Ritorno al futuro
Idee e scoperte di un annus mirabilis

di Giovanni Battimelli

“It is an ideal, for which I am prepared to die”. Termina così il discorso al processo per sabotaggio pronunciato nell’aprile del 1964 dall’avvocato sudafricano Nelson Mandela, a quel tempo praticamente uno sconosciuto al di fuori del Sudafrica. Mandela sarebbe diventato successivamente uno dei simboli della lotta contro l’apartheid e insignito del premio Nobel per la pace nel 1993. Sempre nell’aprile di quello stesso 1964, i primi vasetti di una crema di cioccolato alle nocciole escono da una piccola industria dolciaria del Piemonte. La crema è la Nutella e sarebbe diventata un mito per generazioni di bambini. Nel 1964 anche nella fisica delle particelle nulla di particolare sembra accadere. Ma, come Mandela e la Nutella oggi, a cinquanta anni di distanza, sono passati alla storia, così anche nella fisica le idee nate in quell’anno hanno acquisito un’importanza tale da far ricordare il 1964 come un annus mirabilis.

Nel febbraio del 1964 su Scientific American apparve un articolo di rassegna sullo stato della fisica delle particelle, dedicato in particolare alle particelle soggette all’interazione forte, quelle che oggi chiamiamo genericamente adroni, dal nome introdotto nel 1962 dal fisico russo Lev Borisovich Okun, allora ancora poco usato. L’articolo iniziava sottolineando la proliferazione del numero di particelle scoperte, la conseguente difficoltà di assegnare loro lo status di particelle elementari (cioè di oggetti privi di una struttura interna), nonché la situazione di stallo della teoria, apparentemente incapace di fornire un quadro complessivo coerente.

Nel breve volgere di anni tra il 1957 e il 1963, mentre la famiglia dei leptoni (le particelle soggette solo all’interazione debole) era cresciuta di un solo elemento (si era scoperto che il neutrino associato al muone era diverso da quello associato all’elettrone), portandone il numero totale a quattro, il numero di adroni noti era passato da 23 a 82. La situazione era paragonata a quella della fisica atomica negli anni venti, prima della formulazione della meccanica quantistica: una ricca e crescente fenomenologia di righe spettrali, in assenza di un qualunque quadro teorico che permettesse di classificarle, spiegarle e (soprattutto) prevederle.

Un promettente passo avanti era stato fatto negli anni precedenti da uno degli autori dell’articolo apparso su Scientific American, Murray Gell-Mann. L’idea era riconoscere una regolarità nell’apparente caos delle par ticelle classificandole in strutture formali secondo alcuni principi generali di simmetria. Il linguaggio matematico che permetteva di dare corpo a questa classificazione basata sulle simmetrie era quello della teoria dei gruppi, una branca della matematica il cui uso in fisica teorica era stato pioneristicamente introdotto, tra gli altri, da Eugene Wigner, negli anni ’30. La teoria dei gruppi, guardata inizialmente con sospetto dai fisici, esprime in forma rigorosa la connessione profonda tra principi di simmetria e leggi di conservazione: e il suo ruolo era stato riconosciuto come fondamentale dalla comunità dei fisici con l’assegnazione del premio Nobel del 1963 a Wigner stesso.

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La prima campagna pubblicitaria della Nutella del 1964.
Nello schema proposto nel 1961 da Gell-Mann e, in modo indipendente, dal fisico israeliano Yuval Ne’eman, gli adroni potevano essere raggruppati in multipletti (ottetti, decupletti, ecc.), sulla base di un gruppo di simmetria denominato matematicamente SU(3) (vd. [as] La forza del gruppo). Similmente a come, circa un secolo prima, la costruzione del sistema periodico aveva permesso di individuare un ordine nell’insieme eterogeneo degli elementi chimici, così la simmetria SU(3) di Gell-Mann e Ne’eman metteva ordine nella classificazione degli adroni. E soprattutto, proprio come era accaduto per la chimica, laddove nello schema si presentavano delle caselle vuote, il modello consentiva di prevedere l’esistenza di particelle che avrebbero dovuto esistere, con ben determinate proprietà, per riempire quelle caselle. Una di quelle assenti, il mesone η, era stata da poco effettivamente individuata. Per completare lo schema, mancava all'appello un’ulteriore particella, la Ω. La sua scoperta, considerata “una prova stringente della correttezza della teoria”, avvenne per mezzo della camera a bolle di Brookhaven proprio nei giorni in cui usciva in edicola il numero di Scientific American sugli adroni. Negli stessi giorni, con un articolo di due pagine su Physics Letters, Gell-Mann pubblicava un’idea su cui aveva riflettuto nei mesi precedenti: i multipletti in cui aveva raggruppato gli adroni conosciuti si ottenevano in modo naturale, se si faceva l’ipotesi che tutte le particelle fossero ricostruibili a partire dalla combinazione di tre entità primarie che Gell-Mann stesso battezzò quark, riprendendo un termine dal verso “Three quarks for Muster Mark!”, contenuta nell’ultima opera di James Joyce, Finnegans Wake. I tre tipi (detti sapori) di quark, che permettevano di ricostruire tutti gli adroni noti all’epoca, sono chiamati (con nomi di fantasia) up, down e strange. Il protone, per esempio, si ottiene combinando due quark up e un quark down; il neutrone, due quark down e un quark up; la particella Ω, tre quark strange. Un aspetto fortemente problematico dell’ipotesi dei quark era che queste entità avrebbero dovuto avere cariche frazionarie, una proprietà che non era mai stata osservata in natura. Questa difficoltà poteva essere aggirata, considerando gli ipotetici quark non come oggetti reali, ma solo come entità matematiche, e infatti lo stesso Gell-Mann chiudeva il suo articolo affermando che “la ricerca di quark stabili negli acceleratori di energia più elevata ci aiuterà a rassicurarci sulla non esistenza di quark reali”. Contemporaneamente, George Zweig, allora giovane ricercatore del Cern, ebbe la stessa idea di Gell-Mann, e la rese pubblica in un rapporto interno del Cern del gennaio 1964. Per Zweig, però, le ipotetiche particelle con carica frazionaria (che aveva denominato aces, assi) non erano semplici costrutti formali, ma veri e propri “mattoni fondamentali”, oggetti realmente esistenti in natura. Era un’idea talmente ardita che Zweig non riuscì a fare pubblicare il suo lavoro su alcuna rivista.
Le difficoltà incontrate da Zweig erano solo il riflesso delle difficoltà più generali con cui si scontravano, nel 1964, i tentativi di fondare una teoria delle interazioni tra particelle elementari sul modello dell’elettrodinamica quantistica (QED, dall’inglese Quantum ElectroDynamics), la teoria quantistica del campo elettromagnetico.
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Il decupletto barionico, costituito dalle particelle Δ, Σ*, Ξ* e Ω, quest’ultima scoperta nel 1964. Per ogni particella è indicata la composizione in quark up (u), down (d) e strange (s), mentre la griglia identifica carica e stranezza delle diverse particelle.
Tra i numerosi problemi irrisolti, c’erano in particolare due ostacoli apparentemente insormontabili. Da un lato, per grandezze fisicamente osservabili, i calcoli fornivano valori infiniti (per la QED il problema era stato risolto con successo oltre un decennio prima). Dall’altro, le simmetrie su cui ci si aspettava che fossero basate le teorie delle interazioni fondamentali (le cosiddette simmetrie di gauge) richiedevano che le particelle mediatrici delle forze avessero massa nulla. Questa condizione è soddisfatta nella QED, dove il ruolo di mediatore è svolto dal fotone, ma appariva inconciliabile con le proprietà delle interazioni deboli e forti, la cui natura a corto raggio richiedeva la presenza di particelle mediatrici dotate di massa.

Una soluzione sembrava quasi impossibile e, per un numero crescente di fisici, neanche più desiderabile. Il sostenitore più tenace di questo punto di vista era un altro degli autori dell’articolo di Scientific American, Geoffrey Chew. Nello scenario proposto da Chew nessuno degli adroni poteva essere considerato più “elementare” degli altri. Abbandonata l’idea di ricostruire le proprietà del mondo subnucleare a partire dalle relazioni tra pochi mattoni fondamentali, l’obiettivo che ci si proponeva era piuttosto quello di edificare uno schema coerente delle relazioni tra gli adroni, in cui ciascuna particella doveva la propria esistenza all’interazione con le altre particelle, senza alcuna struttura gerarchica, e dove tutti sono sullo stesso piano. Una “democrazia delle particelle” che ben si adattava al terreno di coltura della Berkeley della metà degli anni ’60, dove Chew lavorava e dove ben altri movimenti aspiravano a un allargamento della democrazia.

È questo il programma di ricerca che domina il panorama della fisica delle particelle nel 1964 e negli anni seguenti. Ancora nel 1970, Chew affermava che “sarebbe una drammatica delusione se nel 1980 tutta la fisica degli adroni potesse essere spiegata in termini di poche entità arbitrarie”. Ma, proprio nei mesi precedenti, alcuni esperimenti all’acceleratore di Stanford (Slac), in California, avevano messo in luce la presenza di componenti elementari all’interno del protone, e un decennio dopo, non solo i quark erano riconosciuti come i costituenti elementari degli adroni, ma si disponeva anche di una teoria completa delle loro interazioni.


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Murray Gell-Mann in una foto del 1969, anno in cui è stato insignito del premio Nobel per la fisica per “il contributo alle scoper te inerenti la classificazione delle particelle elementari e delle loro interazioni”.
Che la storia successiva abbia poi deluso le aspettative di Chew non deve impedire di riconoscere che, nel 1964, quelle aspettative erano legittime e largamente condivise. E questo aiuta a comprendere perché quelli che, a posteriori, ci appaiono come pezzi fondamentali della sintesi emersa con il modello standard, abbiano suscitato, al momento della loro prima apparizione, entusiasmi moderati, se non addirittura indifferenza.

È quanto è accaduto ad altre due idee apparse per la prima volta nel 1964 senza produrre conseguenze di rilievo, e che si rivelarono invece due fondamentali punti di svolta quando vennero riprese pochi anni più tardi in un contesto modificato. Attratti dalla prospettiva di istituire una simmetria tra la famiglia degli adroni e quella dei leptoni, James Bjorken e Sheldon Glashow avanzarono l’ipotesi dell’esistenza di un quarto quark, che battezzarono charm, da aggiungere ai tre quark proposti da Gell-Mann (negli anni Settanta, furono poi introdotti il quinto e il sesto quark, il top e il bottom). Inoltre, per eliminare alcune difficoltà del modello a quark, fu introdotta più o meno contemporaneamente da Oscar Wallace “Wally” Greenberg, Moo-Young Han e Yoichiro Nambu un’ulteriore proprietà quantistica dei quark, denominata poi colore, che si sarebbe rivelata la chiave giusta per costruire la teoria fondamentale delle interazioni forti, la cromodinamica quantistica (Qcd, dall’inglese Quantum ChromoDynamics) (vd. A tinte forti, ndr).

Intanto, un risultato sperimentale inatteso agitava il panorama della fisica delle interazioni deboli. Già nel 1957 era stato provato che nelle interazioni deboli era violata quella che sembrava essere una naturale simmetria, detta di parità. In termini grossolani, la natura sembrava distinguere tra destra e sinistra. Combinando però la parità P con la simmetria C, che sostituisce le particelle con le corrispondenti antiparticelle, si costruiva la simmetria CP che sembrava rispettata dalla natura. Ma nel giugno del 1964, gli esperimenti condotti dal gruppo di James Cronin e Val Fitch a Brookhaven stabilirono che anche la simmetria CP era, sia pure in piccola misura, violata (vd. Specchi imperfetti, ndr). Si proponeva nuovamente il problema della compatibilità tra i principi di simmetria richiesti dalle strutture teoriche e la loro violazione nei processi osservati in laboratorio.

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Uno degli autori dell’articolo su Scientific American, Geoffrey Chew.
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Il laboratorio di Brookhaven, dove James Cronin e Val Fitch scoprirono la violazione di CP nel 1964.
La domanda al cuore del problema era: perché se le leggi generali della natura obbediscono a certe simmetrie, queste non sono rispettate dagli stati fisici particolari che sono effettivamente osservati? Quali sono i meccanismi che provocano la “rottura della simmetria”? Quest’ultimo aspetto era noto e studiato da tempo dalla fisica della materia, in particolare per spiegare la superconduttività. Uno dei teorici, attivo nell’intersezione tra fisica della materia e fisica delle particelle, era proprio Nambu, cui nell’estate del 1964 fu sottoposto dalla rivista Physical Review Letters un breve articolo, in cui si mostrava come il meccanismo detto di rottura spontanea di simmetria fosse rilevante per la fisica delle particelle elementari e come questo meccanismo conducesse ad assegnare una massa non nulla ai quanti del campo. Autore dell’articolo era un fisico teorico di Edinburgo, Peter Higgs. Negli stessi giorni la rivista aveva pubblicato un lavoro indipendente di due fisici belgi, Francois Englert e Robert Brout, che esponeva essenzialmente la stessa idea di Higgs. Non apparve subito chiaro, ma l’idea in questione era la risposta a uno dei problemi che affliggevano le teorie di gauge delle interazioni fondamentali, l’origine della massa delle particelle elementari e dei mediatori delle forze (vd. Rotture spontanee, ndr), premiata pochi mesi fa, nell'ottobre 2013, con il Nobel conferito a Peter Higgs e Francois Englert. E mentre la teoria dei campi faticava a dimostrare tutta la potenza che sarebbe emersa nei decenni successivi, altri fisici avevano continuato a scandagliare le implicazioni profonde della meccanica quantistica, una delle due grandi intuizioni degli inizi del 900 alla base della teoria dei campi, assieme alla relatività. La meccanica quantistica aveva implicazioni filosofiche che lasciavano perplessi molti. Già negli anni ’30, insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen, Albert Einstein aveva ideato un esperimento mentale, noto come paradosso Einstein-Podolsky-Rosen (Epr), che metteva in luce, a loro giudizio, la natura contraddittoria della meccanica quantistica.
f.
Il fisico John Bell che nel 1964 introdusse l’omonima disuguaglianza.
Bisognava aspettare altri trent’anni di studi teorici perché, sempre nel 1964, John Bell formulasse la disuguaglianza omonima, che avrebbe permesso di dimostrare sperimentalmente, altri 20 anni dopo in modo definitivo, che non c’è nulla di paradossale nella meccanica quantistica.

Un’altra affascinante ipotesi ha trovato conferma nel 1964. Sulla base di pochi indizi il fisico americano George Gamov, ultimo di una nutrita schiera di scienziati, aveva teorizzato l’esistenza di un momento iniziale dell’universo: ipotesi affascinante ma priva di una vera conferma sperimentale. Non è raro oggi incontrare bambini delle elementari affermare che “l’universo è nato dal Big Bang”. La loro sicurezza sfacciata e cristallina nasce proprio nei primi mesi del 1964, quando i radioastronomi Arno Penzias e Robert Wilson scoprono la radiazione di fondo cosmico, interpretata subito come la debole eco del Big Bang da cui tutto era nato 13 miliardi di anni fa (vd. in Asimmetrie n. 4 Lampi dal passato, ndr).

La scoperta del Ω, della violazione CP e la conferma della teoria del Big Bang, sul terreno sperimentale, e l’invenzione dei quark, del charm e del colore e la formulazione del meccanismo di Higgs, sul piano teorico: con uno sguardo retrospettivo, è facile giustificare l’appellativo di annus mirabilis per la fisica delle particelle al 1964. Ma è altrettanto utile ricordare che, per l’appunto, di uno sguardo retrospettivo si tratta: parecchio tempo sarebbe passato prima che i pezzi del puzzle emergessero pienamente dalla grande confusione teorica e sperimentale del momento in cui furono proposti e trovassero il proprio posto in un quadro complessivo coerente del mondo particellare.

Biografia
Giovanni Battimelli è professore associato presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza, Università di Roma, dove insegna storia della fisica. Ha fatto ricerca su vari aspetti della storia della fisica dell'Ottocento e Novecento, occupandosi in particolare delle vicende della fisica italiana dall’Unità ad oggi e curando la conservazione degli archivi personali di alcuni dei protagonisti di queste vicende.

 


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