[as] traiettorie
Dalle particelle all’IA
di Francesca Mazzotta
“Del mio lavoro apprezzo molto la flessibilità nel poter fare ricerca su quello che preferisco e la possibilità di collaborare con ambiti molto diversi tra loro, dalla fisica alle scienze sociali, fino alla linguistica”. Si racconta così Marco Dalla, oggi ricercatore all’Università di Cork, in Irlanda, dove si occupa di intelligenza artificiale e analisi dati.
[as]: In che cosa consiste il tuo lavoro?
[Marco]: Lavoro su un tema dell’informatica teorica che si chiama boolean satisfiability, o in italiano “soddisfacibilità booleana”. Questo problema consiste nel determinare se, per una formula booleana composta da più variabili, il cui valore può essere vero o falso, esista una soluzione che renda la formula sempre vera. Spesso questo problema viene risolto cercando di volta in volta soluzioni appropriate. La mia ricerca consiste, quindi, nell’adoperare tecniche di intelligenza artificiale, in particolare machine e deep learning per analizzare la struttura logica delle formule, stimarne la difficoltà e suggerire strategie di ragionamento che orientino la ricerca di una soluzione.
[as]: Come sei arrivato qui?
[M]: Abbastanza per caso. Mi sono avvicinato all’intelligenza artificiale applicando questi metodi nel campo della fisica delle particelle e, trattandosi di un tema molto in voga, ho pensato che potesse aprire valide opportunità sia nel campo accademico sia nel settore privato.
Ho una laurea triennale in fisica e una laurea magistrale in fisica nucleare e subnucleare, che ho conseguito presso l’Università di Bologna. Durante la tesi magistrale mi sono occupato della caratterizzazione di alcuni sensori dell’esperimento ATLAS al CERN. Non ero però sicuro di voler continuare con lo studio della fisica delle particelle e, su suggerimento del mio relatore, ho iniziato a lavorare su un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale legato a metodi di machine learning e deep learning. Questo progetto è stato il punto di svolta: mi ha permesso di vincere un dottorato all’Università di Cork, dove lavoro tuttora.
[as]: Hai incontrato difficoltà nella transizione tra fisica e intelligenza artificiale?
[M]: Quando ho iniziato il dottorato, non ero l’unico studente con una formazione diversa dall’informatica. Tra i miei colleghi c’erano statistici, matematici, ingegneri; un collega era perfino laureato in legge.
Nonostante questo, soprattutto all’inizio, ho sentito di avere delle lacune abbastanza grandi, che chi proveniva dall’ingegneria informatica non aveva. Tuttavia, durante i miei studi avevo appreso un metodo di studio efficace: sapevo come studiare e dove cercare le fonti, dovevo solo cambiare argomento. Così sono riuscito a colmare le mie lacune.
[as]: Ci sono stati altri vantaggi legati alla tua formazione?
[M]: Sicuramente ho avuto dei vantaggi legati ad alcune materie che ho approfondito nello studiare la fisica: l’analisi matematica ma anche l’algebra e la geometria servono molto per studiare proprio le basi teoriche degli algoritmi di intelligenza artificiale. E anche la statistica, che in fisica delle particelle si utilizza sia per l’analisi dati sia per capire alcuni algoritmi di intelligenza artificiale, è stata utilissima.
[as]: Quali sono le differenze che hai notato tra la ricerca in fisica delle particelle e quella in intelligenza artificiale?
[M]: Nella mia breve parentesi di ricerca in fisica delle particelle ho notato che la ricerca si basa sul lavoro di un gruppo: ognuno fa una parte di lavoro e tutto questo contribuisce a un progetto più grande. Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale ho svolto la maggior parte delle mie ricerche in solitaria: è molto più facile fare da soli un esperimento dalla A alla Z, basta avere accesso a risorse di calcolo neanche troppo potenti e una buona idea.
Un’altra differenza sostanziale è che spesso, nel campo dell’intelligenza artificiale, il fine pratico della ricerca è molto importante: per trovare fondi e finanziamenti è necessario sottolineare il lato pratico.
Inoltre, nella ricerca in intelligenza artificiale, c’è una maggiore collaborazione con il privato. In tutte le conferenze dove presento i miei lavori, infatti, ci sono molte aziende che partecipano. Ci sono anche molte aziende che investono su ricerca non applicata e che contribuiscono a finanziare borse di dottorato. Durante il mio percorso di dottorato, ad esempio, avevamo l’opportunità di svolgere dei tirocini all’interno di aziende che avevano contribuito a finanziare le nostre borse. Io personalmente non l’ho fatto e ho scelto di insegnare all’interno dell’università, ma molti miei colleghi hanno fatto dei tirocini curriculari di alcuni mesi in queste aziende per riuscire a creare un contatto diretto e andare a lavorare con loro alla fine degli studi: un valore aggiunto anche per le aziende, che contribuiscono alla formazione di persone con un profilo elevato e possono assumere alla fine del percorso di dottorato candidati molto validi.
Tuttavia, ci sono argomenti molto in voga, come i Large Language Model, dove di fianco a comunità di ricerca aperte esistono grosse aziende come OpenAI o Google, i cui prodotti vengono gestiti con maggiore discrezione: la gran parte del lavoro resta interna, della fase di sviluppo trapela poco e di solito si rende pubblico solo il prodotto finito.
[as]: Che cosa ti auguri per il tuo futuro?
[M]: Mi piace fare ricerca, mi piace insegnare, mi piace l’ambiente universitario. Mi piace il mio lavoro e spero di poter continuare a farlo il più a lungo possibile.



