Una tomografia galattica
Positroni per una Pet alla Galassia.
di Enrico Costa

Se escludiamo l’elusiva materia oscura, e l’ancora più sfuggente energia oscura, l’Universo, fatto di stelle, galassie, polveri e plasma, è costituito da protoni, neutroni ed elettroni. E così il nostro mondo. Piccole quantità di antimateria in forma di antiparticelle, soprattutto positroni e antiprotoni, si formano e si annichilano continuamente, su scale di tempo molto diverse. La massima concentrazione di positroni si ha nel centro della nostra galassia: una caratteristica che offre agli scienziati un’importante opportunità di conoscenza della struttura di questa regione. Quando un positrone interagisce con un elettrone della materia ordinaria, infatti, si annichila originando due fotoni. Rivelando i fotoni da annichilazione è quindi possibile sottoporre la Galassia a una vera e propria indagine Pet, simile a quella sviluppata in campo medico sfruttando i positroni emessi da una sostanza radiotracciante introdotta nel corpo umano.
Tuttavia, un aspetto non trascurabile distingue la Pet medica da quella “galattica”: quando al centro della Galassia si annichila una coppia elettrone-positrone, se uno dei due fotoni generati è emesso verso di noi – e impiegherà 25.000 anni ad arrivare! – l’altro si muoverà nella direzione opposta e si perderà nello spazio.
La Pet galattica non gode quindi di un vantaggio di cui gode la Pet in laboratorio: la presenza di due fotoni di energia esattamente pari a 511 keV (equivalente a metà della massa della coppia elettrone-positrone scomparsa) che rivelati simultaneamente indicano la linea lungo cui si trova la sorgente. La certezza che l’unico fotone rivelato sia originato dall’annichilazione di coppie elettrone-positrone si ha solo misurandone l’energia con rivelatori che abbiano una buona capacità di distinguere energie molto simili (buona risoluzione energetica). Per ricostruire la direzione di provenienza dei fotoni, invece, e distinguere sorgenti vicine (per ottenere, cioè, una buona risoluzione angolare), sono stati ideati nel tempo metodi diversi.
Il pioniere dei rivelatori di fotoni galattici da annichilazione, sviluppato nel 1978, consisteva in un rivelatore al germanio con un collimatore, posto su un pallone stratosferico e in grado di registrare fotoni entro un angolo di 11°.

a.
Lo spettrometro del satellite europeo Integral. I rivelatori di germanio raffreddati misurano con grande precisione l’energia dei fotoni gamma e, in modo approssimativo, il punto in cui vengono assorbiti. Bloccando i fotoni da tutte le direzioni, tranne quelli che passano attraverso una maschera di tungsteno, si ricostruiscono immagini del cielo.

1. La maschera codificata: una piastra di tungsteno con una matrice di fori disposti secondo uno schema definito.
2. Matrice di rivelatori di germanio.
b.
Trenta anni fa la scoperta dell’antimateria galattica in un esperimento condotto nel 1978 ai laboratori Bell. Un rivelatore di Germanio di 120 cm2 posto su un pallone stratosferico era raffreddato con azoto liquido e schermato con ioduro di sodio per impedire ai fotoni gamma di raggiungere il rivelatore. Un foro (collimatore) lasciava passare solo i fotoni entro un angolo di 11° dal centro galattico.

Puntando alternativamente il centro della Galassia e altre parti del cielo, per differenza, si trovò un flusso di fotoni dal centro riconducibile a un’emissione di 2,6 x 1043 positroni al secondo. Quale misteriosa sorgente poteva fare tanto? Le attuali osservazioni radio, ottiche e nei raggi X, mostrano nella zona innumerevoli sorgenti della natura più disparata e, tra queste, anche un buco nero gigante. Oggi il collimatore è stato sostituito da un nuovo strumento, la maschera codificata, capace di ricostruire una vera e propria immagine del cielo e di distinguere sorgenti vicine tra loro anche in zone molto affollate.

c.
L’immagine della Galassia ottenuta con i fotoni di energia 511 keV. Al centro, l’emissione del bulge galattico di forma sferica. Più aIl’esterno il raccordo tra il bulge e il disco di forma ellittica. Si nota che a destra (a longitudini crescenti) la regione è più estesa.
d.
L’effetto è più chiaro se si sommano tutti gli eventi entro una latitudine di 10° e si riproduce una mappa unidimensionale in longitudine. Il bulge è molto luminoso al centro e si estende per circa 10° a destra e a sinistra. Le ali si estendono sino a circa ±50° ma l’ala a destra è il doppio di quella a sinistra.
e.
Un’immagine del cielo ai raggi X al di sopra di 20 keV, ottenuta con il rivelatore Ibis di Integral, con una risoluzione angolare di 0,2°. Ogni punto è una stella binaria costituita da una stella di piccola massa e un buco nero o una stella di neutroni. Si trova che, nelle regioni corrispondenti alle ali della mappa a 511 keV, il numero di binarie di piccola massa alla destra è il doppio di quello alla sinistra.

Ne è dotato il satellite Integral (INTErnational Gamma-Ray Astrophysics Laboratory) dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), in orbita intorno alla Terra dall’ottobre del 2002. Integral è costitutivo da due strumenti principali: Spi, dotato di una grande risoluzione energetica, e Ibis che eccelle in quella angolare. Le osservazioni condotte da Integral sono in grado di stabilire che i fotoni di annichilazione provengono da una regione al centro della Galassia, detta bulge, di forma sferica con un diametro di circa 20°. Ibis, però, non è in grado di risolvere l’emissione in sorgenti, quindi probabilmente i positroni sono emessi da una regione diffusa o da molte sorgenti deboli.
Di tutte le ipotesi possibili a priori, per spiegare l’intensa emissione di positroni, solo due sono ammissibili al confronto con i dati sperimentali, in quanto non incompatibili con essi. La prima è data dai numerosi buchi neri e stelle di neutroni presenti nella zona centrale della Galassia, anche sotto forma di sistemi binari, che a causa degli intensi campi possono produrre coppie elettrone-positrone. Una seconda possibilità è che, in una regione di alta densità e in prossimità del buco nero gigante, alcune delle particelle ipotizzate come costituenti della materia oscura decadano o si eccitino rilasciando coppie elettrone-positrone.

Anche se la materia visibile ha pochissime interazioni con la materia oscura, quest’ultima ipotesi potrebbe essere la chiave per svelare la natura della materia oscura.
Vi è però un’interessante “asimmetria nell’asimmetria”. La evidenziano i dati di Spi pubblicati a gennaio di quest’anno: dove il bulge si raccorda col disco galattico, su entrambi i lati, sono presenti due ali che si estendono per circa 30°. Sorprendentemente la regione a destra ha una luminosità doppia di quella a sinistra. Le sorgenti che ricadono nella nostra prima ipotesi, buchi neri, stelle di neutroni, sistemi binari, emettono raggi X e sono ben risolte da Ibis. Mentre il numero di tutte le altre sorgenti di raggi X è sostanzialmente simmetrico ai lati del bulge, le binarie costituite da una stella ordinaria di piccola massa e da un buco nero o una stella di neutroni presentano, a energie maggiori di 20 keV, la stessa asimmetria spaziale dei fotoni di 511 keV. Visto anche che i modelli di materia oscura non spiegano la asimmetria, è probabile che proprio queste binarie, numerose nel bulge, siano la principale sorgente dei positroni. Forse questo risolve il mistero!

[as] approfondimento
La maschera codificata


La maschera codificata è un’estensione del principio della camera oscura utilizzata per ottenere “fotografie” del cielo nelle quali siano distinguibili le sorgenti di raggi gamma. Se il rivelatore è in grado di misurare, oltre all’energia, anche la posizione in cui il fotone è stato rivelato, grazie alla maschera è possibile risalire alla posizione delle sorgenti. La maschera codificata consiste di uno strato di materiale assorbitore con una matrice di fori disposti secondo uno schema predefinito: disponendola a una certa distanza dal rivelatore, su questo verrà proiettata un’ombra della maschera, che dipenderà dalla direzione da cui provengono i raggi gamma. Se le sorgenti in campo sono più di una, si otterrà la sovrapposizione di più immagini, la cui intensità e posizione dipenderanno dalla posizione e dalla luminosità delle diverse sorgenti. In questo modo, analizzando le immagini con metodi statistici e matematici, è possibile ricostruire una vera e propria “fotografia” del cielo nella quale sono distinguibili le sorgenti dei raggi gamma. Il metodo non è molto sensibile, ma permette di studiare un grande campo di vista (centinaia di gradi quadrati) separando le sorgenti, soprattutto in zone del cielo molto affollate.

Biografia
Enrico Costa è dirigente di ricerca presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell’Inaf, a Roma. Ha collaborato alla missione BeppoSAX ed è oggi responsabile di SuperAGILE.

 

Link
http://isdc.unige.ch/Outreach/Integral/integral_it.html
http://www.esa.int/SPECIALS/Integral/index.html

 

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