cromodinamica quantistica

  • Al cuore della materia

    Al cuore della materia
    Nel nucleo l’origine della varietà degli elementi.
    di Angela Bracco

    Una caratteristica affascinante della natura sulla Terra è la sua sorprendente varietà, frutto di un numero infinito di combinazioni atomiche. I nuclei costituiscono la gran parte della massa degli atomi e rappresentano la quasi totalità della materia ordinaria osservata nell’Universo.
    Gli atomi si sono formati solo molto dopo la creazione dei nuclei, poiché il legame tra elettroni e nuclei, è possibile solo a temperature molto basse, se confrontate con quelle delle grandi esplosioni cosmiche e delle fornaci delle stelle, dove i nuclei vengono prodotti. L’avventura della scoperta dei nuclei inizia verso fine Ottocento, quando Henri Becquerel si accorse che nuovi tipi di raggi d’energia venivano emessi spontaneamente e continuamente dagli atomi d’uranio. Si capì poi che questa radioattività naturale implicava la trasformazione di un elemento in un altro, ritenuta impossibile secondo le conoscenze del tempo.
    a.
    Hans Geiger (a sinistra) e Ernest Rutherford (a destra) nel laboratorio di Rutherford a Manchester nel 1908.

    Attorno al 1910, Ernest Rutherford scoprì che un particolare tipo di radiazione era costituita da nuclei di elio (costituiti da due protoni e due neutroni), molto più pesanti degli elettroni e carichi positivamente. Rutherford ebbe l’idea geniale di studiare le proprietà della materia “sparando” queste particelle (chiamate particelle alfa) su sottili lamine d’oro (vd. fig. b). Scoprì inaspettatamente che una certa frazione di questi proiettili veniva respinta all’indietro. “è come se una palla di cannone sparata contro un foglio di carta velina tornasse indietro!” esclamò Rutherford. Per spiegare le sue osservazioni immaginò che, diversamente da quanto si era creduto fino ad allora, la carica positiva degli atomi d’oro non fosse distribuita uniformemente, ma concentrata in un volume molto minore di quello dell’atomo, corrispondente ad un raggio ben 50.000 volte più piccolo. I proiettili respinti erano quelli che urtavano e “rimbalzavano” proprio contro questo minuscolo nucleo.
    L’esperimento di Rutherford costituì la base del modello con il quale un altro fisico, il danese Niels Bohr descrisse l’atomo. Secondo questo modello il nucleo comprende la quasi totalità della massa dell’atomo e costituisce il centro di forza elettromagnetica, attorno al quale si muovono gli elettroni. I costituenti del nucleo sono i protoni, in numero uguale agli elettroni ma con carica opposta, e i neutroni. I neutroni hanno circa la stessa massa dei protoni ma sono neutri, non hanno cioè carica elettrica (Chadwick, 1932).

    b.
    Esperimento di Rutherford.
    Le particelle alfa, che incidono su una sottile lamina d’oro, vengono deflesse con angoli tanto più grandi quanto più ravvicinato è stato “l’incontro” con i nuclei dell’oro. Lo schermo fluorescente che circonda il bersagli permette di visualizzarne il punto di arrivo.
    c.
    Il raggio del nucleo è cinquantamila volte più piccolo dell’intero atomo. Mantenendo queste proporzioni, se il nucleo fosse grande come una formica al centro di uno stadio, gli elettroni starebbero alla distanza degli spalti.
    d.
    Nel decadimento beta un neutrone (protone) si trasforma in un protone (neutrone), liberando un elettrone (positrone) e un antineutrino (neutrino). Reazioni nucleari di questo tipo innescano il ciclo di produzione di energia nelle stelle.

    Stabilita l’esistenza del nucleo bisognava capire le proprietà delle forze capaci di tenere assieme protoni e neutroni (detti in generale nucleoni) nel nucleo: un problema davvero formidabile.
    L’energia che tiene assieme il nucleo è molto elevata e proporzionale al numero di nucleoni. Il volume del nucleo è proporzionale alla sua massa, ovvero la densità all’interno di tutti nuclei è circa la stessa. Da queste evidenze sperimentali si deduce che le forze nucleari devono esercitare un’attrazione assai intensa, in grado di vincere la repulsione elettromagnetica tra i protoni carichi positivamente, ma che allo stesso tempo, a brevissime distanze, i nucleoni sentono una forza repulsiva, che impedisce il collasso del nucleo.
    È poi necessario spiegare la stabilità di certe configurazioni nucleari rispetto ad altre: così ad esempio il sistema costituito da due neutroni non è stabile, mentre lo è il deuterio, formato da un neutrone e da un protone.
    Più in generale, i nuclei con un dato numero di protoni sono instabili se vi sono troppi o troppo pochi neutroni.

    e.
    Fermi professore a Roma, 1927 circa.

    Negli anni ’30 Fermi ed il suo gruppo a Roma investigarono la capacità degli isotopi – ovvero dei nuclei con un definito numero di protoni, ma differente numero di neutroni – di diventare stabili nel tempo, trasformando protoni in neutroni o viceversa, attraverso un processo chiamato decadimento beta.
    Il decadimento beta è dovuto a un altro tipo di forza, chiamata forza debole, molto meno intensa non solo di quella nucleare ma anche di quella elettromagnetica. La forza debole induce la prima reazione nel ciclo di produzione d’energia nelle stelle, permettendo la formazione del deuterio a partire da due protoni ed è la causa per cui il Sole brucia molto lentamente!

    f.
    Illustrazione schematica della collisione di un nucleo in movimento con un bersaglio fisso, che produce reazioni con emissione di particelle (protoni, neutroni, alfa) e di raggi gamma. I nuclei incidenti sono prodotti da acceleratori.

    ll nucleo quindi è un sistema dove sono in azione tre tipi di forze: la forza nucleare, la forza elettromagnetica e la forza debole.
    Comprendere e svelare la struttura dei nuclei è un processo laborioso che non solo richiede la misura delle loro masse, delle loro dimensioni, della densità e della distribuzione della materia, ma implica anche la conoscenza di come il sistema risponde all’azione di sollecitazioni esterne di diverso tipo. Anche nel caso di materiali che usiamo tutti i giorni, non ci basta sapere il loro peso o la loro densità, ma vogliamo determinare altre proprietà tra cui la loro elasticità e deformabilità a diverse temperature  e sotto diversi tipi di sforzi. Lo strumento principe per sollecitare il nucleo è rimasto quello introdotto da Rutherford: l’utilizzo di reazioni nucleari indotte da vari proiettili (ioni, elettroni, fotoni…).
    Grazie all’intensa ricerca compiuta con gli acceleratori dei laboratori di tutto il mondo, tra cui anche quelli dell’Infn, i Laboratori Nazionali di Legnaro (Lnl), quelli del Sud (Lns) a Catania e i Laboratori Nazionali di Frascati (Lnf) si è appreso che il nucleo è uno dei più complessi sistemi quantistici che abbiamo in natura. Mentre certi fenomeni nucleari possono venire compresi sulla base del cambiamento di singoli nucleoni, ovvero trasformazioni di singoli neutroni e protoni, altri coinvolgono il nucleo nel suo insieme.
    Alcuni di questi ultimi, come la fissione, che porta alla divisione del nucleo, sono legati ai cambiamenti della forma dei nuclei ed alla dinamica della loro superficie.

    g.
    L’acceleratore lineare (Tandem) dei Laboratori di Legnaro dell’Infn inaugurato 20 anni fa; il contenitore bianco (Moby Dick) isola il terminale di 15 milioni di Volt che serve ad accelerare gli ioni pesanti.

    Il fatto di aver imparato tanto non vuol certo dire che siamo in grado di capire la fisica nucleare in tutta la sua complessità e nelle sue diverse sfaccettature. In effetti, per spiegare la varietà e l’origine degli elementi che sono presenti nel nostro Universo ci serve molto di più! Ad esempio, per quale ragione l’idrogeno e l’elio, che hanno uno e due protoni, sono tanto più abbondanti degli elementi più pesanti? Per rispondere a questa domanda fondamentale dobbiamo mettere assieme conoscenze di fisica nucleare, di astrofisica e di cosmologia. Oggi sappiamo che mentre idrogeno ed elio sono stati prodotti nel Big Bang all’origine del nostro Universo, gli elementi più pesanti possono prodursi solo nelle stelle. La loro creazione è legata alla fusione dell’elio, che avviene nelle stelle più pesanti del Sole (giganti rosse). Questi processi di fusione nucleare fondono due nuclei leggeri, creando un nuovo nucleo più pesante e liberando l’energia in surplus. In questo modo possono essere creati nuclei pesanti fino a quelli di nichel e ferro, che sono formati da circa 60 nucleoni. L’esistenza di nuclei con massa ancora maggiore è possibile invece grazie a fenomeni diversi, come ad esempio nelle esplosioni delle supernovae, durante le quali si formano molti nuclei di grande massa tra cui l’uranio e il torio. In questi processi i nuclei esposti a un grande flusso di neutroni, tendono a catturarli e a formare nuovi nuclei molto ricchi di neutroni, che sono però instabili, decadono e si trasformano rapidamente. I nuclei radioattivi di tipo diverso coinvolti nei processi stellari sono del resto migliaia.
    L’esplosione di una supernova però può anche portare alla formazione di un nuovo stato della materia, creando una stella composta in gran parte solo da neutroni. Le stelle di neutroni concentrano una massa equivalente a quella del nostro Sole, che ha un raggio di 700.000 chilometri, in una sfera del raggio di una decina di chilometri. La loro struttura è determinata dall’enorme pressione gravitazionale, e dalla resistenza offerta dalla materia nucleare. Riprodurre in laboratorio le caratteristiche della materia nucleare per lo studio delle stelle di neutroni è oggi una delle frontiere della ricerca in fisica nucleare.
    Molti nuclei che invece hanno avuto un ruolo importante nella formazione degli elementi nei processi stellari sono instabili, decadono velocemente e non sono naturalmente presenti sulla Terra.

    h.
    Un elemento del rivelatore Agata, che è attualmente in fase di realizzazione da parte di varie istituzioni europee tra cui l’Infn. La struttura piramidale rappresenta elementi di cristalli rivelatori per raggi gamma, che, assorbiti dai cristalli, producono un segnale proporzionale alla loro energia.

    Produrli in laboratorio è un obiettivo centrale della ricerca attuale. Ma arrivare ai limiti della stabilità nucleare è un compito molto ambizioso, che richiede sviluppi tecnologici di punta per creare fasci accelerati di ioni radioattivi e rivelatori di alte prestazioni. Per studiare questi fenomeni riveste un ruolo molto importante la rivelazione della radiazione gamma, ovvero dei fotoni ad alta energia emessi dai decadimenti nucleari, e una collaborazione europea sta realizzando un nuovo rivelatore di grande efficienza (Agata).
    In effetti gli esperimenti con fasci radioattivi forniscono rigorosi controlli delle nostre aspettative teoriche sul comportamento dei nuclei in condizioni estreme, peraltro molto difficili da prevedere esattamente. Il nucleo, che è un sistema complesso formato da molte particelle, muta sensibilmente le sue proprietà quando si altera il rapporto tra protoni e neutroni rispetto ai nuclei stabili.
    Come è avvenuto in passato, le ricerche di fisica nucleare hanno un grande potenziale di ricadute applicative in altri settori: come, per citarne solo uno, lo sviluppo di radioisotopi per la medicina. L’avventura intrapresa per comprendere la varietà della nostra natura è tuttora in corso e ci entusiasmerà anche negli anni a venire!

    [as] approfondimento
    La Qcd


    Il protone e il neutrone sono composti di 3 quark di due soli tipi (detti sapori), u (up) e d (down), i quali possiedono, rispettivamente, carica elettrica +2/3 e -1/3. La carica elettrica +1 del protone si ottiene, quindi, combinando due quark u e un quark d (+2/3 +2/3 -1/3 = +1). Il neutrone, invece, è privo di carica elettrica e si ottiene combinando due quark d e uno u (-1/3 -1/3 +2/3 = 0). I tre colori dei quark inoltre sono combinati in modo che la particella sia “bianca” ovvero una miscela di rosso, verde e blu.


    I protoni e i neutroni, al pari delle altre particelle che sperimentano l’interazione forte – gli adroni – non sono particelle elementari ma sono costituiti da ingredienti più fondamentali: i quark.
    I quark hanno caratteristiche intrinseche molto diverse da quelle di altre particelle elementari, quali l’elettrone e il neutrino. La prima caratteristica rilevante è che essi hanno carica elettrica frazionaria rispetto a quella dell’elettrone e ciò si riflette nel modo in cui essi si combinano a formare gli adroni.
    Inoltre, i quark possiedono un’altra proprietà, detta colore. Il termine non ha alcuna attinenza con la luce visibile ed è soltanto una metafora per il fatto che tale proprietà sussiste in 3 varietà, dette rosso, verdee blu. Gli antiquark portano gli anticolori corrispondenti. La ricetta per formare un adrone è semplice da enunciare: i quark vanno combinati in modo che il colore complessivo sia nullo.
    Questo significa che i quark non possono mai essere prodotti come particelle libere isolate, ma si trovano permanentemente confinati all’interno di particelle “bianche”. Alla radice di questo bizzarro comportamento c’è la natura particolare dell’interazione tra i quark. Questa è di un tipo completamente nuovo e mediata da un nuovo tipo di particelle, i gluoni, i quali risentono dei colori dei quark. Il colore svolge in questo modello il ruolo svolto dalla carica elettrica nell’elettromagnetismo, e per questo ci riferiamo a questa nuova interazione con il nome di forza di colore e alla teoria che la descrive con il nome di cromodinamica quantistica (dall’inglese quantum chromodynamic, Qcd). La forza di colore tra due quark non diminuisce con la distanza che li separa, il che è all’origine del loro confinamento all’interno degli adroni. L’altra faccia di questa proprietà è rappresentata dalla cosiddetta libertà asintotica, vale a dire il fatto che ad altissima energia – il che, per il principio d’indeterminazione di Heisenberg, equivale alle piccolissime distanze – quark e gluoni interagiscono molto debolmente tra loro. In altre parole, la forza di colore agisce come una sorta di molla. Così come protoni e neutroni non sono fondamentali, non lo è nemmeno la loro reciproca interazione, vale a dire la forza nucleare. Questa altro non è che un residuo dell’interazione di colore tra i quark e i gluoni che li compongono, allo stesso modo in cui l’interazione tra atomi e molecole deriva dalle interazioni elettromagnetiche tra gli elettroni e protoni costituenti. [D. B.]

    [as] approfondimento
    Figli delle stelle


    L’istogramma rappresenta le abbondanze dei vari elementi presenti nel sistema solare, ordinati per numero atomico crescente sull’asse orizzontale. Sull’asse verticale è indicata l’abbondanza relativa di ciascun elemento, scegliendo il silicio come elemento di paragone ed assegnandogli convenzionalmente un’abbondanza di un milione di atomi. Per ogni milione di atomi di silicio vi sono, ad esempio, circa 30 miliardi di atomi di idrogeno e meno di un atomo di berillio. In percentuale, l’idrogeno rappresenta il 75%, l’elio il 23% e tutti gli altri elementi contribuiscono con il residuo 2%. Alcuni elementi hanno abbondanze così basse da non essere rappresentabili con la scala scelta. In colore azzurro sono indicati gli elementi che sono indispensabili alla vita, mentre le barre orizzontali sotto l’istogramma indicano i luoghi dove si sono formati i vari elementi, dal Big Bang primordiale alle giganti rosse o alle supernovae. Gli atomi di idrogeno di cui siamo costituiti hanno quindi l’età dell’universo. Gli elementi più pesanti, per quanto più recenti, sono giunti “da lontano”, da stelle ormai scomparse che, esplodendo, hanno disseminato nello spazio i vari elementi da essi generati. Figli delle stelle? Sì, e di molte stelle. [C. S.]

    Biografia
    Angela Bracco, professore all’Università degli Studi di Milano, si occupa di fisica nucleare dal 1980 e ha condotto esperimenti per lo studio della struttura nucleare con spettroscopia gamma. Partecipa all’esperimento Agata ed è attualmente presidente della commissione scientifica nazionale di fisica nucleare dell’Infn.


    Link
    http://www.nupecc.org
    http://agata.pd.infn.it

     



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  • I semi delle cose

    I semi delle cose
    Storia e attualità dei quark

    di Stefano Forte


    a.
    Il fuoristrada di Gell-Mann targato “QUARKS”.

    Introdotti nel 1964 da Murray Gell-Mann, i quark sono particelle alquanto peculiari, che non possono essere osservate direttamente, ma di cui si hanno solo indizi indiretti. Oggi sappiamo che, assieme ai leptoni, essi rappresentano i costituenti elementari della materia. Tuttavia, i quark come sono concepiti dalle moderne teorie delle interazioni fondamentali sono oggetti piuttosto diversi dai quark di Gell-Mann. Ma facciamo un passo indietro.

    Per dare una risposta al problema della proliferazione delle particelle fortemente interagenti (gli adroni), nel 1961 Gell-Mann suggerì che l’interazione forte potesse avere una simmetria descritta matematicamente dal gruppo SU(3) (vd. [as] La forza del gruppo., ndr), cioè che restasse invariata sotto le trasformazioni di questo gruppo. Il modello di Gell-Mann riuscì a fare ordine nella congerie degli adroni noti all’epoca (molte decine) e fu in grado di descrivere con successo la loro fenomenologia. Ma perché la simmetria è proprio SU(3)? Una possibile risposta è che gli adroni non sono particelle elementari, ma stati legati di oggetti più piccoli, i quark appunto, e delle loro antiparticelle, gli antiquark. Gell-Mann ipotizzò tre tipi, o “sapori”, di quark (up, down e strange), e la simmetria SU(3) è quella che scambia i sapori. Le regolarità osservate nelle masse degli adroni e nei loro processi sono conseguenza del fatto che l’interazione forte è invariante (del tutto o in parte) sotto questo scambio.

    [as] approfondimento
    L’eredità di Rutherford

    1.
    Ernest Rutherford (a destra) e Hans Geiger (a sinistra)
    nel celebre laboratorio nell’Università di Manchester, dove nel 1909 fu scoperto il nucleo atomico.

    Gli esperimenti che hanno rivelato la presenza di costituenti elementari all’interno del protone rientrano in un modello di esplorazione della materia che ha una lunghissima storia ed è basato su un’idea molto semplice: studiare la struttura di un sistema sparandogli contro delle particelle e osservando come queste vengono diffuse. I tre elementi base di questa classe di esperimenti sono un fascio di particelle (che fungono da proiettili), un bersaglio e un rivelatore. Il bersaglio è costituito dal sistema che si intende studiare (atomi, nuclei, protoni, ecc.). Le particelle-proiettili sono elementari (cioè prive di struttura interna, come gli elettroni, i muoni o i neutrini) o si comportano come tali. Il rivelatore è posto dietro e attorno al bersaglio e segnala l’arrivo delle particelle diffuse, contandole ed effettuando una serie di misure (identificazione del tipo di particella, misura dell’energia, ecc.). Fu con un apparato di questo genere (che stava tutto su un tavolo da laboratorio) che nel 1909 Hans Wilhelm Geiger ed Ernest Marsden, collaboratori di Ernest Rutherford, scoprirono il nucleo atomico. I due fisici osservarono che, inviando un fascio di particelle alfa (che oggi sappiamo essere costituite da due protoni e due neutroni, ma che nell’urto rimanevano intatte ed erano quindi assimilabili a corpuscoli elementari) su lamine di vari metalli, un certo numero di particelle subiva una notevole deflessione. Persino un sottilissimo foglio d’oro, dello spessore di mezzo millesimo di millimetro, era in grado di deviare alcune particelle di più di 90°. Rutherford capì che ciò era dovuto al fatto che le particelle urtavano contro un oggetto molto piccolo posto al centro dell’atomo – il nucleo – che concentrava in sé quasi tutta la massa atomica (vd. in Asimmetrie n.9 fig. b, ndr). I primi esperimenti di diffusione di elettroni su atomi furono compiuti negli anni trenta. Da allora questo tipo di esperimenti ha permesso di esplorare anche la struttura dei nuclei e dei nucleoni (protoni e neutroni). Negli anni cinquanta, Robert Hofstadter scoprì in questo modo che i nucleoni non sono oggetti puntiformi, ma sferette composite di raggio pari a circa un fermi (10-15 metri). Con elettroni di più alta energia, alla fine degli anni sessanta, i fisici dello Slac, in California, rivelarono l’esistenza dei quark all’interno del protone. Il processo studiato allo Slac, e in seguito con precisione crescente al Cern di Ginevra e all’acceleratore Hera di Amburgo, è la cosiddetta diffusione profondamente anelastica, in cui il protone bersaglio si frammenta in una miriade di particelle che non vengono osservate. Le sole particelle osservate sono gli elettroni diffusi e, come negli esperimenti di Geiger e Marsden, il cospicuo numero di elettroni deflessi a grandi angoli segnala la presenza di corpuscoli più piccoli all’interno del protone: i quark. [Vincenzo Barone]

    Ma i quark esistono davvero? Se sì, dovrebbero essere relativamente facili da individuare, perché hanno una carica elettrica pari a multipli di un terzo della carica dell’elettrone, mentre tutte le particelle note hanno carica pari a multipli interi della carica dell’elettrone. Eppure, i quark liberi sono stati cercati dappertutto, ma non sono mai stati trovati (vd. [as] radici: Libertà impossibile, ndr). D’altra parte, a partire dalla seconda metà degli anni ’60, la presenza di costituenti puntiformi all’interno dei protoni fu rivelata da una serie di esperimenti di diffusione profondamente anelastica (in inglese, deep-inelastic scattering) (vd. approfondimento). In questi esperimenti, l’urto di un elettrone di alta energia su un protone produce uno stato finale che contiene un gran numero di particelle che non vengono rivelate. Sperimentalmente si studia solo la distribuzione angolare degli elettroni deflessi. Ci si sarebbe aspettati, immaginando il protone come una sferetta uniformemente carica, che la probabilità di osservare questi elettroni diminuisse molto rapidamente al crescere del loro angolo di deflessione. Invece, si trovò che, per angoli sufficientemente grandi ed energie sufficientemente alte, essa diventava circa costante.
    b.
    Quando una particella carica come l’elettrone interagisce con un protone, scambia con esso un fotone. È questo che “sonda” il bersaglio. Il parametro importante nel processo è una combinazione dell’energia e della quantità di moto del fotone chiamata Q. Maggiore è Q, maggiore è la risoluzione con cui il fotone-sonda “vede” il protone. A piccolissimi Q, il protone appare costituito da tre quark di Gell-Mann; a grandi Q, appare invece costituito da un gran numero di quark, antiquark e gluoni puntiformi. L’“evoluzione” in Q della struttura del protone è predetta dalla teoria fondamentale dell’interazione forte, la cromodinamica quantistica (Qcd), che trova proprio nella diffusione profondamente anelastica uno dei suoi test di maggior successo.
    Nel 1968 Feynman osservò che ciò poteva essere spiegato supponendo che l’urto avvenisse tra l’elettrone e costituenti elementari (cioè senza struttura interna) e quasi liberi, ossia tali da non accorgersi di essere all’interno di un protone. È stato naturale pensare che questi costituenti, che Feynman battezzò partoni, potessero essere identificati con i quark. In effetti, da questa identificazione seguirono diverse predizioni sperimentali, che furono in seguito verificate con crescente precisione. Questo porta a una conclusione paradossale. Da un lato, è impossibile osservare i quark liberi, il che suggerisce che, se esistono, sono così fortemente legati che l’energia necessaria per spezzare un protone nei suoi costituenti è infinita. Dall’altro, vi sono evidenze della presenza di quark all’interno del protone, i quali però si comportano come quasi liberi, ossia molto debolmente legati. Questa apparente contraddizione è risolta dalla cromodinamica quantistica (Qcd, Quantum ChromoDynamics), la teoria delle interazioni forti, in cui i quark (e gli antiquark) interagiscono con le particelle mediatrici della interazione forte, i gluoni, analogamente a come nell’elettromagnetismo gli elettroni interagiscono con la luce, cioè con i fotoni (particelle mediatrici dell’interazione elettromagnetica). Una delle caratteristiche della Qcd, infatti, è che l’interazione tra quark e gluoni, pur avendo la stessa forma a tutte le distanze, si attenua al diminuire della distanza a cui viene sondata (o, equivalentemente, all’aumentare dell’energia) e tende ad annullarsi a distanze infinitamente piccole, cioè a energie infinitamente elevate (un fenomeno noto come libertà asintotica). Ecco perché negli urti di elettroni di alta energia i quark appaiono come oggetti molto poco interagenti, pressoché liberi.

    In una teoria quantistica dei campi come la Qcd anche le entità fisiche cambiano al variare della risoluzione con cui vengono osservate. Questo vuol dire che un oggetto che, osservato con bassa risoluzione (ossia a bassa energia), può apparire come un singolo quark, visto con una risoluzione più alta (ossia ad alta energia) si rivela essere in realtà un coacervo di molti quark, antiquark e gluoni. Ciò permette di chiarire il vero significato dei quark di Gell-Mann. Questi sono solo indirettamente legati ai quark puntiformi della Qcd: si tratta infatti di oggetti compositi. Hanno le stesse cariche dei quark della Qcd, ma le interazioni tra di essi sono descritte da una diversa teoria, che si ottiene dalla Qcd nel limite di basse energie, cioè quando il protone viene “sondato” con bassa risoluzione. Il protone è fatto da tre quark di Gell-Mann, che in esperimenti di alta energia si rivelano essere composti da infiniti quark, antiquark e gluoni: sono questi, in ultima analisi, i mattoni fondamentali della materia.

    Nel corso degli ultimi vent’anni la Qcd nel regime delle alte energie ha portato a predizioni sempre più precise, che sono state verificate sperimentalmente con grande accuratezza. C’è questa teoria alla base degli esperimenti che hanno recentemente por tato alla scoperta del bosone di Higgs nelle collisioni tra protoni nell’acceleratore Lhc del Cern. Infatti, una descrizione accurata della sottostruttura del protone è un ingrediente indispensabile per ottenere predizioni per qualunque processo in Lhc. Questa informazione è codificata nelle distribuzioni partoniche, che forniscono la probabilità di trovare all’interno di un protone i vari tipi di quark e antiquark, e i gluoni (vd. fig. c). Dal punto di vista della Qcd, la simmetria SU(3) di Gell-Mann, cioè l’invarianza rispetto al cambiamento di sapore dei quark up, down e strange, risulta essere una proprietà accidentale, dovuta al fatto che questi quark sono tutti e tre molto più leggeri del protone. La simmetria fondamentale della Qcd, quella che determina le leggi dell’interazione forte, è un’altra simmetria di tipo SU(3), ma riguardante una diversa proprietà dei quark, anch’essa immaginata nel 1964: il colore (vd. A tinte forti, ndr).


    c.
    Le funzioni di distribuzione partoniche del protone per Q2 = 4 GeV2 determinate dalla collaborazione Neural Network Parton Distribution Functions. Ciascuna banda corrisponde a un tipo di costituente distinto (partone) del protone (quark, antiquark o gluone) e fornisce la probabilità che in una collisione di alta energia esso porti una frazione dell’energia del protone da cui è estratto, indicata sull’asse orizzontale. La larghezza delle bande indica l’incertezza teorica. Per comodità di rappresentazione la banda dei gluoni è ridotta di un fattore dieci.

    Biografia
    Stefano Forte ha conseguito il dottorato di ricerca al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e ha successivamente lavorato a Parigi e al Cern. È stato ricercatore dell’Infn a Torino e a Roma ed è attualmente professore ordinario di fisica teorica all’Università di Milano. Si occupa principalmente di teoria dell’interazione forte e coordina la collaborazione Nnpdf (Neural Network Parton Distribution Functions).

     


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  • Illuminando la materia

    Illuminando la materia
    Fotoni virtuali e reali nella fisica delle particelle
    di Massimo Corradi ed Elisabetta Gallo

    Sin dai tempi dei filosofi greci l’uomo cerca di capire di cosa sia fatta la materia che lo circonda. Nella fisica moderna, uno dei metodi più fruttuosi per esplorare la struttura della materia alle scale più piccole è quello di “sparare”, con macchine dedicate chiamate acceleratori di particelle, particelle elementari elettricamente cariche, per esempio elettroni, contro campioni di materia. Lo scontro può avvenire attraverso lo scambio di un fotone virtuale, che permette, in un certo senso, di “vedere” l’interno della materia (vd. approfondimento "Luce virtuale"). Il primo successo di questa tecnica fu la scoperta del nucleo dell’atomo. Nel 1910 Hans Geiger e Ernest Marsden spararono particelle alfa, ovvero particelle cariche prodotte nei decadimenti radioattivi, contro una lamina d’oro. Grazie a questi urti, che oggi descriviamo come mediati da uno scambio di fotoni virtuali, Ernest Rutherford capì che doveva esserci un oggetto di dimensioni molto più piccole di quelle dell’atomo, ma che ne conteneva quasi tutta la massa: il nucleo.
    a.
    L'acceleratore Hera del laboratorio Desy di Amburgo: un anello con una circonferenza di 6,3 km capace di far collidere protoni con elettroni per esplorare la struttura dei protoni fino a scale di dimensioni di 10-15 mm (un milionesimo di miliardesimo di mm).
    [as] approfondimento
    Luce virtuale

     


    1.
    Rappresentazione grafica di collisioni elettrone-protone. L'elettrone emette un fotone virtuale che va a colpire il protone. Per piccoli valori di Q (a sinistra) il fotone non distingue nessuna struttura all'interno del protone. A Q intermedio (al centro) sono visibili i tre quark, detti "di valenza". All'aumentare di Q (a destra) appaiono nuove strutture, con i quark che emettono gluoni (rappresentati da molle), i quali a loro volta si trasformano in coppie formate da un quark e dalla rispettiva antiparticella, l'antiquark.

    Per capire come è fatta la materia al suo interno, i fisici studiano le collisioni tra elettroni e protoni di altissima energia, analizzando l'energia e la direzione degli elettroni che emergono dall'urto. La collisione tra un elettrone e un protone avviene attraverso lo scambio di un fotone virtuale, cioè un fotone con massa diversa da zero, che può esistere per tempi brevissimi grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg. I fotoni virtuali sono caratterizzati da una grandezza (indicata con Q) che è una misura della "durezza" dell'urto, cioè dell'energia e della quantità di moto perduta dall'elettrone nell'urto con il protone. La capacità di vedere ovvero, come dicono i fisici, di risolvere strutture piccole all'interno del protone è inversamente proporzionale a Q. Come è illustrato nella fig. 1, per piccoli valori di Q il protone viene visto come un unico oggetto. All'aumentare di Q e quindi della capacità del fotone virtuale di risolvere dettagli sempre più piccoli, il protone appare composto da tre quark. A valori di Q ancora più grandi viene rivelata una gran quantità di altri costituenti: gluoni e coppie formate dai quark e dalle loro antiparticelle (gli antiquark), che trasportano ciascuno una piccola frazione dell'energia del protone. Questo aumento del numero di costituenti osservabili all'aumentare di Q è predetto con precisione dalla teoria Qcd. La densità dei costituenti del protone è stata misurata con grande precisione a Hera e ha portato a una verifica fondamentale della Qcd. La conoscenza della densità dei quark e dei gluoni all'interno del protone è inoltre importante per la comprensione dei risultati delle collisioni protone- protone all'acceleratore Lhc del Cern.
    L’avvento di acceleratori di particelle sempre più potenti, in cui fasci di elettroni venivano sparati contro bersagli fissi, ha permesso di distinguere dettagli sempre più piccoli all'interno della materia. Fino agli anni '50 si pensava, ad esempio, che il protone, uno dei componenti del nucleo di un atomo, fosse una particella "elementare" ovvero puntiforme. Usando un acceleratore di elettroni del laboratorio Slac in California, Robert Hofstadter trovò invece che il protone ha un'estensione spaziale misurabile, con un raggio di circa un decimillesimo di miliardesimo di centimetro (10-13 cm). L'acceleratore lineare che entrò in funzione allo Slac nel 1967 portò a una nuova svolta nel campo della fisica delle particelle: la scoperta di oggetti puntiformi all'interno del protone, i quark. Successivamente vari esperimenti, effettuati ai laboratori Cern di Ginevra e Fermilab vicino Chicago, hanno studiato la struttura interna del protone usando come sonde non solo elettroni, ma anche altre particelle come muoni e neutrini. Un salto quantitativo nella capacità di distinguere strutture sempre più piccole si è ottenuto negli anni '90 con Hera (Hadron Elektron Ring Anlage), dove fasci di elettroni ad alta energia venivano fatti scontrare con protoni a loro volta accelerati. L'acceleratore Hera è rimasto in funzione per circa 15 anni, dal 1992 al 2007, presso il laboratorio Desy di Amburgo (Germania). Il contributo dell'Infn, consistente nella fornitura di metà dei magneti superconduttori usati per il fascio dei protoni, è stato fondamentale per la realizzazione dell'acceleratore. L'Infn ha anche partecipato alla costruzione e al funzionamento dei due esperimenti (H1 e Zeus), posti nei punti di collisione elettrone-protone, e dei due esperimenti (Hermes e Herab), che hanno studiato le collisioni su bersagli fissi. I fisici italiani sono ancora impegnati nell'analisi dei dati raccolti da Hera, che hanno portato a una visione più completa del protone e a una verifica dettagliata della teoria delle interazioni forti, la cromodinamica quantistica o Qcd, dall'acronimo inglese quantum-chromo-dynamics (vd. approfondimento "Luce virtuale"). Ma i quark sono oggetti elementari od oggetti dotati a loro volta di una struttura? Le misure a Hera ci dicono che i quark sono puntiformi o meglio che il loro raggio deve essere più piccolo di un millesimo del raggio del protone. I quark up e down presenti nel protone (e nel neutrone, l'altro componente del nucleo di un atomo) e l'elettrone rimangono quindi, al momento, i più piccoli mattoni di cui è composta la materia ordinaria. Non è però stata ancora detta l'ultima parola nel campo delle collisioni elettrone-protone. Si sta già progettando infatti una nuova macchina, chiamata Lhec (Large Hadron-Electron Collider), che dovrebbe sparare fasci di elettroni contro protoni accelerati alle altissime energie dell'acceleratore Lhc del Cern a Ginevra. In questo modo si potrebbero studiare strutture dieci volte più piccole di quelle esplorate finora (vd. fig. b).
    [as] approfondimento
    Fotoni contro fotoni

     


    1.
    Una coppia muone-antimuone di alta energia osservata dall'esperimento Zeus a Hera. A destra, la schermata che hanno analizzato i fisici, in cui sono visibili le tracce lasciate dal muone e dall'antimuone (indicate dai simboli μ- e μ+), mentre attraversano i rivelatori di particelle dell'apparato. L'origine di queste due particelle è la collisione tra due fotoni di alta energia, a loro volta emessi dagli elettroni e dai protoni accelerati da Hera (a sinistra).

    I fotoni di alta energia non solo interagiscono con la materia, come quelli di bassa energia a cui siamo abituati (quelli della luce visibile), ma possono anche interagire tra loro generando altre particelle. Poiché un fotone può trasformarsi per tempi brevissimi in una coppia quark-antiquark, il suo comportamento è simile a quello di un adrone, una particella composta di quark e antiquark soggetta alle interazioni forti. Le collisioni fotone-fotone risultano quindi simili alle collisioni tra adroni (per esempio tra protoni in Lhc), con produzione di molte particelle e di getti di particelle di alta energia. Questo comportamento "adronico" del fotone è stato studiato in dettaglio a Hera e negli acceleratori in cui si facevano scontrare elettroni e positroni (cioè antielettroni), come per esempio al Lep del Cern. In alcuni casi però le collisioni tra fotoni sono molto diverse di quelle tra adroni: l'intera energia della collisione infatti può essere convertita in una coppia di particelle. Un esempio è la creazione di coppie muone-antimuone nelle collisioni fotone-fotone osservate a Hera (vd. fig. 1). L'accordo della misura sperimentale con la predizione teorica basata sui processi noti ha mostrato l'assenza di nuovi fenomeni alle energie esplorate. I rivelatori di muoni in Zeus, usati per questa misura, sono stati interamente costruiti e gestiti dall'Infn. Per il futuro esiste un progetto per sfruttare collisioni fotone-fotone generate in un acceleratore lineare per creare grandi quantità di bosoni di Higgs, particelle che fisici di tutto il mondo stanno cercando da anni.

    b.
    Storia del potere risolutivo dei fotoni virtuali usati come sonde nel corso degli anni.

    Biografia
    Marco Genovese Massimo Corradi è ricercatore presso la sezione Infn di Bologna ed è stato coordinatore della fisica dell'esperimento Zeus, di cui è responsabile nazionale. Collabora anche all'esperimento Atlas di Lhc.

    Elisabetta Gallo è ricercatrice presso la sezione Infn di Firenze ed è stata responsabile della collaborazione Zeus. Attualmente partecipa all'esperimento Cms di Lhc.


    Link

    http://www-zeus.roma1.infn.it/index.html
    http://www-zeus.desy.de/
    http://www-h1.desy.de/

     

     

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  • In sostanza

    In sostanza
    Breve biografia della massa
    di Vincenzo Barone

    Se "pesate" il numero di "Asimmetrie" che avete tra le mani, la bilancia segnerà poco più di 200 grammi. Sgombriamo il campo da un equivoco: mentre nel linguaggio comune le parole "peso" e massa si usano come se fossero sinonimi, in realtà si tratta di due grandezze fisiche differenti e solo la seconda è una caratteristica intrinseca degli oggetti (vd. approfondimento). Supponete ora di suddividere la rivista nei suoi elementi più minuti. Succederebbe, allora, una cosa strana: la sua massa si volatilizzerebbe! Ingenuamente potremmo pensare che sommando le masse di tutti i suoi costituenti elementari si ottengano i 200 grammi misurati dalla bilancia, ma non è così.
    La massa di "Asimmetrie", così come quella di tutta la materia ordinaria, è concentrata quasi interamente nei nuclei dei suoi atomi, fatti di protoni e neutroni. Questi, a loro volta, sono composti da quark, particelle elementari prive di struttura interna, attualmente considerate i costituenti ultimi della materia. Ma se mettessimo assieme le masse di tutti i quark contenuti nella rivista, la bilancia segnerebbe appena qualche grammo. Dov'è il resto della massa?

    [as] approfondimento
    Più magri su Marte?

    1.
    La massa e il peso di Curiosity sulla Terra (a sinistra) e su Marte (a destra). Una bilancia a piatti (in basso) confronta la massa di un oggetto con una massa campione: la massa di Curiosity sulla Terra e su Marte è di 900 kg. Una bilancia a molla (in alto) misura il peso di un oggetto e lo converte in massa, tenendo conto dell'attrazione gravitazionale del luogo in cui opera (e per il quale è stata tarata). Su Marte una bilancia di questo tipo, tarata sulla Terra, attribuirebbe a Curiosity la massa erronea di 300 kg (l'attrazione gravitazionale marziana è un terzo di quella terrestre). In realtà, è il peso di Curiosity su Marte a essere diverso.

     

    Il rover Curiosity, che sta esplorando in questi mesi la superficie di Marte, ha una massa di 900 chilogrammi. Nel linguaggio comune diremmo che Curiosity "pesa" 900 chilogrammi. Dal punto di vista della fisica, però, questa espressione è impropria: massa e peso, infatti, sono due grandezze differenti. La massa di un oggetto è una quantità invariante, che non dipende dallo spazio e dal tempo: Curiosity ha la stessa massa sulla Terra e su Marte. Il peso, invece, è la forza di gravità che agisce su un oggetto, e, sebbene sia proporzionale alla massa, a differenza di questa può variare, perché dipende anche dall'attrazione gravitazionale cui è sottoposto l'oggetto. Sulla Terra, per esempio, il peso di un corpo cambia (sia pure di poco) con l'altitudine: in cima all'Everest l'attrazione gravitazionale esercitata dal nostro pianeta è leggermente più debole che a livello del mare e, di conseguenza, i corpi pesano un po' meno. L'effetto sulla Terra è minimo, ma l'attrazione gravitazionale di Marte è circa un terzo di quella terrestre e quindi il peso di Curiosity su Marte è un terzo del suo peso sulla Terra! Essendo una forza, il peso può essere bilanciato da altre forze. È ciò che succede in una navetta spaziale orbitante, come lo Space Shuttle, dove gli astronauti vivono in "assenza di peso", perché il loro peso è compensato e annullato dalla forza centrifuga dovuta al moto orbitale della navetta.

    Fino a pochi decenni fa, non avremmo saputo rispondere (e, a dire il vero, non eravamo neanche consapevoli del problema). All'inizio degli anni settanta fu elaborata una teoria, la cromodinamica quantistica (Qcd, Quantum ChromoDynamics), che descrive i protoni e i neutroni – i costituenti dei nuclei atomici – come composti da quark che interagiscono fortemente fra loro, scambiandosi delle particelle di massa nulla, chiamate gluoni. La Qcd propone una risposta sorprendente alla domanda che ci siamo posti: la massa di protoni e neutroni non è dovuta alle masse dei quark, che sono molto piccole, ma all'energia dei quark e dei gluoni (vd. Particelle a colori). È il "paradosso della massa senza massa", come lo chiama Frank Wilczek, uno dei fondatori della Qcd. Ma cosa c'entra la massa con l'energia? Il fatto che la massa di un oggetto composto sia determinata non solo dalle masse, ma anche dalle energie dei suoi costituenti, è una conseguenza della relatività speciale di Einstein. Nel caso dei protoni e dei neutroni, poi, questo effetto è particolarmente cospicuo a causa dei fenomeni quantistici che caratterizzano le interazioni tra quark e gluoni.

    a.
    Il concetto moderno di massa in fisica
    comincia con i Principia di Newton.
    Restano da spiegare le piccole masse dei costituenti indivisibili della materia, i quark e gli elettroni (che orbitano attorno ai nuclei atomici). Qual è l'origine delle masse delle particelle elementari? Oggi sappiamo rispondere anche a questo. Le masse in questione sono generate dall'accoppiamento delle particelle elementari con il bosone di Higgs. Si tratta quasi sicuramente della particella che nei mesi passati è stata rivelata dall'acceleratore più grande del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc), al Cern di Ginevra, e che il 4 luglio scorso ha riempito le prime pagine di tutti i quotidiani. La massa del mondo che ci circonda è, in definitiva, lo straordinario risultato di sottili effetti relativistici e quantistici. Come si è arrivati a capire tutto ciò? La storia del concetto moderno di massa comincia con Newton e con i suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, in cui vengono enunciate le leggi della dinamica classica. Per Newton, la massa è la costante di proporzionalità tra la forza e l'accelerazione, nella seconda legge della dinamica (F=ma). Più precisamente, questa è la massa inerziale, la grandezza che quantifica l'inerzia di un corpo, cioè la sua resistenza alle accelerazioni. Nei Principia la massa compare anche nell'espressione della forza di gravità, come misura dell'intensità dell'attrazione gravitazionale dei corpi, cioè come massa gravitazionale. In linea di principio, la massa inerziale e la massa gravitazionale sono grandezze distinte. Tuttavia, il fatto che i corpi cadano tutti con la stessa accelerazione, come osservò per la prima volta Galileo, indica che massa inerziale e massa gravitazionale sono uguali. Questa uguaglianza, verificata oggigiorno con grandissima precisione (una parte su diecimila miliardi) (vd. In caduta libera), è, nella fisica classica, un dato di fatto privo di una giustificazione teorica. Una delle motivazioni della relatività generale di Einstein, del 1916, fu proprio quella di spiegare l'equivalenza di inerzia e gravitazione (il principio di equivalenza), unificando i due concetti. Einstein notò che, poiché le forze apparenti che compaiono nei sistemi di riferimento accelerati sono proporzionali alla massa inerziale e poiché questa è uguale alla massa gravitazionale, un osservatore può sempre eliminare, o simulare, gli effetti della gravità, ponendosi in un sistema di riferimento accelerato: per esempio, in un ascensore in caduta libera un osservatore non avvertirebbe la gravità ma fluttuerebbe come se fosse nello spazio vuoto.
    b.
    Nel 2006 la famosa formula di Einstein E=mc² è diventata una scultura nel cosiddetto Walk of Ideas di Berlino, un'esibizione progettata dallo studio Scholz & Friends in occasione dei campionati mondiali di calcio in Germania. La velocità della luce c, come si vede, può fungere da comoda chaise longue.

    Nella relatività generale l'uguaglianza tra massa inerziale e massa gravitazionale non è più un accidente, ma la conseguenza necessaria di un principio generale, l'equivalenza fisica di tutti i sistemi di riferimento. Lo stesso principio prevede che la gravità si manifesti come una curvatura dello spaziotempo, tanto più accentuata quanto più densa è la materia che la produce. Il Sole, per esempio, incurva solo leggermente il "tappeto elastico" dell'universo (vd. fig. c In caduta libera), mentre una stella di neutroni - che ha una massa dell'ordine di quella solare, concentrata però in un raggio di pochi chilometri (vd. Masse estreme), lo incurva molto di più, e un buco nero lo incurva così tanto che niente di ciò che finisce in esso, neanche la luce, può riemergere (vd. Nel buio dei buchi neri). Nell'altra teoria relativistica, quella speciale del 1905, Einstein aveva rivoluzionato la nozione di massa inerziale. Secondo la relatività speciale, la misura dell'inerzia di un corpo non è la sua massa, bensì la sua energia. Poiché nel limite di basse velocità le predizioni relativistiche si riducono a quelle newtoniane, quando un corpo è fermo la sua energia E (l'inerzia relativistica) deve coincidere con la massa m (l'inerzia newtoniana), salvo un fattore costante che garantisce le corrette dimensioni fisiche delle grandezze: in formula, E=mc², dove c è la velocità della luce nel vuoto (che, in base alla teoria della relatività, è una costante fondamentale della natura). La massa, dunque, è una forma di energia, come si verifica in tutti quei processi nucleari e subnucleari – dalle reazioni di fissione e fusione nucleare agli urti negli acceleratori – in cui vi è conversione di massa in energia cinetica o, al contrario, materializzazione di energia cinetica in massa. La relatività speciale ha altre due conseguenze di rilievo riguardanti la massa. La prima è quella che abbiamo già menzionato: la massa di un sistema composto è la somma delle masse e delle energie dei suoi costituenti. Ciò è esemplificato in modo estremo dalla massa dei protoni e dei neutroni, ma anche la massa dei nuclei è determinata, sia pure in piccola parte (l'1%), dalle energie interne di legame (quanto basta per far sì che la fissione di un grammo di uranio sprigioni decine di migliaia di chilowattora di energia). Il fenomeno caratterizza anche oggetti astrofisici, come le stelle di neutroni, la cui massa è per più del 10% energia di legame (gravitazionale, in questo caso). La seconda conseguenza della relatività speciale è che possono esistere particelle di massa nulla, che si muovono sempre alla velocità della luce: un esempio lampante (è proprio il caso di dirlo) è dato dai fotoni, le particelle di luce.

    [as] approfondimento
    Da chilogrammi a elettronvolt

     

    Le unità di misura della massa che usiamo quotidianamente, i grammi e i chilogrammi, non sono adatte alla fisica nucleare e subnucleare. In questo ambito della fisica, infatti, un grammo è una massa enorme: corrisponde, per avere un'idea, alla massa di un miliardo di miliardi di miliardi di elettroni. L'unità di misura più usata dai fisici delle particelle si ottiene – secondo la famosa formula E=mc² – dividendo un'unità di misura dell'energia, l'elettronvolt (eV), per il quadrato della velocità della luce (): è l'elettronvolt/c² (eV/c²), equivalente a poco più di 10-36 chilogrammi. I suoi multipli sono il MeV/c² (un milione di eV/c²), il GeV/c² (un miliardo di eV/c²) e il TeV/c² (mille miliardi di eV/c²). Un elettrone, per esempio, ha una massa di circa mezzo MeV/c², mentre protoni e neutroni hanno una massa di poco inferiore al GeV/c². Tra le particelle elementari, le più leggere sono i neutrini, le cui masse non sono note ma si stima siano inferiori al decimo di eV/c², la più pesante è il quark top, la cui massa (174 GeV/c²) è pari all'incirca alla massa di dieci molecole di acqua. Un'avvertenza: i fisici di solito omettono il c² nelle misure delle masse, che sono quindi espresse semplicemente in eV, MeV, GeV, TeV ecc. (ed è quello che faremo anche in questo numero di Asimmetrie).

    La relatività speciale e la meccanica quantistica si combinano nelle teorie delle forze (o interazioni) fondamentali della natura. La forza elettromagnetica, la forza debole e la forza forte sono descritte dal cosiddetto modello standard, che si fonda su un principio di invarianza che i fisici chiamano simmetria di gauge (per approfondire vd. in Asimmetrie n. 11, "Simmetrie"). Questa simmetria è preziosa perché determina precisamente la forma delle interazioni: basta imporre questa simmetria e la teoria è fatta (o quasi). La simmetria di gauge dell'elettromagnetismo, per esempio, prescrive il modo in cui le particelle cariche si attraggono o si respingono scambiandosi fotoni. Analogamente, la simmetria di gauge della forza forte prescrive il modo in cui i quark interagiscono scambiandosi gluoni. C'è però un problema: la simmetria di gauge del modello standard, che distingue tra destra e sinistra, è apparentemente incompatibile con qualunque massa. Essa stabilisce che sia le particelle che mediano la forza debole, i bosoni W e Z, sia le particelle elementari di materia (quark e leptoni) abbiano massa nulla. Un mondo così evanescente è ben lontano dalla realtà. La soluzione del problema sta in un meccanismo teorico inventato nel 1964 da François Englert e Robert Brout e, indipendentemente, da Peter Higgs. Questo meccanismo prevede l'esistenza di un campo che pervade il vuoto, fornendo massa sia ai bosoni W e Z sia alle particelle di materia. Le eccitazioni quantistiche di questo campo rappresentano il cosiddetto bosone di Higgs (vd. Ed è solo l’inizio). I fisici si sono dedicati per decenni alla caccia del bosone di Higgs, muovendosi, per così dire, al buio, dal momento che il modello standard non dà alcuna indicazione sulla massa di questa particella. Pochi mesi fa, finalmente, gli esperimenti Atlas e Cms, che lavorano in Lhc a Ginevra, hanno annunciato di aver scoperto una particella, di circa 125 GeV di massa, che sembra avere tutte le caratteristiche dell'agognato bosone. Abbiamo visto in che modo emergono le masse delle particelle che compongono la materia ordinaria: protoni, neutroni ed elettroni. Siamo dunque alla fine della storia della massa? Niente affatto. La massa di cui abbiamo finora rintracciato l'origine – quella visibile – rappresenta solo una piccola frazione (circa il 5%) della massa dell'universo. Varie evidenze osservative dimostrano che c'è una componente notevole di materia che non osserviamo, la materia oscura (vd. Missing). Di essa si sa solo che probabilmente è costituita da particelle pesanti, stabili e debolmente interagenti. Non conosciamo al momento particelle di questo tipo, e molti pensano che "l'ingrediente segreto" della materia oscura possa essere una particella prevista da una nuova simmetria della natura, la supersimmetria, su cui Lhc sarà in grado di dire una parola decisiva nei prossimi anni. Ma non è ancora tutto, perché a quanto sappiamo oggi solo un quarto della massa complessiva dell'universo è davvero massa: i restanti tre quarti sono - di nuovo Einstein! - energia.

    c.
    Paragonando l'universo conosciuto a un iceberg, ecco come apparirebbe suddiviso il suo contenuto di massa-energia: materia ordinaria, composta di elettroni, protoni e neutroni, materia oscura ed energia oscura.

    Si tratta della cosiddetta energia oscura, che causa l'espansione accelerata dell'universo e la cui natura è per ora del tutto sconosciuta. All'estremo opposto della scala cosmica, anche l'origine delle masse più piccole che conosciamo (quelle dei neutrini) è avvolta nel mistero (vd. Con passo leggero). Per dar conto delle masse dei neutrini, il modello standard deve essere esteso, e questo può essere fatto in molti modi diversi. Lo stesso status dei neutrini è incerto: sono simili alle altre particelle di materia o sono particelle diverse, di un tipo ipotizzato molti anni fa da Ettore Majorana, con una massa peculiare? E ancora, com'è possibile che tra le masse delle particelle elementari più leggere, i neutrini, e la massa della particella elementare più pesante, il quark top (174 GeV), ci sia un fattore di più di mille miliardi? Come si vede, sebbene si sappia già molto sull'origine della massa dell'universo e dei suoi costituenti, le domande senza risposta rimangono tante. Ad alcune di esse risponderemo certamente nell'immediato futuro, altre ci accompagneranno forse per un tempo più lungo.

    Biografia
    Vincenzo Barone insegna fisica teorica all'Università del Piemonte Orientale. La sua ricerca riguarda la fenomenologia delle particelle elementari e, in particolare, delle interazioni forti. In ambito divulgativo, il suo ultimo lavoro è "L'ordine del mondo", un saggio sulle simmetrie in fisica da Aristotele a Higgs.

     


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  • Particelle a colori

    Particelle a colori
    L’energia che dà massa alle cose
    di Vittorio Lubicz

    Il 2012 sarà ricordato nella storia della fisica come l’anno del bosone di Higgs. Ultimo tassello, finora sfuggito all’osservazione tra le particelle elementari previste dalla teoria, il bosone di Higgs genera un interesse profondo per il ruolo unico che i fisici ritengono sia svolto da questa particella. Infatti, l’interazione di tutti i costituenti elementari, cioè i leptoni e i quark, con il bosone di Higgs, o più precisamente con il campo di forze a esso associato, fornisce a ciascuna particella la propria massa. Le masse dell’elettrone e delle diverse specie di quark sono tutte generate dall’interazione di queste particelle con il campo di Higgs. Si potrebbe dunque pensare che il bosone di Higgs sia il responsabile ultimo della massa di tutta la materia, dagli atomi agli oggetti che da questi sono costituiti, fino a includere la massa di tutti i pianeti e le stelle del nostro universo. Questa conclusione è tuttavia profondamente sbagliata. Nella realtà, solo una piccolissima frazione (appena qualche per cento!) della massa della materia che ci circonda è spiegata dal bosone di Higgs. Che cosa dunque dà origine alla maggior parte della nostra massa e a quella degli oggetti che ci circondano?
    È idea radicata del vivere quotidiano che la massa di un sistema sia data dalla somma delle masse di cui è composto. Così siamo portati naturalmente a pensare, in questo caso a ragione, che la massa di una certa quantità di zucchero sia determinata dalla somma delle masse dei singoli granelli. Allo stesso modo, la massa di un qualunque oggetto è determinata dalla somma delle masse degli atomi che lo compongono. Anche gli atomi hanno una loro struttura interna, e sono composti da un nucleo molto piccolo e da un certo numero di elettroni che gli orbitano attorno. La massa degli elettroni è migliaia di volte più piccola di quella del nucleo e, quindi, quasi tutta la massa dell’atomo è concentrata nella massa del nucleo. Si tratta di una massa molto piccola se rapportata alle masse con le quali abbiamo abitualmente a che fare. Essa, tuttavia, è concentrata in uno spazio così ridotto che la sua densità è enorme: un millimetro cubo di sola materia nucleare (un granello di sabbia) peserebbe circa 200.000 tonnellate, quanto 1000 moderni aerei di linea commerciali.

    a.
    Particolare di un supercomputer (Hitachi SR 16000). I moderni supercomputer raggiungono una potenza di calcolo complessiva pari a 2 PFlops (cioè 2 milioni di miliardi di operazioni al secondo) (vd. approfondimento "Calcoli massici").

    Il granello di sabbia naturalmente pesa molto meno, perché è fatto di atomi e non solo di nuclei atomici ed è quindi composto sostanzialmente di spazio vuoto. Ciascun nucleo è poi costituito da un certo numero di protoni e neutroni e anche in questo caso la massa è data in prevalenza (per oltre il 99%) dalla somma delle masse dei protoni e dei neutroni suoi costituenti. La massa della materia è così principalmente determinata dalla massa dei protoni e neutroni in essa contenuti. La risposta tuttavia è ancora incompleta, perché sappiamo che anche il protone e il neutrone a loro volta sono composti di qualcosa di più elementare: quark e gluoni. Nel dettaglio, il protone e il neutrone sono composti ciascuno da tre quark costituenti (o di valenza), e l’interazione che tiene legati i quark all’interno di protoni e neutroni avviene mediante continui processi quantistici di emissione e assorbimento di gluoni e coppie di quark. Il problema, per il nostro conto della massa, è che i gluoni sono particelle di massa nulla e che le masse dei quark, up e down, sono rispettivamente circa 400 e 200 volte più piccole della massa di protoni e neutroni. I fisici sono sempre molto cauti nell’assegnare un valore alla massa dei quark: qui ci riferiamo a pochi MeV per singolo quark. Per comprendere l’origine della massa di protoni e neutroni si deve ricorrere alla ben nota equazione di Einstein E=mc2 che esprime l’energia di un corpo di massa m quando questo è in quiete (privo dunque di energia cinetica). L’equazione di Einstein acquista un significato forse più profondo se riscritta nella forma m=E/c2. Tramite questa equazione la teoria della relatività ci spiega come la massa di un sistema fisico, elementare o composto che sia, altro non è che la sua energia di quiete. La massa è dunque una misura dell’energia del sistema. Nel caso di un protone o un neutrone in quiete troviamo che la sua massa/energia è originata solo in piccola parte, appena qualche percento, dalla somma delle masse dei quark costituenti. La restante parte è fornita invece dall’energia della “nuvola” di quark e gluoni: i quark interagiscono tra loro scambiandosi gluoni e questi a loro volta possono generare coppie virtuali quark-antiquark che, dopo un tempo brevissimo si annichilano producendo altri gluoni. L’interno di un nucleone (protoni e neutroni) appare dunque come un groviglio dinamico di particelle fortemente interagenti, che compaiono e scompaiono continuamente. L’energia di questa nuvola costituisce la maggior parte della massa di protoni e neutroni e, dunque, la massa di tutta la materia che ci circonda. Le interazioni tra quark e gluoni della forza forte sono chiamate interazioni forti e la teoria che le descrive con grande accuratezza, la cromodinamica quantistica (Qcd), descrive il comportamento di quark e gluoni attraverso “eleganti” equazioni. L’eleganza, in questo caso, non è legata all’aspetto esteriore ma al fatto di rispettare un principio di simmetria. Questo concetto, alla base delle moderne teorie dei campi, implica anche che è sufficiente conoscere pochi parametri, in questo caso le masse dei quark e un’unica costante di accoppiamento dal cui valore dipende l’intensità dell’interazione forte, per descrivere in modo completo il comportamento di quark e gluoni.
    b.
    Schema (non in scala) della struttura di un atomo fino ai suoi componenti elementari. Sono visibili gli elettroni intorno al nucleo, i neutroni e i protoni nel nucleo e, infine, i quark e i gluoni che costituiscono protoni e neutroni.
    A dispetto però della loro eleganza e semplicità formale la risoluzione delle equazioni della Qcd è estremamente complessa. Essa richiede l’impiego di tutta la potenza dei più moderni supercomputer per simulare il comportamento quantistico della nuvola di gluoni e quark, calcolarne l’energia e ottenere da questa il valore della massa di protoni, neutroni e molte altre particelle composte di quark.
    Studiata in questo modo, con l’ausilio di potenti supercomputer, l’elegante teoria delle interazioni forti ha permesso di capire l’origine della massa che costituisce la materia che ci circonda, e di calcolare valori di massa in ottimo accordo con le misure sperimentali (vd. approfondimento "Calcoli massici"). Grande protagonista di quest’anno, il bosone di Higgs, non è certo sminuito nel suo ruolo: esso spiega la massa dei costituenti fondamentali della materia, dei quark, che sono circa l’1% della massa di ciò che ci circonda, mentre i risultati della Qcd spiegano come da questo 1% si arrivi a ottenere il restante 99%.

    [as] approfondimento
    Calcoli massici

     

    1.
    Le masse di alcuni adroni, misurate dagli esperimenti (linee rosa) a confronto con quelle calcolate con i supercomputer da due collaborazioni internazionali (punti). In verde i risultati di Bmw (Budapest-Marseille-Wuppertal lattice Qcd collaboration) e in blu quelli di Etmc (European Twisted Mass Collaboration).

     

    Il calcolo delle masse dei nucleoni a partire da quella dei quark è stata una delle sfide lanciate dalla Qcd fin dalla sua nascita. Il problema principale era l’enorme potenza di calcolo necessaria per considerare l’influenza delle coppie quark-antiquark nello scambio dei gluoni. Solo da pochi anni, nel 2007, si è raggiunta la potenza di calcolo necessaria per fare un calcolo accurato delle masse. La figura riproduce i risultati ottenuti per le masse di alcuni adroni (particelle soggette alla forza forte). Le masse misurate dagli esperimenti (linee) sono confrontate con quelle calcolate da due collaborazioni internazionali (punti): verdi per Bmw (Budapest-Marseille-Wuppertal lattice Qcd collaboration) e blu per Etmc (European Twisted Mass Collaboration), questi ultimi ottenuti in parte usando i supercalcolatori Ape progettati dall’Infn. Tra i supercomputer più moderni spicca quello installato nel giugno 2012 presso il Cineca di Bologna per il sistema di calcolo Fermi. Questo sistema è nono nella graduatoria mondiale dei supercomputer (www.top500.org) ed è usato per le simulazioni numeriche di Qcd sul reticolo da parte del gruppo teorico della sezione Infn di Roma Tre.

    [as] approfondimento
    Il mondo in un reticolo

     

    1.
    Per risolvere le equazioni della Qcd si utilizza un “reticolo”. Meridiani e paralleli sono un tipico esempio di reticolo bidimensionale, e se le proprietà della Qcd fossero valide anche per la geografia, potremmo ottenere la mappa del mondo intero dallo studio di un solo tratto di costa.

     

    Le equazioni della Qcd sono matematicamente eleganti e “semplici”. Ma la loro risoluzione lo è molto meno. Non sono equazioni come y=x², dove per ogni valore di x si può calcolare la y senza difficoltà. Nella Qcd non funzionano le tecniche usate per la soluzione di equazioni “difficili” (per i curiosi, in questo caso la Qcd è una teoria non perturbativa) e “per ogni x” bisogna usare un supercomputer per un bel po’ di tempo per sapere “quanto farà y”. In Qcd, se la y che vogliamo calcolare è la massa di una particella o la sua probabilità di interazione, la x è in realtà una complicata funzione delle distribuzioni dei quark e dei gluoni all’interno della particella. Anche con i supercomputer, per giungere alle soluzioni, i fisici devono introdurre due espedienti. Nel caso delle interazioni tra le particelle possiamo paragonare il calcolo a una cartina geografica. Il primo espediente è considerare solo alcuni punti dello spaziotempo, un po’ come se sulla cartina esistessero solo i punti all’incrocio di meridiani e paralleli.Su questi punti si trovano i quark, mentre i gluoni forniscono i collegamenti tra un incrocio e l’altro. Il secondo: studiare un volume spaziotemporale piccolo, di solito 4 o 5 volte il raggio di un protone. Nell’esempio della cartina geografica, è come voler girare il mondo con una cartina ottenuta studiando solo un tratto di costa sarda, senza curarsi del resto. Mentre nel caso del viaggio avremmo ben poche possibilità di successo, nel caso della Qcd alcune proprietà fondamentali (per i curiosi, la libertà asintotica e la località delle interazioni) permettono di controllare con precisione gli effetti dei due espedienti usati, garantendo la correttezza dei risultati ottenuti. [Barbara Sciascia]

     

    Biografia
    Vittorio Lubicz è professore associato di fisica teorica all’Università Roma Tre. Si occupa di fenomenologia delle interazioni delle particelle elementari, in particolare dello studio delle interazioni forti mediante simulazioni numeriche di Qcd sul reticolo. È attualmente membro della collaborazione Etmc (European Twisted Mass Collaboration), che comprende fisici provenienti da 16 diverse istituzioni di ricerca in Europa.


    Link
    http://www.physics.adelaide.edu.au/theory/staff/leinweber/VisualQCD/Nobel/


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