Ai confini dell’universo
Il telescopio spaziale James Webb

di Giovanna Giardino

Immagine della Nebulosa Carina ottenuta da una delle prime osservazioni del telescopio Webb
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Immagine della Nebulosa Carina ottenuta da una delle prime osservazioni del telescopio Webb. Nelle dense regioni di gas e polvere (in colore bruno) si stanno formando nuove stelle. La ricchezza di dettagli in questo “panorama cosmico” dimostra la straordinaria sensibilità di questo nuovo osservatorio spaziale.

In base alle nostre stime ci sono, nell’universo, oltre cento miliardi di galassie (ognuna contenente fino a molte centinaia di miliardi di stelle), come la galassia in cui viviamo, la Via Lattea. Come si sono formate tutte queste galassie? Quali processi astrofisici sono alla base della loro nascita ed evoluzione? Rispondere a domande come queste è la sfida per cui il telescopio spaziale James Webb (JWST – James Webb Space Telescope) è stato costruito: un telescopio che potesse spingere lo sguardo dell’umanità oltre l’orizzonte del telescopio Hubble o dei grandi telescopi a terra. Per capire come nascono ed evolvono le galassie è necessario osservarne i progenitori, ovvero le proto-galassie che vediamo agli albori della storia cosmica, oggetti così lontani che la luce impiega oltre 13 miliardi di anni per raggiungerci, cosicché li vediamo com’erano poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, durante le fasi iniziali della loro formazione. Il segnale luminoso che riceviamo da queste galassie è estremamente debole e centrato alle frequenze del vicino e medio infrarosso dato che, nel viaggio attraverso lo spazio cosmico in espansione, la lunghezza d’onda della luce viene dilatata. È così che il segnale emesso nella banda visibile dalle stelle nelle galassie primordiali arriva a noi “spostato” verso il rosso. Per studiare l’origine delle galassie è quindi necessaria una strumentazione capace di rivelare segnali molto deboli nell’infrarosso – una regione dello spettro elettromagnetico per lo più accessibile solo fuori dall’atmosfera. È così che nasce il telescopio Webb. Dotato di uno specchio primario con un diametro di 6,5 m, corrispondente a un’area di oltre 6 volte quella del telescopio spaziale Hubble, e di uno schermo solare delle dimensioni di un campo da tennis, l’osservatorio opera in regime criogenico: ciò significa che sia il telescopio sia la strumentazione primaria sono mantenuti a una temperatura molto bassa, di circa -230°C, il che permette loro di funzionare in maniera ottimale nella banda infrarossa. L’osservatorio è in orbita attorno a un punto di equilibrio del sistema Terra-Sole (il punto di Lagrange L2) a una distanza di 1,5 milioni di km dalla terra (circa quattro volte la distanza della Luna dalla Terra). Questa traiettoria consente al telescopio di poter osservare, nell’arco di un anno, qualsiasi punto del cielo, mantenendo un orientamento tale da essere sempre all’ombra del suo schermo solare, e quindi sempre al freddo. I 18 elementi esagonali che compongono lo specchio primario sono realizzati in berillio, elemento al contempo molto resistente e leggero, e ricoperti da una sottilissima patina d’oro, il metallo che meglio riflette i raggi infrarossi. Come tante altre componenti di Webb, la realizzazione di queste ottiche ha richiesto lo sviluppo di tecniche innovative. Ovviamente, oltre allo studio della formazione delle galassie, un telescopio così avanzato e potente è ideale per osservare molti altri tipi di sorgenti astronomiche: dalle strutture di gas e polvere, dove si formano le stelle, ai corpi del sistema solare, dal materiale incandescente in orbita attorno ai buchi neri agli esopianeti – i pianeti che osserviamo al di fuori del sistema solare, in orbita attorno a stelle, per così dire, “nel nostro vicinato”.

Il telescopio Webb al termine dei test eseguiti nei laboratori del Johnson Space Center della NASA in Texasb.
Il telescopio Webb al termine dei test eseguiti nei laboratori del Johnson Space Center della NASA in Texas, nel 2017. Sul retro, l’entrata e l’enorme porta del gigantesco criostato usato per ricreare le condizioni di vuoto e freddo dello spazio.
 
Non c’è da stupirsi quindi che tutta la comunità astronomica mondiale fosse con il fiato sospeso il giorno del lancio della missione, il 25 dicembre del 2021, e in stato di alta tensione nei giorni successivi durante le delicate operazioni di dispiegamento, quando lo schermo solare e il telescopio sono stati manovrati dalla configurazione compatta del lancio a quella finale di osservatorio spaziale – una particolarità questa, di doversi aprire nello spazio, che ha fatto paragonare il telescopio Webb ai cosiddetti personaggi “transformer” amati dai bambini e che gli ha conferito un’aura quasi fantascientifica. Tutto è andato secondo i piani e il grande sforzo ingegneristico richiesto per costruire il telescopio Webb è stato ripagato. Il lancio della missione Webb effettuato con il razzo europeo Ariane 5 dallo spazioporto dell’Agenzia Spaziale Europa (ESA) è uno dei contributi dell’industria e della comunità scientifica europea a questa missione. Gli altri due elementi fondamentali dell’osservatorio sviluppati in Europa sono lo spettrografo, che opera nell’infrarosso vicino, NIRSpec, e parte dello strumento per le osservazioni nel medio infrarosso, MIRI. NIRspec è il primo spettrografo cosiddetto “multi-oggetto” lanciato nello spazio e che ci permette di raccogliere, simultaneamente, lo spettro ad alta definizione della luce emessa da centinaia di oggetti nel campo di vista. I primi dati scientifici acquisiti da Webb a giugno dell’anno scorso sono stati resi pubblici attraverso la pubblicazione di immagini straordinarie. Come non ricordare alcune delle immagini iconiche apparse in quei giorni sui nostri giornali e nella televisione, come il campo di cielo con migliaia di galassie, alcune tra le più lontane (e quindi più giovani) mai osservate, oppure l’affascinante panorama cosmico della Nebula Carina, dove le strutture eteree di gas e polveri si innalzano come giganti montagne. Anche se meno appariscenti, insieme a queste immagini, sono presenti anche preziosi dati spettroscopici raccolti da NIRSpec e MIRI: ad esempio, gli spettri delle galassie primordiali che ci permettono, per la prima volta, di rivelare e quantificare la presenza di elementi chimici come l’ossigeno e il carbonio in questi oggetti; o la spettroscopia delle atmosfere degli esopianeti che transitano di fronte alla loro stella. In questo campo, Webb ha aperto una nuova era, e potrebbe aiutarci a capire se in alcuni di questi mondi alieni vi sono le condizioni chimico-fisiche che associamo alla presenza di attività biologica. Webb è stato costruito per funzionare per almeno dieci anni e, date le riserve di carburante (grazie anche al lancio perfetto eseguito da Ariane 5), pronostici recenti stimano un futuro di non meno di vent’anni di osservazioni. Insomma, l’avventura è appena cominciata!
 

Biografia
Giovanna Giardino è ricercatrice al Centro Scientifico e Tecnologico dell’ESA nei Paesi Bassi. Presso l’ESA, ha contribuito alla realizzazione del satellite Planck che, lanciato nel 2009, ha eseguito le più accurate osservazioni della radiazione cosmica di fondo e dal 2010 è parte del gruppo responsabile dello sviluppo e calibrazione dello strumento europeo NIRSpec, l’avanzato spettrografo a bordo del telescopio spaziale Webb.

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2023.34.04
 

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