doppio decadimento beta senza neutrini

  • Assenti giustificati

    Assenti giustificati
    Sulle tracce del neutrino di Majorana

    di Fabio Bellini

    Ogni secondo il nostro corpo è attraversato da decine di migliaia di miliardi di neutrini, le particelle più elusive che conosciamo. Sono passati più di 50 anni dalla loro scoperta, ma le loro proprietà fondamentali sono ancora ignote. Gli intensi sforzi sperimentali dell’ultimo decennio hanno evidenziato che hanno massa, ma anche che essa è estremamente piccola: almeno 500.000 volte più piccola di quella dell’elettrone. Ad affascinare gli scienziati non è solo il valore della massa, ma anche la sua natura intima che potrebbe essere diversa da quella di tutte le altre particelle note. Infatti, i neutrini appartengono alla classe di particelle chiamate fermioni, i quali, in accordo con la teoria di Dirac che li descrive, hanno un partner distinto, chiamato antifermione, con la stessa massa ma con carica opposta. Il neutrino è l’unico fermione elementare a essere privo di carica e per questo potrebbe essere l’antiparticella di se stesso. Il modo più promettente per verificare questa suggestiva ipotesi, formulata da Majorana negli anni ’30, consiste nella ricerca di un processo estremamente raro: il doppio decadimento beta senza (anti-)neutrini.
    Un decadimento beta semplice consiste nella trasformazione di un neutrone in un protone, con l’emissione di un elettrone e di un antineutrino (vd. fig. a). È possibile anche il processo inverso, in cui un neutrino collide con un neutrone producendo un protone e un elettrone. Se il neutrino è una particella di Majorana, cioè coincide con l’antineutrino, l’antineutrino prodotto nel primo decadimento beta potrebbe a sua volta interagire (nei panni di un neutrino) con un neutrone ed emettere un altro protone e un secondo elettrone (vd. fig. a, in basso). È questo il doppio decadimento beta senza neutrini: due neutroni si trasformano in due protoni e due elettroni, senza che vi siano neutrini nello stato finale.
    a.
    Tre possibili processi beta. In alto a sinistra, semplice: un neutrone all’interno di un nucleo decade in un protone (che resta nel nucleo), un elettrone e un antineutrino; in alto a destra, inverso: un neutrino interagisce con un neutrone producendo un protone e un elettrone; in basso, doppio senza neutrini: se il neutrino e l’antineutrino coincidono, l’antineutrino del processo semplice è anche il neutrino che innesca il processo inverso. Nel nucleo restano due protoni e vengono prodotti due elettroni senza neutrini.
    Questo processo è permesso solo nella teoria di Majorana e la probabilità che ciò accada è proporzionale a due diverse quantità: alla probabilità di avere due decadimenti beta simultanei e al quadrato della massa del neutrino. Il secondo aspetto implica anche che l’osservazione di questo processo fornirebbe allo stesso tempo una misura della massa del neutrino. Insomma la scoperta del decadimento doppio beta senza neutrini è una delle sfide più importanti della fisica delle particelle, visto che aprirebbe definitivamente le porte a nuova fisica oltre il modello standard, confermando in un colpo solo la correttezza dell’ipotesi di Majorana, e quindi la natura speciale dei neutrini, e misurandone anche la massa. La vera difficoltà è che la probabilità che ciò si verifichi è piccolissima, così piccola che ci aspettiamo di vedere meno di un evento ogni dieci milioni di miliardi di miliardi di anni, mentre l’universo in cui viviamo ha poco più di tredici miliardi di anni! Sembrerebbe una misura senza alcuna possibilità di riuscita, ma non è così. Affinché il doppio decadimento beta senza neutrini possa avvenire è necessario che i due neutroni siano molto vicini, come lo sono all’interno del nucleo atomico. I nuclei in cui è più probabile che avvenga il decadimento doppio beta senza neutrini sono quelli con un egual numero di protoni e di neutroni: in particolare, si usano isotopi del tellurio, del germanio, dello xenon, del molibdeno e del selenio. Il tellurio (Te) è l’elemento più usato, perché quello che si trova in natura contiene più del 30% dell’isotopo 130Te utile alla misura, a differenza degli altri che contengono solo piccole percentuali dell’isotopo necessario. A questo punto l’osservazione sperimentale del doppio decadimento beta senza neutrini è apparentemente semplice: il decadimento dei due neutroni all’interno del nucleo padre (per esempio, il tellurio) produce due protoni che rimangono nel nucleo figlio (lo xenon, nel caso del tellurio) e l’emissione di due elettroni. Non essendoci altre particelle prodotte sappiamo che la somma delle energie degli elettroni deve essere uguale alla differenza tra la massa del nucleo padre e del nucleo figlio. Per evitare di aspettare più dell’età dell’universo, è necessario osservare molti nuclei insieme: per esempio 100 kg di tellurio corrispondono a quasi un miliardo di miliardi di miliardi di atomi. Con un così alto numero di atomi nel tempo di vita tipico di un esperimento (tra i cinque e i dieci anni) si dovrebbero osservare una decina di eventi. Sì, solo una decina… non pochi per un evento quasi impossibile! Per riconoscere questi pochi eventi basterà misurare l’energia dei due elettroni emessi e controllare che la somma sia quella giusta. La realtà è però assai più complicata a causa del problema del fondo. Questo consiste di tutti quegli eventi che, pur essendo di natura completamente diversa, danno luogo a un segnale indistinguibile da quello degli elettroni emessi nel doppio decadimento beta senza neutrini: due elettroni con la somma giusta di energia. Tale segnale può essere causato da decadimenti radioattivi di materiali vicini ai rivelatori oppure dalle interazioni di particelle provenienti dall’ambiente in cui il rivelatore si trova a operare. Se all’energia a cui ci si aspetta il segnale vi sono molti altri “segnali” dovuti al fondo, osservare i pochi eventi di segnale sarebbe come cercare di captare le note di un violino all’interno di uno stadio di calcio al momento del gol. Il mistero che si cela nella massa del neutrino affascina i fisici di tutto il mondo da tempo. Sono stati ideati rivelatori all’estremo limite della tecnologia conosciuta, per riuscire a trovare un evento così raro come il doppio decadimento beta senza neutrini.
    b.
    Ricercatori all’opera mentre assemblano alcuni dei bolometri dell’esperimento Cuore nei Laboratori del Gran Sasso (vd. approfondimento).
    Già agli inizi degli anni 2000, la ricerca è stata condotta da alcuni esperimenti: da Cuoricino, il prototipo di Cuore (vd. approfondimento), e Heidelberg-Moscow, entrambi ai Laboratori del Gran Sasso, e da Nemo3 nei laboratori sotterranei del Fréjus in Francia. In tutti questi esperimenti sono state usate specie atomiche e tecniche sperimentali diverse, che hanno permesso di sviluppare e mettere a punto i metodi innovativi impiegati dagli esperimenti che inizieranno a prendere i dati nei prossimi anni. Oltre a Cuore, che usa il tellurio e inizierà a prendere dati nel 2015, ci sono Gerda, sempre nei Laboratori del Gran Sasso, che impiega germanio e che scherma il rivelatore usando argon liquido, il giapponese Kamland-Zen, che impiega xenon, e infine Exo, negli Stati Uniti, che usa le proprietà scintillanti dello xenon insieme a un ingegnoso sistema di tracciamento degli elettroni. È ben possibile che nei prossimi anni riusciremo a scoprire almeno un decadimento doppio beta senza neutrini, chiara indicazione di nuova fisica oltre il modello standard, che aprirà la strada a una stagione di nuove misure. Potrebbe anche succedere che nessuno degli esperimenti in funzione riesca nel suo scopo. In entrambi i casi sarà necessario sviluppare rivelatori ancora più sensibili al segnale e ancora più capaci di rigettare il fondo: il progetto Lucifer ha già raccolto questa sfida del domani e svilupperà, presso i Laboratori del Gran Sasso, un prototipo di rivelatore innovativo. Molti degli esperimenti alla ricerca del decadimento doppio beta senza neutrini, come Cuore, operano in condizioni di estremo freddo ma, come ci ricorda il nome di Lucifer, la sfida si preannuncia molto calda.
    [as] approfondimento
    Dritti al Cuore

    1.
    L’Infn ha contribuito al recupero di una nave romana naufragata 2000 anni fa che trasportava piombo. Nella figura uno dei circa 300 lingotti recuperati e poi fusi per costruire lo schermo dell’esperimento Cuore ai Laboratori del Gran Sasso.

    Cuore, in costruzione nei Laboratori del Gran Sasso dell’Infn, è un esperimento ideato per studiare il decadimento doppio beta senza neutrini. Il rivelatore è costituito da circa mille cristalli di diossido di tellurio (equivalenti a circa 200 kg dell’isotopo 130Te), ciascuno funzionante come un bolometro. Con questo nome si indica uno strumento capace di misurare l’innalzamento di temperatura prodotto dal passaggio al suo interno di una particella carica, per esempio un elettrone. La variazione di temperatura è determinata dalla capacità termica del bolometro stesso: più quest’ultima è piccola, più la variazione di temperatura provocata dal passaggio dell’elettrone sarà grande e quindi facile da misurare. A basse temperature, la capacità termica diminuisce come il cubo della temperatura stessa: i cristalli di Cuore sono dunque tenuti a una temperatura molto bassa, 10 millesimi di kelvin, condizione necessaria per misurare le piccolissime variazioni di temperatura indotte dal passaggio degli elettroni emessi nel doppio decadimento beta senza neutrini. I Laboratori del Gran Sasso si trovano in grandi sale scavate accanto a una delle gallerie autostradali che attraversano la montagna del Gran Sasso, in Abruzzo. La roccia della montagna, con uno spessore equivalente a circa 3500 m di acqua, assorbe le particelle di origine cosmica e riduce drasticamente il contributo al fondo dovuto all’ambiente esterno. Luogo ideale per la ricerca di eventi rari, ma non ancora sufficiente per la misura del decadimento doppio beta senza neutrini. Infatti, le medesime rocce che proteggono dal fondo esterno, producono la cosiddetta radioattività naturale, dovuta a isotopi radioattivi contenuti nelle rocce stesse. Cuore è stato schermato da questo fondo, usando diversi materiali radiopuri, caratterizzati cioè da una radioattività naturale molto bassa. In particolare lo strato più vicino al rivelatore di segnale (i cristalli di diossido di tellurio) è stato realizzato con piombo antico di origine romana, recuperato pochi anni fa dal fondo del mare sardo, dove era rimasto per più di duemila anni dopo un naufragio: essere stato al riparo così a lungo dai raggi cosmici rende questo piombo lo schermo più radiopuro disponibile oggi.

    Biografia
    Fabio Bellini è ricercatore presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza. Dottorato nell’esperimento Babar, dal 2006 si è dedicato alla ricerca del doppio decadimento beta senza neutrini negli esperimenti Cuoricino, Cuore e Lucifer di cui è responsabile nazionale.

     

    Link
    http://crio.mib.infn.it/wigmi/pages/cuore.php
    http://www.lngs.infn.it


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  • Con passo leggero

    Con passo leggero
    Che cosa sappiamo sulla massa dei neutrini?
    di Francesco Vissani

    a.
    Il fisico austriaco Wolfgang Pauli, che nel 1930 per primo intuì l’esistenza del neutrino.
    L’idea che i neutrini potessero avere una massa è nata con i neutrini stessi. Nella famosa lettera del 1930, indirizzata ai “cari signore e signori radioattivi”, Wolfgang Pauli sosteneva che queste particelle “differiscono dai quanti di luce, in quanto non viaggiano alla velocità della luce”. Seguendo queste idee e grazie alla supernova SN1987A (la prima e unica mai osservata come sorgente di neutrini, mezzo secolo dopo l’affermazione di Pauli), abbiamo imparato che la massa dei neutrini non può superare i 6 eV. Tre anni dopo la lettera di Pauli, Enrico Fermi proponeva di investigare una regione specifica del processo nucleare in cui i neutrini sono emessi: quella in cui l’energia cinetica dei neutrini è piccola e dove, pertanto, gli eventuali effetti dovuti alla loro massa vengono amplificati. Ma anche questo metodo di indagine, nel corso degli anni, non ha dato che dei limiti sulla massa dei neutrini, mostrando che essa deve essere più piccola di 2 eV. I limiti più restrittivi disponibili provengono dalla cosmologia, che vincola la somma della massa dei tre tipi di neutrini conosciuti (chiamati elettronico, muonico e del tau) a essere meno di 0,6 eV. A breve, grazie ai dati della missione spaziale Planck Surveyor, dovremmo sapere che cosa succede sotto questo limite . Per adesso, l’unico metodo che ha fornito delle misure anziché dei limiti superiori è quello proposto da Bruno Pontecorvo nel 1957. Questo si basa sulla cosiddetta oscillazione dei neutrini, termine che indica la trasformazione dei neutrini da un tipo in un altro (vd. fig. b). La spiegazione di questo fenomeno, offerta dalla meccanica quantistica, è che il neutrino di un dato tipo sia un “mix” di neutrini (1, 2 e 3) di masse diverse (vd. fig. c). Siccome questi neutrini, che si propagano come onde, hanno una diversa velocità, essi acquistano fasi diverse: pertanto, durante la propagazione, la composizione del neutrino si modifica. Dallo studio delle oscillazioni si possono desumere informazioni sulla massa dei neutrini, dato che le differenze di fase delle onde sono proporzionali alle differenze dei quadrati delle masse. Le differenze misurate sono molto piccole in confronto ai limiti sperimentali di cui abbiamo parlato sopra, che sono intorno all’eV, e addirittura minuscole quando le confrontiamo con la massa delle particelle cariche: basti pensare che la più leggera di esse, l’elettrone, pesa circa mezzo milione di eV.

    b.
    Raffigurazione dell’oscillazione del
    neutrino, da muonico a del tau.

    c.
    Quale è lo spettro di massa dei neutrini? I tre tipi di neutrino conosciuti, noti come neutrino elettronico, muonico e del tau, sono in realtà un “mix” di altrettanti neutrini, con masse ben definite e differenti, chiamati 1, 2 e 3. Gli esperimenti indicano che 2 pesa più di 1, ma non sappiamo ancora se il terzo neutrino sia il più pesante (a sinistra), oppure il più leggero (a destra).
    Nel prossimo futuro, lo studio dell’oscillazione verrà approfondito. Per prima cosa si mirerà a capire qualcosa di più sulla massa dei neutrini noti. Vorremmo sapere se le loro masse sono disposte gerarchicamente, come avviene per le altre particelle elementari (ad esempio, nel caso dei leptoni, il muone è circa 200 volte più pesante dell’elettrone e il tau circa 3500 volte, vd. Di massa in massa), ma al momento non possiamo escludere che ci sia una coppia di neutrini di massa quasi uguale e un terzo neutrino più leggero. Un secondo problema dibattuto è se il fenomeno dell’oscillazione coinvolga solo i tre neutrini noti o se esistano nuovi tipi di neutrini. Le indicazioni al riguardo sono confuse e la cosmologia pone vincoli stringenti, ma scoprire una nuova particella elementare avrebbe un effetto dirompente sulle ricerche.

    [as] approfondimento
    Oscillazioni alla prova

     

    1.
    L’osservatorio per neutrini Super-Kamiokande in Giappone contiene 50.000 tonnellate di acqua che vengono osservate da oltre 10 mila fotomoltiplicatori. L’interazione di un neutrino con gli elettroni o i nuclei dell’acqua può produrre una particella carica che, muovendosi nell’acqua a una velocità superiore a quella della luce nell’acqua stessa, produce un lampo di luce. Questo fenomeno, chiamato effetto Cherenkov, viene registrato dai fotomoltiplicatori, portando informazioni sul neutrino che lo ha prodotto.

     

    Avendo a disposizione un fascio di neutrini la cui composizione iniziale sia ben nota, possiamo verificare la presenza di oscillazioni in due modi diversi. Nel primo modo, si osserva una scomparsa di neutrini. Ad esempio, vari esperimenti hanno verificato che i neutrini elettronici provenienti dal Sole erano meno numerosi del previsto, mentre altri esperimenti hanno constatato che lo stesso avveniva ai neutrini muonici prodotti nell’atmosfera terrestre. Tra gli esperimenti da ricordare a questo proposito, che hanno operato dagli anni ’70 in poi, ci sono lo statunitense Homestake, Kamiokande e Super-Kamiokande in Giappone, il canadese Sno ma anche Macro, Gallex/Gno e Borexino dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn. Nel secondo modo si osserva una comparsa di neutrini di tipo diverso da quello iniziale. L’osservazione di questo fenomeno è l’obiettivo principale dell’esperimento Cngs (Cern Neutrinos to Gran Sasso). Esso coinvolge il Cern di Ginevra, da dove viene inviato un fascio di neutrini muonici, e di nuovo i Laboratori del Gran Sasso, dove si trovano due rivelatori, Opera e Icarus, che registrano l’arrivo dei neutrini e ne identificano il tipo. Il rivelatore Opera ha mostrato la presenza di neutrini di tipo tau, offrendo così un’ulteriore conferma dell’esistenza delle oscillazioni e del fatto che il neutrino abbia una massa. Icarus, invece, ha posto un limite al coinvolgimento di neutrini di tipo elettronico nello stesso fenomeno.

    Ora allarghiamo il quadro. La scoperta del bosone di Higgs celebra il trionfo del modello standard delle particelle elementari. Ma questo modello prevede che la massa dei neutrini sia nulla e questo contraddice l’esistenza delle oscillazioni. In altre parole, gli esperimenti hanno già dimostrato che il modello standard non è una descrizione completa del mondo delle particelle elementari. Non è difficile proporre qualche sua estensione che spieghi la massa dei neutrini. È tuttavia difficile farlo in modo convincente e verificabile. Un contributo importante viene proprio dallo studio sperimentale della massa dei neutrini. È opinione diffusa tra i fisici che i neutrini siano dotati di una massa di origine particolare, detta di Majorana. Se così fosse, sarebbe possibile un nuovo tipo di transizione nucleare, in cui un nucleo atomico cambia di due unità la carica elettrica, creando due elettroni e nient’altro (noto come doppio decadimento beta senza neutrini), cosa che nel modello standard è impossibile. Dalla misura della probabilità di questa ipotetica transizione, si potrebbe determinare la massa dei neutrini in modo indipendente. L’esperimento Heidelberg- Moscow dei Laboratori del Gran Sasso è l’unico a sostenere di aver osservato questa transizione, anche se la probabilità misurata indica un valore della massa oltre il limite stabilito dalla cosmologia. Le verifiche per adesso effettuate dall'esperimento statunitense Exo e da quello giapponese Kamland-Zen non hanno dato riscontro positivo, ma le prove dirimenti saranno quelle effettuate dagli esperimenti Gerda e Cuore nei Laboratori del Gran Sasso dell’Infn. Nei prossimi mesi, sapremo se bisognerà avviare radicali e stimolanti ripensamenti o se il quadro teorico esistente ne uscirà rafforzato. Al giorno d’oggi, i teorici si adoperano per costruire estensioni predittive del modello standard, in cui i neutrini abbiano massa; dibattono se quegli stessi modelli siano capaci di spiegare l’asimmetria cosmica tra materia e antimateria (o, per usare termini più evocativi, l’origine della materia); valutano le implicazioni per Lhc. In ogni caso, le masse dei neutrini restano uno dei principali strumenti sperimentali per investigare la fisica oltre il modello standard.
    d.
    Un particolare dell’esperimento Gerda (GERmanium Decay Array), nei Laboratori del Gran Sasso. Gerda è dedicato allo studio del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Questo decadimento potrebbe avvenire a patto che i neutrini coincidano con gli antineutrini, come suggerito da Ettore Majorana nel 1937: una misura della velocità di decadimento permetterebbe di desumere il valore della massa dei neutrini.

    Biografia
    Francesco Vissani è interessato allo studio della fisica e della astrofisica dei neutrini.
    Lavora nel gruppo di fisica teorica dei Laboratori del Gran Sasso.


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  • Cuore ha completato l'installazione del rivelatore

    L’esperimento Cuore (acronimo per Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) che si trova ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha completato l’installazione delle 19 "torri" che compongono il rivelatore. L’operazione, delicatissima e di estrema precisione, ha richiesto la collaborazione di un team di scienziati, ingegneri e tecnici e si è conclusa il 26 agosto.

    “Tutte le 19 torri che costituiscono il rivelatore, composto da 988 cristalli di ossido di tellurio e con un peso di quasi 750 kg, sono ora sospese al punto più freddo del criostato dell'esperimento, “ commenta Oliviero Cremonesi, spokesperson dell'esperimento . “Ora la collaborazione si sta preparando per gli ultimi ritocchi al sistema per poi procedere, nei prossimi mesi, alla chiusura del criostato, al suo raffreddamento e all'inizio delle operazioni scientifiche”. Cuore è un esperimento ideato per studiare le proprietà dei neutrini. In particolare, l’esperimento cerca un fenomeno raro chiamato doppio decadimento beta senza emissione di neutrini (vd. in Asimmetrie n. 14 Con passo leggero, ndr). Rivelare questo processo consentirebbe, non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana fornendo una possibile spiegazione alla prevalenza della materia sull’antimateria nell’universo. L’esperimento è una collaborazione internazionale formata da circa 157 scienziati provenienti da trenta istituzioni in Italia, Usa, Cina e Francia. Per l’Infn partecipano le sezioni di Bologna, Genova, Milano Bicocca, Padova e Roma oltre ai Laboratori Nazionali di Frascati, Gran Sasso e Legnaro. (Photo credit: Yury Suvorov/ Ucla, Lngs; and Cuore Collaboration). [Eleonora Cossi]

  • Cuore mette alle strette il neutrino di Majorana

    cuore gallery1L’esperimento Cuore che si trova ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Infn ha presentato oggi i primi risultati scientifici nell’ambito di un seminario ai Lngs. Lo studio, centrato sui decadimenti rarissimi dei nuclei di tellurio, indica con precisione mai raggiunta prima per questi nuclei la regione in cui cercare un fenomeno che coinvolge i neutrini e che, secondo i fisici, potrebbe fornire informazioni chiave sull’asimmetria tra materia e antimateria nel nostro universo. Lo studio sarà disponibile da domani sull’archivio open access digitale arXiv.

    Cuore (acronimo per Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) è un esperimento ideato per studiare le proprietà dei neutrini. In particolare, l’esperimento cerca un fenomeno raro chiamato doppio decadimento beta senza neutrini (vd. anche qui). Rivelare questo processo consentirebbe, non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana fornendo una possibile interpretazione della prevalenza della materia sull’antimateria nell’universo.

    Cuore è progettato per lavorare in condizioni di ultrafreddo: è infatti composto da cristalli di tellurite progettati per funzionare a temperature di circa 10 millikelvin, cioè dieci millesimi di grado sopra lo zero assoluto. “Questi risultati sono un’importante conferma per la collaborazione scientifica che ha progettato l’esperimento” commenta Fernando Ferroni presidente dell’Infn e professore dell’Università La Sapienza di Roma. “Sebbene non si abbia evidenza diretta che i neutrini siano particelle di Majorana” aggiunge Ettore Fiorini ideatore dell’esperimento, associato Infn e professore emerito all’Università di Milano-Bicocca “la tecnologia di Cuore, basata su cristalli ultrafreddi, avrà sicuramente un ruolo da protagonista per chiarire la natura di queste particelle” .

    “I Laboratori Infn del Gran Sasso offrono un’infrastruttura di ricerca unica al mondo per la ricerca di interazioni rare come quelle dei neutrini di Majorana o delle particelle che costituiscono la materia oscura”, sottolinea Stefano Ragazzi, professore presso l’Università di Milano-Bicocca e direttore dei Laboratori del Gran Sasso. “L’Infn è orgoglioso di ospitare nel suo principale laboratorio sotterraneo gli esperimenti più precisi al mondo in questo settore”.

    Cuore è una collaborazione internazionale formata da circa 157 scienziati provenienti da trenta istituzioni in Italia, Usa, Cina, Spagna e Francia. Per l’Infn partecipano le sezioni di Milano-Bicocca, Bologna, Genova, Padova, Roma La Sapienza e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, di Frascati e di Legnaro.

  • Da qui all’eternità

    Da qui all’eternità
    Limiti alla vita della materia

    di Sarah Recchia e Francesco Vissani


    a.
    È possibile bruciare i diamanti immergendoli in una conca di grafite riempita con ossigeno liquido.
    Il fatto che la natura sia in continuo mutamento trova molti riscontri in tutti i campi della scienza. Ad esempio, al contrario di quel che comunemente si ritiene, un diamante non è per sempre. Infatti, i geologi spiegano che la gran parte dei diamanti che troviamo in gioielleria ha un’età di 1-2 miliardi di anni e che un diamante può bruciare. Anche il pianeta che ci ospita ha avuto un’origine circa 4,5 miliardi di anni fa e si trasforma nel tempo. Lo stesso si può dire del Sole che ci illumina, il quale, come è noto dalla fisica nucleare, è destinato a spegnersi tra circa 5 miliardi di anni. E l’universo sembra abbia avuto un’origine, circa 14 miliardi di anni fa, presumibilmente con il ben noto Big Bang. E cosa succede agli atomi e alle particelle che li costituiscono: nuclei atomici, elettroni, protoni, neutroni o quark? Hanno avuto origine in qualche remoto istante o esistono da sempre? Possono essere distrutti o dureranno all’infinito? Nasce insomma la domanda se anche queste particelle possano nascere o morire, o se (almeno loro) siano eterne.
    Gli esperimenti hanno osservato numerosissime trasformazioni tra particelle. Studiandole attentamente si è imparato che, prima e dopo ogni trasformazione, esistono certe quantità che restano immutate. Una di queste è proprio l’energia: il fatto che essa non cambi mai ha un significato molto profondo. Un’altra di queste quantità è la carica elettrica: anche in questo caso, le verifiche hanno un altissimo grado di precisione. Si usa parlare di leggi di conservazione dell’energia e della carica elettrica (vd. in Asimmetrie n.19 L'alfabeto della natura, ndr): esse sono tra le basi più solide della fisica che conosciamo.
    Alcuni scienziati hanno proposto di includere tra le leggi immutabili il fatto che la materia sia esattamente stabile, un fatto non contraddetto da nessuna osservazione nota. A favore di questa posizione c’è la migliore teoria che i fisici delle particelle abbiano mai costruito, il modello standard delle particelle e delle interazioni elementari. Ma il fenomeno dell’oscillazione dei neutrini, da pochi mesi riconosciuto dal premio Nobel della fisica del 2015, contraddice la sua predizione che i neutrini siano privi di massa e dimostra che la realtà osservabile non si esaurisce nel modello standard. Esistono vari modelli teorici che estendono il modello standard, che possono dar conto dell’oscillazione dei neutrini e nei quali la materia nota non è esattamente stabile. Questi modelli portano a contemplare la possibilità che la materia “non sia per sempre”, ma che essa possa essere creata o distrutta. Alcuni di essi spiegano perché l’universo contiene una ben precisa quantità di materia ordinaria e pochissima antimateria (vd. in Asimmetrie n. 7 A caccia di asimmetrie, ndr), un fatto che il modello standard non riesce in alcun modo a giustificare. Detto in altre parole, questi modelli ci permettono di investigare l’origine della materia, e per questo sono considerati con enorme interesse.

    In questo modo, nasce l’affascinante idea di verificare queste ipotesi in laboratorio. Esistono dei processi di trasformazione osservabili, in cui le particelle di materia sono create o distrutte? Parliamo proprio di quelle particelle che compongono gli atomi e che tutti conoscono, come gli elettroni o i nuclei. Descriviamo nel seguito tre tipi di esperimenti con i quali queste idee sono state messe alla prova. Ipotizziamo che l’elettrone decada. Per conservare l’energia, esso si dovrebbe trasformare in particelle più leggere e quelle disponibili sono poche. Il caso più semplice è che esso decada in un neutrino e in un fotone (vd. fig. b1): in questo caso, entrambi acquisterebbero un’energia pari alla metà della massa dell’elettrone, cioè pari a circa 250 keV. L’esperimento Borexino nei Laboratori del Gran Sasso dell’Infn (Lngs) ha escluso la presenza di fotoni con questa energia, ponendo il miglior limite mai ottenuto sul decadimento dell’elettrone. Questo risultato è rassicurante, anche perché, nel caso contrario, si sarebbe dovuto prendere atto di un processo in cui la carica elettrica scompare: infatti, né il neutrino né il fotone hanno alcuna carica elettrica. Insomma, al meglio delle conoscenze attuali, possiamo dire che l’elettrone vive per un tempo infinito.
    Un caso più intrigante riguarda la ricerca della stabilità del nucleo dell’idrogeno, e cioè del protone. Esistono molte possibilità che qualcosa del genere avvenga, senza dover mettere a repentaglio la conservazione dell’energia o della carica elettrica. Uno degli ipotetici ma più interessanti processi di decadimento del protone, previsto in certe estensioni del modello standard, è quello mostrato in fig. b2. Le due particelle nello stato finale sono un mesone neutro, che si disintegra rapidamente, e un positrone che in laboratorio si annichila con un elettrone.
    Del protone iniziale, resterebbe solo un osservabile fiotto di energia.
    Le prime ricerche sperimentali furono condotte da un dream team composto dal premio Nobel Fred Reines e da Clyde Cowan e Maurice Goldhaber sin dagli anni ‘50. I tre stabilirono che la durata della vita del protone fosse maggiore di circa 1021 anni. Le ricerche più recenti sono quelle dovute all’esperimento Super- Kamiokande in Giappone, noto per aver misurato anche l’oscillazione dei neutrini (vd. in Asimmetrie n. 14 Con passo leggero, ndr). I colleghi giapponesi hanno tenuto sotto controllo svariate decine di migliaia di tonnellate di acqua iper-pura per molti anni, senza che si verificasse alcun evento di questo tipo; in questo modo, hanno fissato il limite inferiore della vita media del protone a 8,2 x 1033 anni. Per apprezzare meglio questo risultato, ricordiamo che il valore dell’età dell’universo è dell’ordine di 1010 anni! Fino a questo punto abbiamo ipotizzato solamente la distruzione di elettroni o di protoni.

     
    b.
    In questa figura, approfondiamo la descrizione di alcune ipotetiche trasformazioni tra particelle elementari, previste in certe estensioni del modello standard.
    1) Il processo di distruzione di un elettrone in un neutrino e un fotone, che viola la conservazione della carica elettrica.
    2) Il processo in cui un nucleo di idrogeno scompare, detto anche “decadimento del protone”. Il numero netto di quark passa da tre (valore nello stato iniziale) a zero, siccome nello stato finale abbiamo un quark e un antiquark.
    3) Il processo di creazione di due elettroni in una transizione nucleare, detto anche “doppio decadimento beta senza neutrini”. In questo processo il numero di quark resta immutato.


     
    c.
    L’esperimento Borexino nei Laboratori del Gran Sasso, che ha studiato recentemente la stabilità dell’elettrone.
     
    Esiste un processo osservabile in laboratorio in cui qualche particella viene creata con un processo non previsto nel modello standard? C’è almeno un caso, considerato molto promettente, che riguarda una specifica trasformazione tra nuclei atomici prevista dalla teoria di Majorana delle masse dei neutrini e chiamato “doppio decadimento beta senza neutrini” (vd. in Asimmetrie n. 15 Assenti giustificati, ndr). In questa trasformazione vengono creati due elettroni. Il nucleo finale ha due unità di carica positiva in più, che sommate alle due unità di carica negativa degli elettroni, fanno sì che la carica elettrica resti esattamente immutata (vd. fig. b3). Ci sono molti esperimenti alla ricerca di questa trasformazione: tra i più importanti, ricordiamo Gerda e Cuore dei Laboratori del Gran Sasso (Lngs), che utilizzano nuclei di germanio e tellurio. Essi hanno ottenuto dei limiti stringenti sulla probabilità che questo ipotetico processo avvenga. Per esempio, sappiamo che i nuclei di germanio vivono almeno 3x1025 anni senza che esso abbia luogo. Insomma, abbiamo imparato che il processo di creazione di elettroni, se esiste, avviene con tempi molto lunghi, almeno negli esperimenti di laboratorio.
    In conclusione, possiamo dire che i fisici hanno raccolto qualche indizio, ma nessuna prova certa, a suffragio dell’ipotesi che la materia non sia esattamente stabile. In altre parole, possiamo pensare che un elettrone o un protone, lasciati a se stessi, siano senza data di nascita o timbro di scadenza e che vivano per sempre. Nel prossimo futuro, si conta di procedere ulteriormente nella ricerca, nella speranza di riuscire a misurare domani quello che oggi riteniamo essere un infinito.
     

    Biografia
    Sarah Recchia è una studentessa di dottorato (PhD) in Astroparticle Physics presso il Gran Sasso Science Institute (Gssi). Laureata presso la Sapienza Università di Roma. La sua attività di ricerca è incentrata principalmente sulla fisica dei raggi cosmici.
    Francesco Vissani è ricercatore Infn presso i Laboratori del Gran Sasso e coordinatore del PhD in Astroparticle Physics presso il Gssi.


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  • Doppio beta: nuovi limiti al Gran Sasso

    Gli scienziati dell’esperimento Gerda (GERmanium Detector Array), che si trova ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs), hanno ottenuto un nuovo limite per il decadimento doppio beta senza neutrini nell’isotopo 76 del germanio (76Ge). I risultati sono stati discussi il 16 luglio in un seminario presso i Lngs e sono stati pubblicati su http://arxiv.org/. Combinato con le informazioni di altri esperimenti, questo limite smentisce un precedente risultato di un altro esperimento che quasi 10 anni fa aveva annunciato la rivelazione di questo rarissimo fenomeno. Il decadimento doppio beta senza neutrini è un fenomeno quasi “inafferrabile” in cui due neutroni del nucleo sono convertiti, ovvero decadono, in due protoni, due elettroni e due neutrini. Se i neutrini sono particelle di Majorana, cioè coincidenti con la loro antiparticella, i due neutrini emessi possono annichilirsi a vicenda, senza emergere dal nucleo. Gli scienziati di Gerda non hanno rivelato questo tipo di decadimento dopo aver controllato per più di un anno 18 kg di 76Ge. Questo fatto si traduce nel poter porre un limite pari a 2,1x1025 anni in quello che viene chiamato tecnicamente il tempo di dimezzamento del decadimento. Entro tempi inferiori a tale limite è improbabile che il fenomeno avvenga. Tale limite corrisponde a un intervallo di tempo un milione di miliardi di volte circa l'età dell'universo. La presa dati è iniziata nell’autunno del 2011, utilizzando 8 rivelatori, ciascuno del peso di circa 2 kg e di dimensioni simili a quella di una lattina. Successivamente sono stati aggiunti 5 ulteriori rivelatori. Il prossimo passo di Gerda consisterà nell’aggiungere nuovi rivelatori già prodotti, in modo da raddoppiare la quantità di 76Ge. L’acquisizione dati continuerà in una seconda fase dopo che alcuni ulteriori miglioramenti saranno implementati per ridurre ancora di più il rumore di fondo rispetto al segnale cercato. Gerda è una collaborazione europea alla quale partecipano 15 istituti di Italia, Germania, Russia, Svizzera, Polonia e Belgio. In particolare in Italia vi lavorano i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, le sezioni Infn e le Università di Milano, Milano Bicocca, Padova. [Eleonora Cossi]

  • Il metro cubo più freddo dell'universo

    L’esperimento Cuore che si trova ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn ha ottenuto un record mondiale portando una struttura di rame del volume di un metro cubo alla temperatura di 6 millikelvin: è la prima volta che un esperimento riesce a raggiungere una temperatura così prossima allo zero assoluto (0 Kelvin) con una massa ed un volume di questa entità. La struttura di rame così raffreddata, pari a circa 400 kg, è stata per 15 giorni, il metro cubo più freddo dell’universo.

    Cuore (acronimo per Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) è un esperimento ideato per studiare le proprietà dei neutrini che vede un’importante collaborazione tra Istituto Nazionale di Fisica nucleare e Università di Milano-Bicocca per la realizzazione del sistema criogenico necessario per raffreddarne i rivelatori. In particolare, l’esperimento cerca un fenomeno raro chiamato doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Rivelare questo processo consentirebbe, non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana fornendo una possibile interpretazione dell’asimmetria tra materia e antimateria che caratterizza il nostro universo.

    Cuore è progettato per lavorare in condizioni di ultrafreddo: è infatti composto da cristalli di tellurite impiegati come bolometri (rivelatori di radiazione) e progettati per funzionare a temperature di circa 10 millikelvin, cioè dieci millesimi di grado sopra lo zero assoluto.

    “La temperatura raggiunta nel criostato dell’esperimento, 6 millikelvin, equivale a -273,144 gradi centigradi, una temperatura vicinissima allo zero assoluto pari a -273,15 centigradi. Nessuno ha mai raffreddato a queste temperature una massa di materiale ed un volume simili". Ha commentato Carlo Bucci, ricercatore Infn e spokesperson italiano di Cuore. [Eleonora Cossi] 

  • Il viaggio del piombo romano

    cuore6 lngs infnÈ partito oggi da Cagliari l'ultimo viaggio di 30 lingotti di piombo dell'antica Roma verso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell'Infn. Dopo duemila anni trascorsi in fondo al mare, nella stiva di una nave romana affondata al largo della Sardegna, la loro nuova casa sarà la pancia di una montagna, il massiccio del Gran Sasso. Questo piombo - spiega Ettore Fiorini, fisico dell'Università di Milano Bicocca e ideatore dell'esperimento Cuore - è un materiale preziosissimo, con un importante valore scientifico, oltre che archeologico, per la schermatura degli apparati per la ricerca di eventi rari. Si tratta, infatti, di un materiale che deve'essere totalmente privo di contaminazione radioattiva. Il piombo moderno - spiega Fiorini - contiene, infatti, una debole contaminazione radioattiva dovuta al suo isotopo 210, che si dimezza in circa ventidue anni. Cuore è un esperimento ideato per studiare le proprietà dei neutrini e, in particolare, un fenomeno estremamente raro, chiamato doppio decadimento beta senza emissione di neutrini mai stato osservato finora. L’operazione è il frutto di un accordo tra l'Infn, che ha finanziato i lavori di scavo del relitto e il recupero del suo carico, e la Soprintendenza Archeologia della Sardegna, con il parere favorevole del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact). L’accordo prevede la possibilità di utilizzare i 30 lingotti, dal peso complessivo di quasi una tonnellata, preservandone ogni caratteristica di carattere archeologico, per ricerche di archeometria, come suggerito dall'Unesco. [Eleonora Cossi]

  • La febbre dell’energia

    La febbre dell’energia
    Calorimetri e bolometri per rivelare particelle

    di Ezio Previtali

    a.
    Otto “supermoduli” del calorimetro elettromagnetico dell’esperimento Cms, al Cern, durante l’installazione nell’apparato nel 2007.
    Può sembrare difficile da comprendere, ma ogni secondo migliaia di particelle prodotte dalla radioattività o dai raggi cosmici interagiscono con il nostro corpo e in esso rilasciano tutta o parte della loro energia: ma noi non ce ne accorgiamo. Nessuno dei nostri sensi è in grado di rivelare la presenza di tali particelle e tanto meno di misurare quanta energia sia stata da esse rilasciata nel nostro organismo. Questo fatto si spiega facilmente, se si considera che sommando l’energia rilasciata da tutte quelle particelle in un secondo, si arriva a qualcosa dell’ordine di solo dieci miliardesimi dell’energia consumata dal corpo umano nello stesso tempo: una potenza troppo piccola da poter essere da noi avvertita. Per individuare queste particelle e misurare l’energia da esse rilasciata nell’attraversamento di un mezzo facciamo uso di specifici strumenti: i “rivelatori di particelle”. Questi strumenti sono in grado di convertire l’energia rilasciata dalle particelle in un segnale elettrico proporzionale all’energia stessa. Di fatto, l’energia rilasciata nel mezzo attraversato viene convertita in energia di altre particelle, il cui numero ed energia sarà strettamente legato a quella della particella primaria. Dobbiamo a questo punto distinguere i possibili meccanismi di interazione con il mezzo attraversato sulla base dell’energia e del tipo di particella. Gli elettroni di alta energia (> 10 MeV) interagiscono principalmente per Bremsstrahlung (“radiazione di frenamento”) generando fotoni di alta energia, che a loro volta interagiscono producendo coppie elettrone/positrone, i quali a loro volta generano fotoni e così via: questo processo genera i cosiddetti sciami elettromagnetici. Mano a mano che le generazioni di particelle si susseguono, l’energia da esse posseduta sarà sempre minore, fino ad arrivare a una soglia minima di energia sotto la quale questo processo di moltiplicazione non può più aver luogo. Anche le particelle adroniche, come i protoni, producono cascate di particelle: in questo caso l’interazione di un adrone con un nucleo produce adroni secondari che potranno ulteriormente interagire oppure decadere a seconda della loro vita media. All’interno degli sciami adronici si possono generare elettroni o fotoni che poi daranno vita a sciami elettromagnetici secondari. Volendo misurare l’energia dell’elettrone o dell’adrone che ha dato vita allo sciame, adronico o elettromagnetico che sia, dovremmo misurare le energie trasferite a tutte le particelle prodotte e sommarle tra di loro. Questo processo, per cui l’energia iniziale si può misurare degradandola in energie via via minori, ricorda il calorimetro della termologia, nel quale la misura della quantità di calore di un corpo si determina attraverso la quantità di ghiaccio che viene disciolta, disperdendo in tal modo il calore inizialmente posseduto dal corpo. Questo è il motivo per cui questi strumenti sono detti “calorimetri”: un calorimetro è un rivelatore in cui una particella incidente deposita tutta la sua energia sotto forma di sciame di particelle, ognuna con energia inferiore a quella primaria ma la cui somma è (nel caso ideale) uguale all’energia della particella iniziale. Normalmente solo una piccola frazione, costante, dell’energia depositata nel calorimetro viene trasformata in segnale. Per particelle che possiedono alta energia la bassissima efficienza con cui trasferiamo l’energia posseduta dalle particelle al segnale che possiamo rivelare non è così cruciale, in quanto il numero di particelle secondarie generate sarà così elevato da consentirci misure precise dell’energia. Ad esempio, gli sciami estesi che i raggi cosmici generano nell’atmosfera possono essere rivelati attraverso la “luce Cherenkov”, che viene emessa solo dalle particelle che viaggiano con velocità maggiore di quella della luce nell'aria (vd. A spasso per la Pampa, ndr). Quando vogliamo una misura molto precisa dell’energia iniziale, o quando questa energia è piccola, dell’ordine del MeV o meno, il segnale più accurato che possiamo rivelare è quello legato alla ionizzazione degli atomi che compongono la materia attraversata dalla particella incidente. In questo modo, dalla perdita di energia vengono liberati elettroni, i quali contribuiscono alla formazione di un segnale elettronico proporzionale all’energia iniziale. Ma anche in questo caso otteniamo comunque un’efficienza relativamente bassa: nella migliore delle ipotesi il rapporto tra l’energia iniziale e quella effettivamente raccolta dal segnale risulta essere di un terzo. Volendo misurare particelle con energie ancora più basse, sulla scala del keV, risulterà necessario migliorare ulteriormente il meccanismo di trasferimento di energia dalla particella al segnale rivelato. Ma dove finisce tutta l’energia che non viene trasferita agli elettroni ionizzati? Semplicemente va ad aumentare l’agitazione termica del materiale del rivelatore, aumentando, seppur impercettibilmente, la sua temperatura. Misurando quindi la variazione di temperatura del materiale prodotta dalla particella interagente, di fatto, misureremmo integralmente la sua energia. Esiste un rivelatore in grado di effettuare questa misura: il cosiddetto “bolometro”. In esso si misura la variazione di temperatura indotta dall’interazione di una particella: tale variazione sarà proporzionale all’energia rilasciata rapportata alla capacità termica, che rappresenta l’inerzia termica dell’oggetto. Se la capacità termica è sufficientemente piccola anche l’energia rilasciata da una particella produce una variazione di temperatura apprezzabile.
     
    b.
    Rappresentazione artistica del funzionamento di un bolometro: il materiale di cui è costituito (solitamente una struttura cristallina) è rappresentato dal liquido contenuto in un recipiente. La linea ondulata rappresenta la particella che trasferisce in un urto parte della sua energia cinetica a un nucleo del materiale. La sua energia cinetica viene termalizzata attraverso vibrazioni trasmesse al resto del materiale, che viene complessivamente riscaldato. Questo riscaldamento viene misurato da un particolare termometro (rappresentato come un comune termometro a mercurio) in grado di apprezzare variazioni di temperatura dell’ordine del milionesimo di grado.

     

    Per ottenere questo scopo i bolometri sono raffreddati a temperature molto basse, prossime allo zero assoluto (-273,14 gradi Celsius), e, sfruttando opportuni “termometri”, si apprezzano variazioni di temperatura dell’ordine del milionesimo di grado, ottenendo così strumenti particolarmente sensibili alla misura dell’energia delle particelle. In questo modo possiamo affermare che il bolometro risulta essere l’unico vero calorimetro, capace cioè di misurare integralmente l’energia della particella che con esso ha interagito. Un esperimento che utilizza dei bolometri per misurare l’energia delle particelle è Cuore (vd. Assenti giustificati, ndr.), che recentemente ha iniziato a raccogliere dati ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso. In questo esperimento si devono misurare con grande precisione le energie degli elettroni di un particolare decadimento del tellurio, che depositano complessivamente circa 2500 keV. Questa energia riscalda i cristalli di appena cento milionesimi di grado. L’esperimento è costituito da 988 cristalli di tellurio che devono essere raffreddati a circa 10 mK ed è dedicato alla ricerca del rarissimo fenomeno del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Rivelare questo processo consentirebbe non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana, fornendo una possibile spiegazione della prevalenza della materia sull’antimateria nell’universo.

     
    c.
    Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riceve in omaggio un cristallo dell’esperimento Cuore dal Presidente Infn Fernando Ferroni, durante la visita ai Laboratori del Gran Sasso (Lngs) del 15 gennaio scorso.

     

    Biografia
    Ezio Previtali è ricercatore dell’Infn presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Ha partecipato allo sviluppo dei rivelatori bolometrici di particelle fin dagli albori ed è stato uno dei promotori dell’esperimento Cuore, il più grande rivelatore criogenico di particelle mai costruito. Partecipa attivamente agli esperimenti Cupid (di cui è responsabile nazionale) e Juno.

     

    Link
    http://people.na.infn.it/~barbarin/MaterialeDidattico/00+approfondimento%20corso%20rivelatori%20/rilevatoriparticelle.pdf


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    DOI: 10.23801/asimmetrie.2018.24.9
     

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  • Misteri sfuggenti

    Misteri sfuggenti
    Massa e natura dei neutrini

    di Carlo Giunti

     

    a.
    Clyde L. Cowan e Frederick Reines (da sinistra) con il rivelatore con cui hanno osservato per la prima volta un neutrino a Hanford (Washington) nel 1956.
    I neutrini sono le particelle elementari conosciute più misteriose. Fanno parte delle particelle fondamentali del modello standard e le loro caratteristiche di interazione ne hanno determinato, storicamente, la formulazione, ma a tutt’oggi, ottantacinque anni dopo l’ipotesi di Wolfgang Pauli e cinquantanove anni dopo la prima osservazione sperimentale da parte di Clyde L. Cowan e Frederick Reines (vd. approfondimento), non si conoscono ancora alcune delle loro proprietà fondamentali: il valore delle masse, la loro natura (se si tratta di cosiddetti neutrini di Dirac o di Majorana) e il loro numero (cioè se ci sono dei neutrini non-interagenti detti sterili, in aggiunta ai tre neutrini interagenti conosciuti, elettronico, muonico e del tau, detti attivi). Ci sono inoltre buoni motivi per pensare che le caratteristiche sconosciute dei neutrini siano legate a una nuova fisica oltre il modello standard.
    Una quantità di fondamentale importanza per ogni particella, come per ogni corpo, è la sua massa, che ne determina le proprietà di propagazione e interazione. Attualmente conosciamo il valore delle masse di tutte le particelle del modello standard eccetto dei neutrini, le cui masse sono talmente piccole, che fino a circa quindici anni fa non esisteva neanche una prova inconfutabile del fatto che la loro massa fosse non nulla. Questa prova è arrivata dall’osservazione dell’oscillazione dei neutrini, il mescolamento tra neutrini di diverso tipo (o sapore) che porta, ad esempio, alla trasformazione di un neutrino elettronico in muonico. Il fenomeno, proposto indipendentemente negli anni ’60 da Pontecorvo e da Ziro Maki, Masami Nakagawa e Shoichi Sakata, dipende dalla distanza percorsa dal neutrino, dalla sua energia e dalla differenza di massa.

     

     
    [as] approfondimento
    Storie di fantasmi
    1.
    Bruno Pontecorvo (a destra), uno dei famosi “ragazzi di Via Panisperna”, in una conversazione con il suo collaboratore Samoil Bilenky. Pontecorvo ipotizzò l’esistenza di un secondo tipo di neutrino nel 1960.

     

    Nel 1930 Pauli propose l’esistenza del neutrino per spiegare il fatto che nei decadimenti nucleari dovuti all’interazione debole (che avvengono con tempi molto più lenti di quelli dovuti alle interazioni forte ed elettromagnetica) gli elettroni vengono emessi con uno spettro continuo di energia. Questo è possibile solamente se i prodotti finali del decadimento sono almeno tre: il nucleo finale, l’elettrone e un neutrino, che ha a lungo eluso i tentativi di osservazione, perché è elettricamente neutro e interagisce con la materia solamente attraverso le interazioni deboli (mentre particelle cariche come l’elettrone lasciano tracce nei rivelatori dovute alla ionizzazione degli atomi). L’ipotesi di Pauli permise la formulazione della teoria delle interazioni deboli da parte di Enrico Fermi nel 1934, che però prevedeva che le interazioni dei neutrini fossero talmente deboli che sarebbe stato molto difficile, e forse impossibile, verificare direttamente la loro esistenza. Per fortuna questa previsione pessimistica è stata smentita grazie al fatto che ci sono sorgenti di neutrini che ne producono un flusso enorme: ad esempio, un tipico reattore nucleare produce circa 1020 neutrini al secondo per ogni gigawatt di potenza termica e dal Sole ci arriva un flusso di circa 1011 neutrini al secondo per centimetro quadrato (circa la superficie di un’unghia). Perciò anche se la maggior parte dei neutrini attraversa un rivelatore come se fosse trasparente, dato l’enorme flusso di neutrini si possono osservare alcune interazioni che rivelano l’esistenza di queste particelle. Questa misura è stata fatta per la prima volta da Cowan e Reines nel 1956 utilizzando un rivelatore, posto vicino a un reattore nucleare.
    La misura di Cowan e Reines ha stabilito definitivamente l’esistenza di un neutrino elettronico emesso insieme a un elettrone nei decadimenti nucleari che avvengono all’interno di un reattore. Nel frattempo però nel 1937 era stato scoperto il muone, che è una particella carica simile all’elettrone, ma circa 200 volte più pesante. Bruno Pontecorvo ipotizzò nel 1960 l’esistenza di un secondo tipo di neutrino che viene prodotto in associazione con un muone. Questa previsione è stata brillantemente confermata nel 1962 dall’esperimento di Leon Lederman, Melvin Schwartz e Jack Steinberger, che dimostrarono che i neutrini prodotti da interazioni deboli insieme a muoni non producono elettroni quando interagiscono con la materia, come farebbero invece i neutrini elettronici. Essi sono quindi delle particelle diverse, dette neutrini muonici. In seguito, è stato scoperto nel 1975 un terzo leptone carico chiamato tau, che è il fratello più pesante dell’elettrone e del muone (circa 17 volte più pesante del muone) e il corrispondente neutrino del tau è stato osservato nel 2000. Questo completa la lista dei tre neutrini conosciuti, che sono attivi nei processi di interazione debole che ne hanno permesso la rivelazione. Resta aperta la possibilità dell’esistenza di ulteriori tipi di neutrini, detti sterili, che non sono associati a una particella carica del modello standard.

     
    Dalle misure di oscillazione conosciamo le differenze tra la massa di neutrini diversi. Queste sono piccolissime e, quindi, sappiamo che essi hanno una massa, ma non è ancora stato possibile misurarne il valore assoluto. Il limite superiore stabilito sperimentalmente è di circa 250 mila volte più piccolo della massa dell’elettrone, che è la particella di materia più leggera del modello standard a parte i neutrini. La piccolezza delle masse dei neutrini rispetto alle altre particelle del modello standard richiede una spiegazione, che però non può essere trovata in maniera naturale all’interno del modello standard stesso, perché richiederebbe l’imposizione di un vincolo artificialmente piccolo sui parametri del modello standard che determinano le masse dei neutrini. Si pensa invece che la piccolezza delle masse dei neutrini sia dovuta alla loro connessione con la nuova fisica, attraverso la proprietà dei neutrini di essere particelle di Majorana (cioè particelle che coincidono con la propria antiparticella) invece che particelle di Dirac, come invece i quark e i leptoni carichi (elettrone, muone e tau). Cerchiamo di capire meglio cosa significa.
    Nel 1928 Paul Dirac formulò la teoria quanto-relativistica dei fermioni, come l’elettrone, che per questo motivo sono detti particelle di Dirac. Una caratteristica fondamentale di una particella di Dirac è che allo stato di particella (per esempio, l’elettrone, che ha una carica elettrica negativa) corrisponde sempre uno stato di antiparticella con carica elettrica opposta (il positrone nel caso dell’elettrone, che ha una carica elettrica positiva). I quark e i leptoni carichi (elettrone, muone e tau) sono particelle di Dirac, mentre per i neutrini (che sono neutri) esiste la possibilità che siano particelle di Majorana, secondo la teoria sviluppata nel 1937 da Ettore Majorana. Per le particelle di Majorana lo stato di particella coincide con quello di antiparticella. Ciò è possibile solamente per particelle neutre come i neutrini, mentre per particelle cariche gli stati di particella e antiparticella sono necessariamente distinti avendo questi carica elettrica opposta.
    Nell’ambito del modello standard i neutrini massivi possono essere solamente particelle di Dirac, perché il meccanismo di Higgs che dà massa alle particelle può farlo solamente per particelle di Dirac. È per questo motivo che risulta estremamente interessante determinare sperimentalmente se i neutrini massivi sono particelle di Majorana, perché in questo caso le masse dei neutrini devono essere generate da un meccanismo di nuova fisica. Inoltre, se i neutrini sono particelle di Majorana, è possibile spiegare la piccolezza delle loro masse con il meccanismo di see-saw (o ad altalena) che si basa sull’esistenza di una nuova fisica oltre il modello standard a una scala di energia molto grande, che può essere ad esempio la scala della teoria della grande unificazione (Gut) della forza forte con quelle elettrodeboli, ovvero dell’ordine dei 1015-1016 GeV, estremamente più alta della scala elettrodebole di energia, che è dell’ordine di 100 GeV, dove si verifica l’unificazione delle interazioni elettromagnetica e debole del modello standard. Secondo il meccanismo di see-saw (vd. fig. b) le masse dei neutrini sono proporzionali al rapporto tra il quadrato della scala di energia elettrodebole e la scala di energia Gut, il quale vale circa un centesimo di eV (10-2 eV), proprio il valore atteso per le masse dei neutrini.
    Se i neutrini sono particelle di Majorana, quindi, le loro masse stabiliscono un legame tra la fisica del modello standard e la nuova fisica.
    Gli esperimenti che sono più sensibili alle piccole masse di neutrini di Majorana sono quelli che cercano di misurare un processo estremamente raro chiamato doppio decadimento beta senza neutrini (vd. in Asimmetrie n. 15 Assenti giustificati, ndr) di alcuni nuclei pesanti, come ad esempio gli isotopi del germanio e del tellurio, utilizzati negli esperimenti Gerda e Cuore nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.
     
    b.
    Illustrazione del meccanismo di see-saw (o dell’altalena): più grande (pesante) è la scala di energia della fisica oltre il modello standard (100 GeV), rappresentata dall’elefante (come ad esempio la scala di energia della grande unificazione pari a 1015 GeV) e più piccole (leggere) sono le masse dei neutrini di Majorana (rappresentati dal topolino). Nel caso della scala di energia della grande unificazione, la massa del neutrino di Majorana sarebbe pari a 10-11 GeV.
     
    c.
    Un ricercatore al lavoro sull’esperimento Cuore nei Laboratori Infn del Gran Sasso.
     
    C’è anche la possibilità che la nuova fisica si manifesti con nuove particelle molto leggere che, essendo neutre e non interagenti con la forza debole del modello standard, ci appaiono come neutrini sterili (nome inventato da Pontecorvo nel 1967). In questo caso i tre neutrini attivi, che “rispondono” all’interazione debole, attraverso la quale vengono prodotti e rivelati dai fisici, possono oscillare in neutrini sterili, che eludono la capacità di rivelazione sperimentale. Questo fenomeno potrebbe spiegare recenti indicazioni di una mancata rivelazione del flusso misurato di neutrini prodotti in reattori nucleari e in sorgenti radioattive. L’esperimento Sox, che utilizza il rivelatore Borexino ai Laboratori del Gran Sasso, controllerà nei prossimi anni la correttezza di queste indicazioni utilizzando sorgenti radioattive di neutrini. È chiaro che questa misura è di estrema importanza per lo studio della fisica oltre il modello standard, perché un risultato positivo darebbe informazioni dirette sull’esistenza di una nuova particella, il neutrino sterile, che non appartiene al modello standard e la cui piccola massa deve essere generata da un meccanismo di nuova fisica.
    Lo studio delle proprietà dei neutrini, uniche tra quelle delle particelle del modello standard, offre una finestra sulla nuova fisica che è difficile aprire a causa dell’elusività dei neutrini, ma l’inventiva e la tenacia dei fisici fanno ben sperare per il futuro prossimo.
     

    Biografia
    Carlo Giunti è ricercatore dell’Infn presso la sezione di Torino. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la fisica dei neutrini, sui quali ha scritto il libro specialistico Fundamentals of Neutrino Physics and Astrophysics (Oxford University Press, 2007).


    Link
    http://www.nu.to.infn.it/
    http://www.hep.anl.gov/ndk/hypertext/
    http://pcbat1.mi.infn.it/~battist/cgi-bin/oscil/index.r


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  • Nuovo record di Gerda nella ricerca del neutrino di Majorana

    GERDA 2019L’esperimento GERDA, ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), che ricerca il rarissimo decadimento doppio beta senza emissione di neutrini, una sorta di Sacro Graal per la fisica delle particelle elementari, ha conquistato un altro importante traguardo scientifico raggiungendo un nuovo record di sensibilità. Questo risultato è stato ottenuto dopo aver raccolto dati ininterrottamente per due anni e mezzo e aver ridotto a un livello bassissimo gli eventi che costituiscono il cosiddetto “rumore di fondo”. Il risultato è pubblicato oggi 5 settembre su Science.

    Il decadimento doppio beta senza emissione di neutrini, se rivelato, fornirebbe informazioni essenziali sulla natura dei neutrini: ci consentirebbe, per esempio, di sapere se i neutrini sono identici alle loro antiparticelle, di ottenere indicazioni sul meccanismo che dà loro massa e sul perché nell’universo attuale c’è molta più materia che antimateria. Il decadimento ancora sfugge all’osservazione, ma GERDA è il primo esperimento a raggiungere una sensibilità per il tempo di dimezzamento (cioè il tempo che deve trascorrere affinché la metà dei nuclei dia luogo al decadimento) di oltre 1026anni, di gran lunga superiore all’età dell’universo.

    “Il risultato ottenuto dimostra come l'idea scientifica di base e le soluzioni tecniche adottate siano state vincenti, essendo riusciti a ottenere un fondo molto basso, e una elevata affidabilità dell’apparato”, sottolinea Riccardo Brugnera, ricercatore INFN e professore all’Università degli Studi di Padova, responsabile internazionale dell’esperimento. “GERDA terminerà la sua presa dati alla fine di quest'anno e sarà sostituito da un nuovo apparato, LEGEND-200, basato sugli stessi principi, ma con un numero 5 volte superiore di rivelatori e un fondo previsto 5 volte inferiore. LEGEND-200 migliorerà così di un fattore 10 la sensibilità record di GERDA”, conclude Brugnera. [Antonella Varaschin]

  • Privi di fondo per la caccia al neutrino di Majorana

    Gerda 2017L’esperimento Gerda ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Infn ha raggiunto un importantissimo traguardo scientifico: è il primo e il solo esperimento che può vantarsi del titolo di esperimento “privo di fondo” nello studio del rarissimo e ancora mai osservato decadimento doppio beta senza emissione di neutrini, la cui scoperta significherebbe che il neutrino è del tipo "di Majorana" (vd. anche Assenti giustificati e Con passo leggero, ndr). Gerda, infatti, per l’intera durata della presa dati, circa 3 anni, non dovrebbe registrare alcun evento di fondo nell’intervallo di ricerca fissato dalla risoluzione energetica dei rivelatori. Dall’analisi dei dati raccolti nei primi 5 mesi di funzionamento, Gerda non ha osservato alcun evento candidato per il decadimento doppio beta senza neutrini ponendo, in queste condizioni, un limite inferiore al suo tempo di dimezzamento (cioè il tempo che deve trascorrere affinché la metà dei nuclei dia luogo al decadimento), pari a 5x1025 anni. I dettagli di questo risultato sono pubblicati su Nature il 6 aprile 2017.

    “Con l’abbattimento degli eventi di fondo ai livelli che siamo riusciti a raggiungere, Gerda si è posto nelle condizioni ottimali per poter rivelare il decadimento doppio beta senza neutrini”, commenta Riccardo Brugnera, responsabile dell’esperimento per l’Infn e professore all’Università di Padova. “Questo risultato – sottolinea Brugnera – è il coronamento di un lungo sforzo in cui i gruppi italiani dell’Infn hanno fornito importanti contributi all’esperimento, nell’hardware, nel software e nella selezione dei materiali più radiopuri”. [Antonella Varaschin]

     

  • Si inaugura oggi Cuore, il gigante freddo che studia i neutrini

    cuore1 2017È stato inaugurato oggi 23 ottobre, ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs) dell’Infn l’esperimento Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events), il più grande rivelatore criogenico mai costruito, concepito per studiare le proprietà dei neutrini. Nei primi due mesi di presa dati, l’esperimento ha funzionato con una precisione straordinaria, soddisfacendo pienamente le aspettative dei fisici che lo hanno realizzato. Grazie alla notevole precisione raggiunta in questa prima fase, Cuore è già riuscito a restringere significativamente la regione in cui cercare il rarissimo fenomeno del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini, principale obiettivo scientifico dell’esperimento. Rivelare questo processo consentirebbe non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana, fornendo una possibile spiegazione alla prevalenza della materia sull’antimateria nell’universo.

    “Questa è solo l’anteprima di ciò che uno strumento di queste dimensioni è in grado di fare” commenta Oliviero Cremonesi, ricercatore Infn e responsabile scientifico dell’esperimento Cuore. “Abbiamo grandi aspettative per il futuro. Nei prossimi cinque anni, infatti, Cuore registrerà una quantità di dati 100 volte superiore a quelli acquisiti in questo primo periodo di attività”, conclude Cremonesi.

    “Cuore ha rappresentato un’incredibile sfida tecnologica il cui successo apre la strada a sviluppi impensati fino a pochi anni fa”,dichiara Carlo Bucci, responsabile nazionale Infn e coordinatore tecnico dell’esperimento Cuore. “Grazie alle sue eccezionali caratteristiche è anche uno dei luoghi più freddi di tutto l’universo”. 

    Il rivelatore di Cuore è un gigante di 741 chili realizzato con una tecnologia basata su cristalli cubici ultrafreddi di tellurite progettati per funzionare a temperature bassissime: 10 millesimi di grado sopra lo zero assoluto (–273,15 °C). La sua struttura è formata da 19 torri costituite ciascuna da 52 cristalli di tellurite purificata da qualunque contaminante. La più ardita sfida tecnologica affrontata dall’esperimento è stata la realizzazione del criostato in grado di mantenere a pochi millesimi di grado sopra lo zero assoluto le 19 torri sospese al suo interno. L’esperimento lavora in condizioni ambientali di estrema purezza, in particolare di bassissima radioattività. Il criostato è, infatti, schermato dalla pioggia di particelle che provengono dal cosmo sia dai 1400 metri di roccia del massiccio del Gran Sasso sia da uno speciale scudo protettivo realizzato grazie alla fusione di lingotti di piombo recuperati da una nave romana affondata oltre 2000 anni fa, al largo delle coste della Sardegna. Anche gli altri componenti del rivelatore, come ad esempio i supporti in rame che sostengono le torri, sono stati preparati in condizioni di bassissima radioattività e sono stati assemblati evitando qualsiasi contatto con l’aria per impedire contaminazioni provenienti dall’ambiente. Cuore è un esperimento di altissima precisione che impiega una tecnologia unica al mondo e la sua costruzione ha richiesto oltre dieci anni di lavoro. Prima di completare Cuore i ricercatori hanno costruito un prototipo chiamato Cuore-0, composto da un’unica torre in funzione dal 2013 al 2015 i cui primi risultati sono stati annunciati nell’aprile 2015. [Eleonora Cossi]

    Per saperne di più: Misteri sfuggenti, di Carlo Giunti [As 18]

  • Uno scudo romano per Cuore

    2010-lingotto-3È iniziato l’assemblaggio dello schermo del criostato dell’esperimento Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn. Cuore è un esperimento ideato per studiare le proprietà̀ dei neutrini e, in particolare, un fenomeno raro chiamato doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Questo processo non è ancora mai stato osservato e per riuscirci è necessario che vi siano condizioni ambientali di estrema purezza, in particolare di bassissima radioattività. Per proteggere Cuore, quindi, è stata escogitata una soluzione davvero originale, proposta da Ettore Fiorini, portata avanti dall'Università e dalla sezione Infn di MIlano Bicocca, e la cui realizzazione è stata seguita in tutti i suoi passaggi dai Laboratori del Gran Sasso. I ricercatori hanno progettato di dotarlo di uno “scudo” realizzato grazie alla fusione di lingotti di piombo recuperati da una nave romana affondata oltre 2000 anni fa, al largo delle coste della Sardegna.

    L’utilizzo di questo materiale per la schermatura consente, infatti, di preservare i rivelatori dell’esperimento dall’inquinamento dovuto alla radioattività ambientale. Poiché il piombo è un materiale molto denso e con alto numero atomico, è ottimo per schermare. Ma il piombo “normale” contiene un isotopo radioattivo (il piombo 210), che decade con un tempo di dimezzamento di circa 22 anni: così, il piombo romano, grazie al fatto che è stato prodotto 2000 anni fa, non contiene più piombo 210. I lingotti di piombo romano, dopo il loro recupero dal fondo del mare in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Cagliari, sono stati trasportati ai Lngs, dove negli ultimi anni sono stati conservati e sottoposti ad alcune lavorazioni. Come da accordi con la Sovrintendenza, la parte di interesse archeologico è stata preservata e restituita: quindi da ciascun lingotto è stata ritagliata per la conservazione l’iscrizione romana apposta sulla parte superiore.

    I lingotti, 230 in totale, sono stati poi ripuliti dalle incrostazioni superficiali con la tecnica del cryoblasting, che consiste nell’abrasione delle superfici tramite un getto di ghiaccio secco ad alta pressione, tecnica che non induce contaminazioni radioattive, e in seguito sono stati fusi per ottenere i segmenti e gli spicchi necessari all’assemblaggio dello schermo dell’esperimento. Le operazioni, condotte presso la ditta tedesca Mth Metall-Technik Halsbrucke GmbH & Co KG, hanno richiesto più di due mesi di lavoro. Lo schermo di Cuore avrà una forma a bicchiere e sarà composto da 26 anelli più un disco di base, assemblati in una struttura di sostegno fatta di rame. Ogni anello è composto da 6 segmenti mentre il disco di base è diviso in 20 spicchi. Lo spessore di questo scudo di piombo sarà di 6 centimetri, per un peso complessivo di 5 tonnellate e verrà raffreddato alla temperatura di circa 4 Kelvin (-269 °C).

    Questa originale soluzione per la schermatura dell’esperimento è stata dettata dal fatto che gli obiettivi scientifici di Cuore sono davvero ambizioni. Il decadimento doppio beta senza emissione di neutrini è infatti un evento rarissimo, così raro che finora non è mai stato rivelato. Riuscire a osservarlo, e quindi a verificarne l’esistenza, consentirebbe non solo di determinare la massa dei neutrini, ma anche di dimostrare la loro eventuale natura di particelle di Majorana, fornendo una possibile interpretazione della prevalenza della materia sull’antimateria nell’universo. Il doppio decadimento beta è un processo per cui, all’interno di un nucleo, due neutroni si trasformano in due protoni, emettendo due elettroni e due anti neutrini. Nel doppio decadimento beta senza emissione di neutrini non vi è appunto emissione di neutrini, poiché uno degli antineutrini si è trasformato, all’interno del nucleo, in neutrino. Il modello standard prevede che i neutrini siano esclusi da questa trasformazione ma se, come ipotizzato negli anni ’30 del secolo scorso dal fisico italiano Ettore Majorana, i neutrini e gli antineutrini fossero due manifestazioni della stessa particella, come le due facce di una stessa moneta, la transizione tra materia e antimateria risulterebbe possibile. Questo fenomeno, seppur attualmente raro, potrebbe esser stato frequente nell’universo primordiale immediatamente dopo il Big Bang e aver determinato la prevalenza della materia sull’antimateria. Cuore è frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 157 scienziati provenienti da trenta istituzioni in Italia, Usa, Cina, Spagna e Francia. Per l’Infn partecipano le sezioni di Milano Bicocca, Bologna, Genova, Padova, Roma La Sapienza, e i Laboratori Nazionali Infn del Gran Sasso, di Frascati e di Legnaro. 

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