[as] riflessi
Rivelatori quantistici a caccia della materia oscura
di Matteo Massicci

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Il calcolo automatico e le telecomunicazioni non saranno i soli settori a beneficiare dell’avvento di tecnologie quantistiche mature. La possibilità di sfruttare, anche alla nostra scala macroscopica, le proprietà del mondo quantistico sta infatti aprendo la strada verso un nuovo approccio nella ricerca di candidati per la materia oscura, la misteriosa e predominante componente di materia presente nell’universo, di cui siamo oggi in grado di osservare unicamente gli effetti gravitazionali (vd. Il lato oscuro dell'universo, ndr). E proprio lo sviluppo di sensori quantistici in grado di esplorare range di energia non accessibili con gli attuali rivelatori, e dietro i quali potrebbe nascondersi la materia oscura, è tra gli obiettivi su cui si stanno concentrando gli sforzi del SQMS (Superconducting Quantum Materials and Systems Center), centro del Fermilab dedicato alla ricerca di nuove tecnologie per il quantum computing e il quantum sensing. Un’attività a cui l’INFN, in veste di unico partner non statunitense dell’iniziativa, collabora in prima linea attraverso infrastrutture e gruppi di ricerca, come quello a cui lavora Caterina Braggio, ricercatrice INFN dell’Università di Padova. Il suo gruppo di ricerca si sta concentrando sullo sviluppo di un apparato sperimentale con il quale dare la caccia a una particolare classe di possibili costituenti della materia oscura, gli assioni (vd. Un secondo dopo, ndr).

 

[as]: Che caratteristiche hanno i rivelatori di materia oscura di cui si sta occupando il vostro gruppo e in cosa consiste il vostro lavoro?

 

[Caterina Braggio]: I rivelatori su cui ci stiamo focalizzando si basano su una tecnologia in realtà già nota, sviluppata a partire da un’idea proposta nel 1982 dal fisico teorico Pierre Sikivie, il quale la concepì al fine di trovare evidenze della presenza di assioni all’interno dell’alone di materia oscura, halo in inglese, che, stando alle osservazioni astronomiche, circonderebbe la nostra galassia. Da qui il loro nome, “aloscopi”. Questi strumenti si basano su cavità risonanti immerse in un campo magnetico, la cui ampiezza è milioni di volte quella del campo magnetico terrestre, all’interno delle quali si ipotizza possa avere luogo la conversione degli assioni in fotoni. Nell’ambito delle attività promosse da SQMS, il nostro lavoro, che è complementare alle attività portate avanti al Fermilab, mira ad aumentare l’efficienza del processo di conversione degli assioni in fotoni e di incrementare quindi la sensibilità degli aloscopi, connessa a un parametro di cavità chiamato “fattore di merito”, rendendoli capaci di esplorare frequenze più elevate di quelle sondate finora.

 

[as]: In che modo i vostri aloscopi appartengono alla categoria delle tecnologie quantistiche?

 

[CB]: Oltre agli sforzi rivolti al miglioramento delle prestazioni delle cavità risonanti, che rappresentano indubbiamente il cuore degli aloscopi, nei nostri laboratori stiamo affrontando un’altra sfida legata alla ricerca di materia oscura mediante questa tipologia di set up sperimentale, ovvero l’individuazione del segnale prodotto dagli assioni convertiti in fotoni. Un compito particolarmente difficile a causa delle ridotte potenze di segnale previste dai modelli teorici, per cui il segnale è immerso nel rumore introdotto dal ricevitore elettronico utilizzato per la lettura del segnale in cavità. Il tempo necessario per sondare lo spazio plausibile dei parametri è deciso sulla base del livello di rumore introdotto, che risulta minimo se utilizziamo amplificatori superconduttivi operanti al limite quantistico. Apparati che sono inoltre raffreddati alle temperature più basse nell’universo, perché il contributo di rumore termico deve essere anch’esso soppresso.

Interno della cavità dielettrica e fasi del bloccaggio e movimentazione dei due semicilindri di zaffiro responsabili della variazione della frequenza di risonanza della cavità.a.
Interno della cavità dielettrica e fasi del bloccaggio e movimentazione dei due semicilindri di zaffiro responsabili della variazione della frequenza di risonanza della cavità.
 

[as]: Quali sono i risultati raggiunti finora e in cosa si differenzia la vostra attività da quella che si sta svolgendo presso il centro SQMS?

 

[CB]: Il nostro lavoro di sviluppo di aloscopi di nuova generazione è complementare e parallelo rispetto a quello del gruppo statunitense ospitato al Fermilab, e ha consentito di ottenere ottimi risultati per quanto riguarda l’incremento delle prestazioni delle cavità risonanti. L’ultimo tra questi, pubblicato a nostra firma proprio quest’anno, fa riferimento allo studio di un prototipo che abbiamo realizzato inserendo due gusci di materiale dielettrico in una cavità cilindrica convenzionale in rame. La particolare configurazione così ottenuta ci ha infatti consentito di limitare i processi dissipativi sulle pareti di cavità, ottenendo quindi elevati fattori di merito. L’attività dei colleghi statunitensi si sta invece focalizzando sull’adozione di materiali superconduttori in grado di tollerare elevati campi magnetici, come avviene per alcune leghe di niobio, per la costruzione delle cavità. Una strategia che si è dimostrata a sua volta incoraggiante.

 

[as]: Quali saranno i prossimi passi nell’ambito della collaborazione SQMS e come vi state preparando a migliorare ulteriormente la sensibilità degli aloscopi?

 

[CB]: Sebbene la nostra tecnica di misura sia già avanzata, anche con l’utilizzo di amplificatori superconduttivi, lo spazio aperto per possibili assioni più pesanti, corrispondenti a frequenze più elevate, non può essere sondato in tempi ragionevoli. Questo limite, che è imposto dalla meccanica quantistica, viene superato cambiando paradigma nella lettura del segnale di cavità, ovvero andando a contare i fotoni generati piuttosto che le ampiezze del campo elettromagnetico della cavità. Sarà quindi necessario fare ricorso a sensori quantistici in senso stretto, come quelli che si basano su “atomi artificiali”, i qubit superconduttivi utilizzati per i primi dimostratori di calcolo quantistico. Ed è proprio questa la direzione che intraprenderemo nel prossimo futuro. Nel nostro laboratorio stiamo infatti preparando un esperimento pilota in cui l’aloscopio sarà dotato di un contatore di fotoni nelle microonde composto da un qubit con le caratteristiche appena descritte, chiamato transmon qubit, che aprirà la strada all’utilizzo di questi dispositivi nel campo della ricerca di materia oscura.

 

 

 
 

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