Un mare di antimateria
L’equazione di Dirac, dalla meccanica quantistica al modello standard

di Graziano Venanzoni


a.
Lapide commemorativa di Paul Dirac, inaugurata il 13 novembre 1995 in una navata dell’Abbazia di Westminster (Londra), vicina al monumento dedicato a Newton.

Paul Adrien Maurice Dirac fu senza dubbio uno fra i massimi fisici di tutti i tempi. Dal 1926 al 1928, in tre articoli, gettò le basi della meccanica quantistica, della teoria quantistica dei campi (che poi portò alla formulazione dell’elettrodinamica quantistica, Qed, la prima teoria quantistica dei campi che conciliava la meccanica quantistica e la relatività) e infine – con l’equazione che porta il suo nome – della moderna teoria delle particelle elementari (nota anche come modello standard). La famosa equazione di Dirac per l’elettrone apparve nel 1928. È difficile non provare ammirazione di fronte alla bellezza di una tale equazione. Conciliando la meccanica quantistica e la relatività di Einstein, introduceva un nuovo formalismo a quattro componenti (detti spinori) che andava al di là del concetto di tensore. Permettendo di descrivere il moto dell’elettrone libero, ma anche di entità composite libere come protoni e neutroni, prevedeva un moto di “rotazione” intrinseco dell’elettrone, il cosiddetto spin, con valori quantizzati seminteri (oggi diciamo che l’elicità dell’elettrone, ossia la componente dello spin lungo la direzione di moto, può prendere solo due valori, +1/2 o -1/2), associato a un momento magnetico, che permetteva di spiegare alcuni aspetti “misteriosi” degli spettri atomici, di cui parleremo tra poco. Ma poneva anche un problema nuovo: quello delle energie negative. Infatti, se si risolve l’equazione di Dirac per un singolo elettrone, si ottengono due soluzioni, una positiva e una negativa, allo stesso modo per cui la radice quadrata di 49 è +7 e -7. La soluzione negativa era preoccupante: l’energia negativa, che era in sé un’idea imbarazzante, implicava, per la famosa equazione della relatività speciale di Einstein E = mc² (vd. Creare materia, ndr), una massa negativa: una cosa chiaramente assurda! All’epoca, ovviamente nessuno aveva mai visto questi oggetti con energia negativa. Si racconta che un teorico li chiamò “elettroni asini”: “se li tiri in avanti, si muovono all’indietro”! Capita spesso nell’ambito della ricerca scientifica che la soluzione di un problema ne faccia emergere uno nuovo, completamente inaspettato, la cui soluzione rappresenta un progresso significativo della conoscenza. Capitò così anche a Dirac, che lottò con le energie negative per l’intero 1929, finché non giunse alla conclusione che esse non potevano essere evitate. La spiegazione che diede era che gli stati a energia negativa non si vedono, perché occupano lo stato di minima energia possibile che è lo stato di vuoto. Gli elettroni a energia positiva non possono cadere in questo mare senza fondo, perché non vi è spazio per loro. Però può succedere, così come ogni tanto un pesce salta fuori dall’acqua, che un elettrone presente in questo mare, investito da un fascio di luce, possa saltar fuori, acquistando un’energia positiva e lasciando una buca nella posizione originaria. Questa buca apparirebbe come una sorta di elettrone “opposto”: stessa massa, ma con carica positiva (corrispondente a un’assenza di carica negativa) ed energia positiva. Fu così che l’equazione di Dirac prediceva un nuovo tipo di materia: l’antimateria, del tutto simile alla materia ma con carica opposta (occorre dire, però, che per un bel po’ di tempo Dirac fu riluttante ad accettare la predizione dell’esistenza di un antielettrone, a tal punto da identificarlo con il protone). Qualche anno più tardi l’antielettrone (chiamato positrone) fu scoperto da Carl D. Anderson nei raggi cosmici, scoperta che gli valse il premio Nobel per la fisica del 1936. Fu un vero trionfo per l’equazione di Dirac. “L’equazione – egli disse in seguito – era stata più intelligente di me”. Ma il trionfo sperimentale ancora maggiore fu la produzione di antiprotoni da parte di Emilio Segré e Owen Chamberlain nel 1956, la produzione di antideutoni da parte di Antonino Zichichi e altri nel 1965, per arrivare alla produzione dell’antidrogeno al Cern alla fine del secolo scorso. Oggigiorno i positroni vengono prodotti e utilizzati quotidianamente sia in ambito scientifico che medicale (basti pensare alla Pet – Positron Emission Tomography). L’equazione di Dirac aveva inoltre un’altra conseguenza ancora più sorprendente, destinata a cambiare radicalmente il modo di concepire la materia: le particelle elementari non erano enti immutabili (come secondo la filosofia di Democrito), ma potevano trasformarsi tra loro, così come un fotone (quanto di luce) che interagisse con la materia poteva trasformarsi in una coppia elettrone-positrone.

 
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La Pet (Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni) è una delle tecniche diagnostiche utilizzate oggi per la diagnostica avanzata di neoplasie. Nella foto una Discovery 690 dell’unità di Medicina Nucleare dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, utilizzata anche dai fisici medici dei Laboratori Infn del Sud per la loro formazione.
 
Inoltre, le loro caratteristiche (come per esempio la carica e la massa) erano determinate dalla presenza del vuoto quantistico con il quale esse interagivano. Un’altra predizione dell’equazione di Dirac era il valore pari a due per il fattore giromagnetico g dell’elettrone (o di qualsiasi altra particella elementare di spin pari a 1/2). Si tratta del rapporto (opportunamente “normalizzato”) tra il momento magnetico e quello angolare di spin. Classicamente, un corpo carico rotante intorno a un asse di simmetria produce un momento (di dipolo) magnetico (si pensi a una spira percorsa da corrente) e un momento angolare. Si può dimostrare che in questo caso g = 1, uguaglianza che rimane valida anche nella meccanica quantistica. Nel 1925 Samuel Goudsmit e George Eugene Uhlenbeck mostrarono come l’introduzione di un campo magnetico associato allo spin dell’elettrone poteva spiegare gli spettri atomici osservati nel litio e nel sodio, se si assumeva per g il valore empirico g = 2. Questo valore ebbe la sua naturale giustificazione solo nel 1928, come predizione dell’equazione di Dirac. Dovettero passare circa altri vent’anni prima che misure sperimentali, condotte da John Nafe, Edward Nelson e Isidor Rabi sulla struttura iperfine dell’idrogeno e del deuterio e da Polykarp Kusch e Henry Foley su atomi di gallio, mostrassero nel 1947 che g invece differiva da 2 per circa lo 0,1 %, ossia che esisteva un contributo “extra” (anomalo) al momento magnetico dell’elettrone, espresso dall’anomalia del momento magnetico (indicata con a) nella semplice formula a = (g−2)/2.
Ma cosa provocava questo contributo anomalo al momento magnetico dell’elettrone?
Non potevano che essere le correzioni radiative, il ribollire del vuoto, quel vuoto quantistico pieno di particelle virtuali (le particelle fantasma, presenti ma invisibili, che sono un carattere centrale della teoria quantistica dei campi), a permettere all’elettrone di emettere e assorbire un fotone virtuale. Detto in altre parole, i demoni di Dirac che si agitavano nello stato di vuoto avevano degli effetti tangibili e misurabili! Non fu Dirac, o la prima generazione di fisici che fondarono la meccanica quantistica a calcolare gli effetti delle fluttuazioni del vuoto quantistico, ma una nuova generazione di fisici tra cui Julian Schwinger, enfant prodige della fisica teorica del dopoguerra, che all’età di quattordici anni ebbe modo di assistere a una conferenza di Dirac sulla teoria delle buche. Nel 1948 egli calcolò il contributo anomalo al momento magnetico dell’elettrone trovando un ottimo accordo con il valore sperimentale di Kusch e Foley. Per la misura del momento magnetico anomalo dell’elettrone Kusch ricevette il premio Nobel nel 1955 e Schwinger, assieme a Richard Feynman e Sin- Itiro Tomonaga, nel 1965 per lo sviluppo dell’elettrodinamica quantistica.
La storia delle misure del momento magnetico dell’elettrone e poi, successivamente, del muone è uno dei capitoli più belli della fisica sperimentale. Esperimenti di precisione sempre maggiore hanno messo in evidenza come all’anomalia dell’elettrone e del muone (che data la massa 200 volte quella dell’elettrone, ha una sensibilità maggiore alle fluttuazioni del vuoto quantistico e ai possibili contributi di nuova fisica) contribuiscano non solo le coppie di elettroni e positroni, ma anche i quark e i portatori delle interazioni forti e anche i bosoni W+, W, Z°, messaggeri delle interazioni deboli. Anche il bosone di Higgs dà il suo contributo all’anomalia del muone.
 
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Di Julian Schwinger, fisico teorico, si diceva che il suo laboratorio fosse nella penna.
 
All’inizio degli anni 2000, misurando il momento magnetico anomalo del muone a una precisione di 540 parti per miliardo (che equivale a conoscere il fattore giromagnetico g, paragonato al diametro della Terra, con un’incertezza pari alle dimensioni di una formica), i fisici del Brookhaven National Laboratory di Upton, nello Stato di New York, hanno trovato che il valore misurato si discosta da quello teorico di tre deviazioni standard (e la probabilità che questo accada a causa di una fluttuazione statistica è dello 0,3%). Questa discrepanza, per quanto non conclusiva, potrebbe essere spiegata dal contributo all’anomalia del muone di particelle tuttora ignote, come le particelle supersimmetriche (che si cercano ora in Lhc) o dei nuovi fotoni (particelle di spin pari a 1) con una massa diversa da zero (che potrebbero spiegare la materia oscura). Per poter capire se si tratta di una crepa nel modello standard o di una fluttuazione statistica o di un eventuale effetto strumentale, è in fase di costruzione al Fermilab di Chicago (Usa) un nuovo esperimento (Muon g-2) che misurerà l’anomalia del muone con una precisione di 140 parti per miliardo (vd. fig. d). Anche grazie al risultato di questo esperimento, a cui partecipa per l’Italia anche l’Infn, tra qualche anno sapremo se il modello standard debba essere abbandonato a favore di una teoria più completa.
 
d.
La collaborazione del nuovo esperimento Muon g-2 al Fermilab nei pressi di Chicago, all’interno dell’anello dove verranno accumulati i muoni.
 

Biografia
Graziano Venanzoni è ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Frascati. Da sempre interessato alla fisica di precisione, è responsabile nazionale del nuovo esperimento Muon g-2 per la misura ad altissima precisione del momento magnetico anomalo del muone presso il laboratorio americano Fermilab.

 

Link
http://muon-g-2.fnal.gov/
http://www.treccani.it/enciclopedia/elettrodinamica-quantistica_%28Enciclopedia_del_Novecento%29/


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