Uno sguardo all’orizzonte
Immagini di buchi neri supermassicci

di Mariafelicia De Laurentis

fotogrammi
del buco nero M87* a.
I vari fotogrammi del buco nero M87* dell’aprile 2019. Il segmento, di lunghezza pari a 50 milionesimi di secondo d’arco (1 secondo d’arco è uguale a 1/3600 di un grado), mette in evidenza l’incredibile potere risolutivo angolare necessario per ottenere questo tipo di immagine.

Nell’aprile 2019 il mondo scientifico è rimasto a bocca aperta quando il progetto internazionale Eht (Event Horizon Telescope) ha annunciato di aver “scattato” una foto a un buco nero, precisamente al buco nero M87* che si trova al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A. La prima foto mai ottenuta di un buco nero non è solo un’immagine affascinante e tecnicamente straordinaria, ma è anche un risultato scientifico di grande importanza che, tra l’altro, fornisce la prova diretta dell’esistenza di buchi neri supermassicci al centro delle galassie e dei nuclei galattici attivi. Questo tipo di osservazioni fornisce un nuovo strumento di indagine della gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa finora non accessibile, allo scopo di verificare le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate a partire dalla relatività generale. Ma cosa stiamo realmente guardando? Ciò che definisce un buco nero è principalmente il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, ovvero il limite causalmente connesso dello spaziotempo deformato dalla enorme massa concentrata in un volume molto piccolo, oltre il quale non possiamo ricevere informazioni e da cui né la materia né la radiazione possono sfuggire. Se un’astronave superasse questo limite puramente geometrico, non osserverebbe in realtà nulla di speciale, almeno fino a quando non si avvicinasse troppo alla singolarità o quando cercasse di tornare indietro. Possiamo immaginare l’orizzonte degli eventi come l’orlo di una cascata: oltre il suo bordo lo spaziotempo cade precipitosamente verso una singolarità che distrugge tutto. Da quel punto in poi le leggi della fisica, così come le conosciamo, non valgono più. Il che significa che tutte le teorie su ciò che sta oltre quel limite sono solo speculazioni. Il destino dell’astronave dipenderebbe in realtà dal tipo di buco nero, distinto da parametri fisici come la rotazione o la carica elettrica. Attualmente sono state osservate tre classi di buchi neri: quelli di massa stellare, formati dal collasso di singole stelle molto grandi, quelli supermassicci e quelli di massa intermedia. I buchi neri supermassicci si trovano al centro della maggior parte delle galassie e possono raggiungere decine di miliardi di masse solari. Essi attraggono le stelle attorno a loro e tendono ad accrescere sempre di più la loro massa. I buchi neri di massa intermedia si formano attraverso un simile processo di accrescimento su scala minore. Gli effetti su un osservatore sono più spettacolari nel caso dei buchi neri più piccoli di massa stellare. Essi hanno in realtà un “gradiente” gravitazionale estremo rispetto a quelli supermassicci, cioè si osserva una grande differenza di attrazione gravitazionale tra punti a piccola distanza. Passando vicino a uno di questi oggetti sul quale non cade materia, l’unico indizio della sua esistenza sarebbe l’effetto di “lente gravitazionale” sulle stelle dello sfondo, le cui immagini risulterebbero ingrandite dal percorso della luce lungo lo spaziotempo notevolmente distorto. Avvicinandosi, anche la nostra ipotetica astronave inizierebbe a subire gli effetti del forte campo gravitazionale distorcendosi, senza cambiare il volume, in un modo peculiare, cioè allungandosi in una direzione e schiacciandosi in quella perpendicolare, in un processo detto di “spaghettificazione”. Questo spettacolare fenomeno è stato in realtà osservato nella cattura di stelle che sono poi state compresse e frantumate attraverso il materiale non caduto oltre l’orizzonte degli eventi ma emesso nello spazio. Al contrario, una nostra esperienza di immergersione in un buco nero supermassiccio o di massa intermedia sarebbe ben diversa. Poiché la gravità superficiale dei buchi neri è inversamente proporzionale alla loro massa, non sperimenteremmo nulla di speciale superato l’orizzonte: solo un avvicinamento soggettivamente eterno verso un’irraggiungibile regione nera. E se volessimo osservare questi mostruosi pozzi gravitazionali comodamente dal nostro pianeta? Il forte campo gravitazionale di un buco nero non solo deforma lo spaziotempo, ma causa anche il surriscaldamento di qualsiasi materiale circostante. Una parte della materia resa così incandescente (nello stato di plasma in cui nuclei atomici e gli elettroni sono separati) cade oltre l’orizzonte degli eventi, scomparendo per sempre, mentre una parte viene espulsa a velocità relativistiche (vicine a quelle della luce) in potenti getti di materia. L’accelerazione delle particelle elettricamente cariche del plasma causa l’emissione di radiazione (detta “di sincrotrone”) che crea quindi una regione luminosa appena fuori dall’orizzonte degli eventi, nella quale i fotoni seguono orbite irregolari e le cui dimensioni e forma dipendono dalle proprietà del buco nero. In questa regione luminosa il buco nero dovrebbe risaltare come un’ombra perfetta, causata dalla cattura della luce dall’orizzonte degli eventi: un fenomeno mai osservato fino ad ora. Per osservare una tale immagine occorrono strumenti in grado di distinguere un dettaglio senza precedenti. Eht ne è un esempio ed è stato realizzato per studiare, oltre al buco nero già fotografato M87*, l’ambiente circostante a Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio più vicino a noi, che si trova al centro della Via Lattea, la nostra galassia. Eht e il risultato ottenuto rappresentano il culmine di decenni di lavoro tecnico e teorico, un impegno che ha richiesto la stretta collaborazione di oltre 200 ricercatori di tutto il mondo. L’esperimento si basa sull’interferometria radio a lunga distanza e lavora sulla lunghezza d’onda di 1,3 mm, pari a una frequenza di circa 230 GHz. Esso usa uno strumento del tutto nuovo e con il più alto potere risolutivo angolare mai ottenuto. Per capirci, il livello di dettaglio raggiunto è tale da poter leggere la pagina di un giornale a New York stando comodamente seduti in un caffè italiano.

 
materia che orbita attorno al buco nero subisce un’intensissima attrazione gravitazionale b.
La materia che orbita attorno al buco nero subisce un’intensissima attrazione gravitazionale che la rende incandescente al punto da portarla in uno stato di plasma, in cui nuclei ed elettroni sono separati. Inoltre, la forte accelerazione produce un’intensa emissione di radiazione, che forma un disco luminoso. L’immagine è fortemente distorta dal lensing gravitazionale, che proietta il disco anche sopra il piano di rotazione. Tutto quello che si trova oltre l’orizzonte degli eventi non è in grado di emettere luce e dunque produce un’ombra, definita da un sottile anello luminoso costituito dagli ultimi fotoni in grado di sfuggire all’attrazione gravitazionale. L’ombra è asimmetrica a causa della rotazione del buco nero e la sua forma dipende dai dettagli della teoria: osservarla con grande precisione potrebbe permettere di distinguere la teoria di Einstein da teorie alternative della gravità.
 
La rete di radiotelescopi che costituisce l’Eht c.
La rete di radiotelescopi che costituisce l’Eht, ovvero il grande interferometro a lunga distanza che ha consentito di costruire l’immagine del buco nero: si tratta di 11 osservatori che coprono quasi tutto il globo terrestre, dalla Groenlandia all’Antartide e dalle Hawaii all’Europa.
 

Come abbiamo detto, l’intensa gravità di un buco nero curva lo spaziotempo, agendo come una lente d’ingrandimento e facendo apparire più grande l’ombra del buco nero stesso. Questo rappresenta una formidabile opportunità di verifica per tutte le teorie fondamentali, prima fra tutte la relatività generale, il cui limite principale è di non essere compatibile con la meccanica quantistica alle piccole scale. Alle grandi scale, inoltre, sono richieste enormi quantità di materia oscura ed energia oscura per spiegare la dinamica dell’universo. Poiché tali forme “esotiche” di materia ed energia non sono state finora rivelate, il problema dell’universo oscuro potrebbe richiedere l’estensione o la modifica della teoria di Einstein (vd. Brividi discreti e Bolle di spazio, ndr). In questo contesto, le osservazioni di Eht, con la precisione del microsecondo d’arco, potrebbero fornire un test decisivo di queste nuove teorie. Per il futuro, si tenterà di ottenere anche un’immagine di Sagittarius A*. Sebbene disti da noi “solo” 25.000 anni luce, è in realtà un’impresa resa più difficile dalla presenza di gas e polvere, fortemente concentrati proprio lungo il disco, ovvero lungo la linea di vista con cui osserviamo il centro della nostra galassia. Il “nostro” buco nero, inoltre, ha una massa di “solo” quattro milioni di masse solari, cioè è 1600 volte più piccolo rispetto a M87*, ed è anche più variabile, poiché la materia cade su di esso in modo turbolento. I primi risultati sono attesi per questo anno, mentre si lavora su altre galassie attive quali Centaurus A, OJ 287 e NGC 1052. Per la “next generation” (ngEht), gli attuali radiotelescopi verranno raddoppiati, per ottenere una migliore risoluzione e quindi vedere con maggiore precisione le sorgenti. Infine, l’ultima frontiera è quella di creare una rete di radiotelescopi formata da satelliti in orbita attorno alla Terra, capaci di restituire immagini cinque volte più nitide.

 

Biografia
Mariafelicia De Laurentis è professoressa di astronomia e astrofisica presso l’Università di Napoli Federico II e ricercatrice dell’Infn di Napoli. Membro dello Science Council dell’Event Horizon Telescope e coordinatrice del gruppo di Gravitational Physics. La sua attività scientifica è incentrata fondamentalmente sull’astrofisica relativistica e la fisica della gravitazione.


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2021.30.5