Babar mette alle corde il fotone oscuro

babar slacIl fotone oscuro è una particella ipotetica, simile al fotone delle onde elettromagnetiche ma con una piccola massa, prevista da alcuni recenti modelli teorici che descrivono la materia oscura. I fisici di tutto il mondo stanno cercando di capire se esiste e dove cercarlo e da oggi, grazie ai nuovi risultati dell’esperimento Babar, hanno nuove e importanti indicazioni per restringere il terreno di caccia.

Babar è un esperimento internazionale che si trova allo Stanford Linear Accelerator (Slac) in California, negli Usa, a cui l’Italia, con l’Infn, ha un ruolo di primo piano con la costruzione del magnete e di componenti fondamentali del rivelatore: il rivelatore di vertice e il rivelatore di muoni. L’acceleratore è stato in funzione dal 1999 al 2008 e l’ultimo anno di presa dati è stato dedicato proprio alla ricerca del fotone oscuro. Dall’analisi dati emergono ora importanti informazioni che escludono possibili “nascondigli” di questa ipotetica particella restringendo significativamente il campo di indagine. I risultati sono pubblicati sulla rivista Physical Review Letters.

“Pur non escludendo l’esistenza del fotone oscuro, i risultati di Babar limitano i possibili 'nascondigli' di questa particella ed escludono definitivamente la possibile spiegazione per un altro intrigante mistero associato alle proprietà di un’altra particella, il muone”, commenta Micheal Roney, portavoce dell’esperimento Babar, professore all’Università di Victoria (CA). Alla ricerca del fotone oscuro l’Infn partecipa con un nuovo esperimento che si chiamerà Padme (Positron Annihilation into Dark Matter Experiment) ed entrerà in funzione ai Laboratori Nazionali di Frascati (Lnf) dell’Infn in una nuova sala sperimentale della struttura di test dell’acceleratore lineare, la Beam Test Facility (Btf). L’esperimento è il frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge ricercatori della Cornell University e del College of William and Mary (Usa), dell’istituto Mta Atomki di Debrecen, Ungheria, e dell’Università di Sofia, in Bulgaria (Credit immagine - Slac). [Eleonora Cossi]

 

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