conosciamo – non ci dice di che cosa possa esser fatta la materia oscura, non incorpora in modo coerente la gravitazione – la quale per ora resta nella formulazione classica di Einstein senza legami chiari con il mondo quantistico – e non offre alcun meccanismo che spieghi la scomparsa dell’antimateria. Un ulteriore problema a sé stante è costituito dall’energia oscura, la quale, se interpretata in termini di costante cosmologica pura, ha un valore insensatamente piccolo per essere messo in relazione a una teoria di campo quantistica, mentre, se interpretata in termini di un nuovo campo dinamico, rende il mistero ancora più fitto. Per non parlare del fatto che le evidenze sia della materia oscura sia dell’energia oscura sono tutte di origine gravitazionale ed esiste quindi la possibilità – poco popolare e non facilmente conciliabile con i dati osservativi astronomici – che siano entrambe artefatti di una teoria della gravitazione inadeguata. Anche la teoria LCDM deve affrontare le sue difficoltà: oltre a postulare l’esistenza di elementi fisici ancora sconosciuti, le tensioni ormai evidenti tra le diverse determinazioni della costante di Hubble lasciano intravedere, almeno potenzialmente, problemi importanti. Questo quadro motiva ampiamente la necessità di volgere lo sguardo al cosmo non solo per chi nutre interessi astronomici e astrofisici ma anche per chi si occupa di fisica fondamentale. Non v’è dubbio che la soluzione dei problemi sopracitati non potrà che venire da un approccio combinato, dove ricerche dirette di laboratorio (ricerca diretta di materia oscura in laboratori sotterranei, ricerca di neutrini sterili o fotoni oscuri con acceleratori e reattori, ricerca del doppio decadimento beta senza neutrini, misura diretta di massa del neutrino, ricerca di nuove particelle agli acceleratori, sia per produzione diretta sia per inferenza indiretta attraverso anomalie in decadimenti rari) siano coadiuvate dall’osservazione multimessaggera del cosmo, dallo studio della gravitazione in un campo forte (come per esempio intorno a un buco nero) per mezzo di onde gravitazionali, dalla ricerca dell’effetto delle onde gravitazionali primordiali nel CMB, dalla ricerca indiretta di materia oscura nei raggi cosmici per mezzo di sonde cariche come nuclei di anti-elio o anti-deuterio oppure neutre come fotoni X e gamma. A questo si aggiungono ricerche su problemi più tradizionali ma ancora vitali e irrisolti: l’identificazione dei siti e dei meccanismi di accelerazione di energia estrema, i cosiddetti “pevatroni”, lo studio delle anomalie spettrali osservate da Pamela e AMS-02 su positroni e antiprotoni e molto altro ancora che verrà approfondito negli articoli a seguire. Un esempio di perfetta sinergia tra attività terrestri e spaziali è fornito dal nuovissimo campo della ricerca di onde gravitazionali. La prima osservazione di LIGO e Virgo del 2015 e la successiva scoperta di un’inattesa popolazione di buchi neri binari in coalescenza hanno confermato l’esistenza delle onde gravitazionali e aperto una nuova finestra cosmologica. Se certamente la storia di LIGO e Virgo continuerà ancora per almeno un decennio e speriamo possa essere seguita e ampliata da strumenti di terza generazione sia in Europa (l’Einstein Telescope, per il quale l’INFN sta promuovendo con entusiasmo la candidatura del sito sardo di SOS Enattos) sia negli Stati Uniti, una parte importante del futuro delle onde gravitazionali è nello spazio. Il progetto LISA condurrà ricerche con una tecnica analoga a quella di LIGO e Virgo, ma espandendo la lunghezza dei bracci dai tre chilometri di Virgo ai milioni di chilometri – ottenibili evidentemente solo nello spazio – dislocando una terna di satelliti in orbita. Il progetto LISA-Pathfinder, un esperimento di grande successo che ha visto gruppi italiani INFN in prima linea, ha dimostrato la fattibilità della tecnologia provando che è possibile tenere sotto controllo l’assetto dei satelliti attorno alle masse di prova senza disturbarle. LISA sta ora entrando nel vivo della fase di costruzione, che la porterà ad acquisire dati nella seconda decade degli anni ’30, speriamo in sinergia e collaborazione con l’Einstein Telescope (l’eventuale osservazione contemporanea di alcuni eventi in fasi diverse della loro evoluzione aprirebbe scenari magnifici). I due nuovi occhi esploreranno il cielo in onde gravitazionali con sensibilità mai viste e, nel caso di LISA, a frequenze bassissime, consentendo l’osservazione di collisioni tra buchi neri super-massicci in tutto l’universo osservabile.
Interferometro gravitazionale Virgo b.
Vista esterna di uno dei due bracci dell’interferometro gravitazionale Virgo.
 
A questo sforzo si unirà la ricerca di onde gravitazionali primordiali attraverso il loro effetto indiretto sul fondo cosmico a microonde; onde gravitazionali prodotte durante la fase inflazionaria possono aver lasciato un’impronta osservabile nelle fluttuazioni termiche del CMB, un’impronta di tipo caratteristico che con uno strumento di sensibilità e precisione adeguata può essere misurata e riconosciuta dal fondo. Il satellite LiteBird affronterà il tema portando nello spazio nuove tecnologie di rivelazione a cui l’INFN ha contribuito attivamente negli ultimi decenni. A questi progetti di lungo termine si affiancano missioni già operative ma che possono dare ancora risultati importanti. Con AMS-02 sulla stazione spaziale orbitante e con le misure su pallone stratosferico di GAPS continuerà la ricerca di segnali di materia oscura per mezzo della ricerca indiretta di anti-nuclei quali l’anti-elio3 e l’anti-deuterio. Anche in questo caso la sinergia tra misure di laboratorio a terra e osservazioni è fortissima; ALICE al CERN ha misurato recentemente le sezioni d’urto di produzione e di interazione di questi anti-nuclei con la materia ordinaria, fornendo dati importanti per la stima della produzione secondaria di questi anti-nuclei dalla propagazione di raggi cosmici nel mezzo interstellare. Saranno i dati a dire se vi sia un eccesso di questi anti-nuclei attribuibile al decadimento di particelle di materia oscura, oppure se i pochi interessantissimi eventi osservati da AMS-02 siano tutti di origine secondaria. Resta comunque il fatto che le osservazioni dirette di AMS-02 sono di straordinario valore in sé, per la qualità dello strumento in orbita e per la stabilità della presa dati dimostrata negli anni. Speriamo che nei prossimi anni si possa avviare lo sforzo di pensare al futuro, immaginando e costruendo uno spettrometro magnetico spazializzato di sensibilità e accettanza ancora maggiori. Non va dimenticato, d’altra parte, il ruolo che ancora può avere il telescopio spaziale Fermi nello studio del cielo gamma e quello che sta avendo IXPE nella ricerca di effetti fisici associati a fotoni X polarizzati. Entrambi basati su tecnologie inventate e sviluppate in seno all’INFN, continueranno a esplorare il cielo per mezzo di fotoni di alta energia alla ricerca di materia oscura, nuova fisica e osservando oggetti astrofisici noti con occhi nuovi. In particolare, la recente missione IXPE, uno dei primi polarimetri a raggi X , sta aprendo un nuovo fronte osservativo che ha cominciato a dare i primi risultati ma che probabilmente rappresenterà una vera e propria rivoluzione nel campo. Un altro elemento di sinergia fortissima tra osservazioni spaziali e misure a terra riguarda i neutrini. Ad oggi non sappiamo quanto pesa un neutrino. Le oscillazioni hanno vincolato la differenza di massa tra le tre specie, senza fissarne la scala. Vi sono tre modi per misurare la scala di massa, tutti e tre di grande interesse perché non identici e dipendenti in modo diverso dai parametri di mescolamento misurati attraverso le oscillazioni: la misura diretta cinematica, la ricerca del doppio decadimento beta senza neutrini e la misura dell’effetto complessivo dei neutrini prodotti dal Big Bang sulla formazione delle strutture dell’universo.
Shuttle Endeavour c.
Lo shuttle Endeavour in procinto di effettuare, nel maggio del 2011, l’attracco e la consegna di AMS-02, visibile all’interno della stiva di carico del velivolo, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nel corso della missione STS-134.
 
La misura diretta, secondo una tecnica suggerita da Enrico Fermi nel 1934 ancora a fondamento di tutti gli esperimenti in corso, non ha ancora dato risultati, fornendo come miglior limite il valore misurato dall’esperimento tedesco KATRIN nel 2022 di 0,8 eV. Neanche la ricerca del doppio decadimento beta senza neutrini, pur con enormi progressi, ha ancora dato risultati. Anch’essa offrirebbe una misura della scala di massa, ma finora il processo non è stato osservato e anche in questo caso sono disponibili solo limiti, inferiori a quelli di KATRIN ma più dipendenti da modelli e assunzioni. La terza via, forse la più promettente ad oggi, è quella di pesare i neutrini per mezzo dell’universo intero. Durante il Big Bang, oltre al fondo di fotoni osservato dal CMB si deve esser prodotto anche un fondo di qualche centinaio di neutrini per cm3 la cui temperatura, oggi, è calcolata essere 1,95 K; tali neutrini, a seconda della massa, hanno avuto una piccola ma misurabile influenza gravitazionale durante la formazione delle strutture, e dallo studio sistematico della distribuzione delle galassie in funzione della distanza è possibile inferirne il peso. È ciò che faranno i rilevamenti cosmologici della prossima generazione, come quello che sarà avviato dalla missione Euclid. Euclid è un satellite dedicato che misurerà distanza e distorsioni dovute al lensing gravitazionale di milioni di galassie, fornendo una mappa tridimensionale dell’universo e della sua evoluzione di precisione mai vista. Insieme al progetto concorrente da terra LSST porterà la precisione dei calcoli nella formazione delle strutture a livelli mai raggiunti prima, fornendo indicazioni sulla natura fisica dell’energia oscura, distinguendo, entro certi limiti, una pura e semplice costante cosmologica da energia oscura di origine dinamica e misurando l’effetto associato alla massa dei neutrini. La sensibilità di Euclid e LSST potrebbe esser sufficiente a estrarre un valore significativamente diverso da zero, fornendo la prima misura assoluta della massa del neutrino. Questa sintesi, che gli articoli a seguire approfondiranno, mostra che comprendiamo parzialmente solo qualche percento dell’universo, e che il resto è mistero. Ciò basterebbe per guardare al futuro con entusiasmo, ma il viaggio nello spazio è anche altro. Il panorama dei “known-unknown” – delle cose che non sappiamo ma che in qualche modo sappiamo di non sapere perché osservazioni o teorie ce ne suggeriscono l’esistenza – è solo un aspetto. Aprire un occhio nuovo che guarda meglio e più lontano, o che usa una sonda nuova come i raggi cosmici, i neutrini o le onde gravitazionali, significa quasi certamente imbattersi in fenomeni inaspettati, in “unknown-unknown”, per loro natura imprevedibili ma che costituiscono la vera ragione per cui la ricerca scientifica e l’esplorazione del cosmo sono, anche e soprattutto, delle meravigliose e impagabili avventure.
La spettacolare scia tracciata nel cielo dal decollo del vettore Falcon 9 d.
La spettacolare scia tracciata nel cielo dal decollo del vettore Falcon 9, che ha effettuato il lancio di IXPE dal Kennedy Space Center della NASA il 9 dicembre 2021.
 

Biografia
Marco Pallavicini è vicepresidente dell’INFN, professore di fisica sperimentale all’Università di Genova e ricercatore INFN. Ha lavorato negli USA al Fermilab e al laboratorio SLAC in esperimenti su quark pesanti e partecipato alla missione ESA Euso per lo studio dei raggi cosmici in atmosfera. Dal 1999 lavora ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso su esperimenti sulla fisica del neutrino e sulla ricerca di materia oscura. È co-portavoce dell’esperimento Borexino dal 2011.

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2023.34.01
 

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