Un’intuizione spettacolare
La teoria dell’inflazione cosmica

di Antonio Riotto

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Alan Guth sdraiato sull’opera dell’artista Sol LeWitt “Bars of color within squares”, al Massachusetts Institute of Technology (Mit).

Diversi anni fa, visitando l’Adler Planetarium di Chicago, mi capitò di imbattermi in qualcosa che catturò la mia attenzione: un semplice blocco note a righe dalle pagine ingiallite custodito quasi religiosamente all’interno di una spessa teca di vetro. In evidenza la pagina dove, la notte del 6 dicembre 1979, Alan Guth scrisse quelle due semplici parole, spectacular realization, intuizione spettacolare, che hanno segnato la nascita di una teoria elegante, densa di conseguenze osservative, che ha rivoluzionato il nostro modo di concepire l’origine dell’universo: la teoria dell’inflazione cosmica. Guth ipotizzò un evento sbalorditivo e di durata brevissima. Un evento durante il quale l’universo si espanse in maniera rapidissima e accelerata, aumentando in un battito di ciglia cosmico le sue dimensioni di un fattore almeno 1030: da scale microscopicamente piccole a scale cosmologicamente gigantesche. Un evento avvenuto ai primordi e le cui predizioni osservative ci permettono di spingere la nostra conoscenza dell’universo fino a circa 10-36 secondi dopo il Big Bang. Che cosa aveva spinto quel giovane ricercatore a ipotizzare qualcosa di così temerario? Alla fine degli anni ’70 il cosiddetto modello cosmologico standard dominava la scena. Basato sul fatto che l’universo avesse avuto un’origine, il Big Bang, esso era in grado di spiegare non solo l’espansione dell’universo a partire da una fase primordiale popolata da un gas ad altissima densità e temperatura, ma anche la nucleosintesi primordiale (ovvero la formazione degli elementi chimici leggeri avvenuta dieci secondi dopo il Big Bang), la legge di Hubble, secondo la quale le galassie si espandono tanto più velocemente quanto più sono lontane, e la radiazione cosmica di fondo.

Misurata per la prima volta nel 1965, la radiazione cosmica di fondo è una radiazione elettromagnetica – un fondo a microonde, residuo della fase caldissima attraversata dall’universo durante i suoi primissimi istanti di vita – estremamente uniforme e isotropa: in qualsiasi direzione del cielo la si guardi la sua temperatura è la stessa a meno di piccole disomogeneità dell’ordine di una parte su centomila. Nonostante il suo acclamato successo, il modello cosmologico standard era in grado di spiegare le osservazioni solo a patto di assumere che alcuni parametri della teoria fossero fissati con una precisione che aveva dell’inverosimile. La densità di energia iniziale dell’universo doveva essere prossima a un certo valore critico con una precisione di una parte su 1060. Per rendersi conto di quanto implausibile ciò sia, dovreste immaginare di voler misurare la massa contenuta nel nostro universo senza tralasciare neanche la massa di una cellula umana. Se invece si ipotizza una fase di accelerazione inflazionaria, la densità di energia dell’universo converge rapidissimamente verso quel valore critico, a prescindere dalle condizioni iniziali del nostro universo al momento del Big Bang. Ma la teoria inflazionaria non è solamente il Mr. Wolf di tarantiniana memoria della cosmologia: oltre a risolvere problemi, infatti, è anche densa di implicazioni e ricca di conseguenze osservabili e verificabili. L’inflazione elimina le tracce di qualsiasi proprietà che l’universo aveva prima di essa. In questo senso, l’inflazione rende i concetti di origine dell’universo e del Big Bang superflui: semplicemente non potremo mai verificare che cosa sia avvenuto prima dell’inflazione. Ad esempio, qualsiasi informazione su quali particelle popolassero l’universo dopo il Big Bang ma prima dell’inflazione viene necessariamente persa perché la loro densità viene ridotta a valori infinitesimi dall’espansione esponenziale.

 
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La mappa della radiazione cosmica di fondo osservata dall’esperimento Planck. I diversi colori corrispondono a piccolissime anisotropie della temperatura.

 

Eppure, la predizione più sbalorditiva del paradigma inflazionario è un’altra: quella che consente di spiegare la struttura su grande scala che osserviamo nel nostro universo, ad esempio galassie, ammassi di galassie, e le minuscole anisotropie della temperatura della radiazione cosmica di fondo. Poiché l’inflazione opera durante i primissimi istanti dell’evoluzione dell’universo, quando le energie sono elevatissime rispetto a quelle misurate nella vita quotidiana, le leggi della fisica che ne governano la dinamica riguardano l’infinitamente piccolo e quindi la fisica quantistica. Se da un lato è proprio l’energia del vuoto quantistico che causa l’espansione accelerata durante la fase inflazionaria, per comprendere la relazione con la struttura su grande scala, consideriamo un universo in espansione e osserviamo che cosa accade su distanze microscopiche. Nel vuoto quantistico, coppie di particelle vengono create e distrutte in continuazione grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg. Immaginiamo però ora di aumentare rapidissimamente il volume di tale universo per mimare ciò che succede durante l’inflazione. Invece di annichilirsi, c’è una probabilità non nulla che le particelle si separino di una distanza tale da rendere l’annichilazione impossibile. Un osservatore all’interno di questo universo vedrà quindi delle particelle prodotte dal nulla. Questo effetto quantistico si manifesta inizialmente su piccolissime scale di lunghezza ma, grazie all’inflazione, la fluttuazione viene amplificata fino a scale gigantesche, addirittura cosmologiche. Queste disomogeneità possono poi evolvere sotto l’azione attrattiva della gravità per dare vita alla distribuzione di tutte le strutture osservate nell’universo, così come alle anisotropie della radiazione cosmica di fondo. Inoltre, l’inflazione prevede anche che quanto più l’espansione dell’universo è accelerata, tanto più le perturbazioni generate devono essere invarianti per scala, ovvero la loro ampiezza non deve dipendere dalla scala di lunghezza a cui le si osserva. Questa predizione è stata recentemente verificata e confermata dal satellite europeo Planck, che ha misurato con grandissima precisione la distribuzione angolare delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo.

 
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L’esperimento Bicep2, in Antartide, il cui successore (Bicep3) avrà lo scopo di evidenziare nella radiazione cosmica di fondo le possibili tracce di onde gravitazionali primordiali.
 
E le sorprese non sono ancora finite. Sappiamo che secondo la teoria della relatività generale lo spaziotempo non è un “tessuto” statico come nella teoria della gravitazione universale di Newton, bensì è dinamico, si deforma a seconda di ciò che l’universo stesso contiene. Un’altra predizione della teoria inflazionaria è dunque quella di amplificare le increspature dello spaziotempo provenienti dalle fasi primordiali dell’universo. Queste si manifestano sotto forma di onde gravitazionali che sono così potenzialmente osservabili. La prossima generazione di esperimenti sulla radiazione cosmica di fondo ha come obiettivo primario confermare la loro esistenza misurando i cambiamenti che tali onde gravitazionali potrebbero aver provocato nella radiazione cosmica di fondo. Questo ci aiuterebbe anche a gettare luce sulle teorie oltre il modello standard delle interazioni fondamentali che descrivono i fenomeni fisici a grandissima energia, ad esempio la teoria delle stringhe, la teoria più attraente al giorno d’oggi per unificare la forza di gravità alle altre forze note in natura.
 
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Rappresentazione schematica dell’evoluzione dell’universo. Durante l’inflazione le dimensioni dell’universo sono aumentate in maniera esponenziale di un fattore 1030.
 
L’inflazione potrebbe persino essere il responsabile ultimo della materia oscura, la componente di materia non ordinaria finora rilevata solo grazie ai suoi effetti gravitazionali e che compone circa un quarto del nostro universo. La scoperta, nel 2015, delle onde gravitazionali generate dalla fusione di due buchi neri di massa circa trenta volte la massa del Sole non è solo stata l’ennesima prova della validità della teoria einsteiniana della relatività generale, ma ha anche spronato i cosmologi a ipotizzare che la materia oscura possa essere composta da buchi neri primordiali formatisi nelle fasi iniziali dell’universo. Essi potrebbero formarsi proprio grazie a quelle fluttuazioni quantistiche prodotte durante l’inflazione, rafforzando così l’idea che ciò che l’universo contiene debba la sua origine al mondo dei quanti. La teoria dell’inflazione cosmica rappresenta dunque uno degli esempi più eclatanti in cui il mondo della meccanica quantistica dà il meglio di sé. Il fatto che non solo si possa immaginare e verificare un fenomeno alle origini dell’universo, ma che tale predizione possa essere corretta è una delle più affascinanti dimostrazioni del potere della mente umana.
 

Biografia
Antonio Riotto, è professore ordinario di cosmologia presso l’Università di Ginevra. Si occupa di fisica oltre il modello standard con particolare attenzione agli aspetti cosmologici e astroparticellari.


Link
https://ned.ipac.caltech.edu/level5/Peebles1/frames.html
https://www.worldsciencefestival.com/2015/07/cosmological-inflation-primer/
https://www.esa.int/Science_Exploration/Space_Science/Planck/


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2020.28.2