Non solo buchi neri
Le sorgenti di onde gravitazionali

di Giancarlo Cella


a.
Immagine ai raggi X (in giallo) e all’infrarosso (blu e rosso) del gas circostante la pulsar PSR B1509-58, una stella di neutroni rotante che potrebbe emettere onde gravitazionali.
Dopo che lo scorso 14 settembre i due rivelatori di Ligo hanno posto fine all’attesa, iniziata 60 anni fa con i tentativi di Joseph Weber (vd. Suonando e risuonando, ndr), di una prima rivelazione diretta di onde gravitazionali, viene spontaneo chiedersi cosa sarà possibile scoprire ancora e cosa potremo imparare di nuovo. Si è sempre ritenuto probabile che le onde gravitazionali prodotte da una coalescenza tra due oggetti stellari compatti sarebbero state tra le prime a essere rivelate. La preferenza andava però a “partner” di tipo diverso: due stelle di neutroni oppure una stella di neutroni e un buco nero, e non a due buchi neri. Entrambe le possibilità restano candidati promettenti per future rivelazioni, ciascuna con le proprie peculiarità. Una regola generale è che la frequenza tipica del segnale immediatamente prima della fusione è tanto più bassa quanto più grandi sono le masse dei due corpi presenti inizialmente. Per due buchi neri, la fusione vera e propria avviene quando la frequenza del segnale è ancora abbastanza bassa da poter essere colta da un interferometro, che offre buone sensibilità da un minimo di qualche decina a un massimo di qualche migliaio di oscillazioni al secondo. Questo significa che la fase di collisione, durante la quale le interazioni gravitazionali sono particolarmente forti, può essere studiata in dettaglio. In queste condizioni, in cui i campi gravitazionali sono intensissimi, fino a ora non era stato possibile verificare le predizioni della relatività generale, se non indirettamente (vd. L'onda perfetta, ndr). Buchi neri di massa maggiore di quelli osservati non darebbero un segnale rivelabile, a meno di non trovare il modo di allargare verso le basse frequenze l’attuale finestra di sensibilità. Anche per una coppia costituita da un buco nero e da una stella di neutroni la frequenza del segnale nella fase finale si trova all’interno della regione di sensibilità degli attuali rivelatori Ligo e Virgo. In prossimità di un buco nero le forze di marea sono talmente intense da distruggere la vicina stella di neutroni. Questo processo potrebbe fornire informazioni importantissime sulle caratteristiche della materia estremamente densa che compone quest’ultima. Per una coppia di stelle di neutroni valgono considerazioni simili: il segnale in questo caso percorrerebbe in frequenza tutta la banda di sensibilità, rimanendovi per un tempo dell’ordine dei minuti.
 
b.
Il segnale dell’onda gravitazionale GW150914 raccolto dai due interferometri di Ligo, quello di Hanford e quello di Livingston (primi due pannelli), e il segnale sovrapposto dopo aver tenuto conto del tempo di ritardo di circa 7 millisecondi dovuto alla distanza tra i due (pannello inferiore).



 
Salvo che nel caso di due buchi neri, per il quale non ci si attende un segnale diverso da quello gravitazionale, alla coalescenza potrebbe essere associata la produzione di un “lampo” di raggi gamma, ossia di fotoni di altissima energia (i cosiddetti “gamma ray burst”). Una rivelazione simultanea dimostrerebbe in modo inequivocabile l’associazione tra i due fenomeni. Per questa ragione è importante determinare con la maggior precisione possibile la posizione nello spazio dell’evento di coalescenza: servono almeno tre differenti rivelatori, che permettono la triangolazione della sorgente utilizzando i ritardi dell’arrivo dell’onda. Ad esempio, i segnali rilevati dai due interferometri di Ligo riportati in figura sono stati allineati eliminando il ritardo di 7 millesimi di secondo presente originariamente, cioè il tempo necessario al segnale gravitazionale per percorrere la separazione tra i due rivelatori. Entro quest’anno anche Advanced Virgo comincerà a prendere dati, e questa procedura diverrà possibile. Con tre rivelatori potremo anche studiare dettagliatamente la polarizzazione dell’onda, caratteristica che può contenere informazioni su eventuali violazioni della relatività generale. L’energia totale emessa alle varie frequenze in una coalescenza si può calcolare teoricamente in modo molto accurato ed è quindi possibile stimare, per una data sensibilità del rivelatore, fino a quale distanza massima è possibile rivelare una coalescenza. Il numero di eventi rivelabili per unità di tempo è proporzionale al volume esplorabile. Alle sensibilità attuali la distanza massima per una coppia di stelle di neutroni è dell’ordine di 80 megaparsec (260 milioni di anni luce), e potrebbe triplicarsi nel giro di 6-8 anni. In corrispondenza, il numero degli eventi rilevabili per unità di tempo potrebbe crescere di un fattore trenta. Gli eventi del 14 settembre e del 26 dicembre scorsi, dovuti entrambi a due buchi neri, sono avvenuti entrambi a 1,4 miliardi di anni luce da noi. A queste distanze diviene possibile misurare eventuali effetti legati a una velocità delle onde gravitazionali diversa da quella della luce, studiando la “deformazione” del segnale gravitazionale durante la propagazione dalla sorgente fino a noi. Il catalogo delle possibili sorgenti di onde gravitazionali è però tutt’altro che esaurito dalle coalescenze. Una categoria interessante è quella delle cosiddette “sorgenti continue”. Si tratta di stelle di neutroni rotanti, visibili anche come pulsar nel caso emettano onde elettromagnetiche (vd. fig. a, ndr). L’emissione di onde gravitazionali avviene in presenza di una minima deformazione della stella, che può essere presente per varie ragioni ma che è difficile da prevedere quantitativamente con sicurezza. Il segnale emesso ha delle frequenze caratteristiche, tipicamente pari alla frequenza di rotazione e al suo doppio, e ha la proprietà di essere sempre presente. Osservando il sistema per un tempo sufficiente è possibile rivelare ampiezze di emissione anche molto piccole. In alcuni casi la sorgente è nota, e la sua posizione e frequenza conosciute con grande precisione. Vengono però definite delle strategie di ricerca che potrebbero permettere di localizzare anche sorgenti ignote, non visibili in altro modo. Brevi impulsi di radiazione gravitazionale, con durate dell’ordine dei millesimi di secondo, possono essere prodotti durante l’esplosione di una supernova nel caso in cui questa non abbia simmetria sferica. Infine, potenzialmente di grande interesse è la rivelazione di un “fondo stocastico” di onde gravitazionali, ossia onde che non provengono da una posizione precisa, ma sono la sovrapposizione casuale delle emissioni di un numero molto grande di sorgenti. Queste possono essere di natura astrofisica o essere associate a fenomeni accaduti nelle fasi iniziali dell’evoluzione dell’universo. Non esiste in questo caso un segnale di una forma ben definita: quello che si vede è piuttosto paragonabile a un “rumore”, ossia un segnale senza una struttura precisa, distribuito su tutte le frequenze. Per rivelarlo è necessario utilizzare più di un interferometro e verificare la presenza di una correlazione tra i “rumori gravitazionali” misurati da ciascuno. Determinando quanto “rumore gravitazionale” sia presente alle varie frequenze è possibile estrarre informazioni sulla fisica delle interazioni fondamentali (nel caso dei fondi cosmologici) o sulla evoluzione delle popolazioni stellari (nel caso dei fondi astrofisici). Questo permetterà di porre dei vincoli sugli attuali modelli. La ragione per la quale le onde gravitazionali sono una sorgente insostituibile di informazioni sull’infanzia dell’universo è la stessa che le ha rese sino al settembre scorso così sfuggenti. Esse infatti interagiscono in modo estremamente debole con la materia. Questo implica che l’universo è stato praticamente da sempre “trasparente” al loro passaggio, mentre ha cominciato a esserlo per la radiazione elettromagnetica solo più tardi (380.000 anni circa dopo il Big Bang). Così, mentre con le onde elettromagnetiche possiamo al massimo risalire fino a 380.000 anni dopo il Big Bang, perché prima di allora l’universo era “opaco”, con le onde gravitazionali possiamo spingerci a epoche ben precedenti, praticamente fino ai primissimi istanti dopo il Big Bang. Si sa però che la rivelazione di alcuni dei fondi stocastici richiederebbe una sensibilità molto lontana da quelle attualmente raggiungibili, mentre in altri casi le prospettive sono più promettenti.
 
c.
Vista aerea dell’interferometro di Ligo a Livingston (Louisiana).
 
d.
Diversi sistemi fisici (in alto) possono emettere onde gravitazionali su varie frequenze, per la cui rivelazione sono necessari diversi tipi di strumenti (in basso).



 
I rivelatori interferometrici terrestri hanno una sensibilità che è limitata a basse frequenze dal rumore dovuto alle vibrazioni sismiche che possono simulare direttamente o indirettamente l’effetto di un’onda gravitazionale. Sarà possibile in futuro abbassare questo limite di un ordine di grandezza, ma sembra arduo riuscire a procedere oltre. Onde gravitazionali a frequenze più basse possono contenere informazioni sulla coalescenza di due buchi neri “supermassivi” (di milioni o miliardi di masse solari) o della coppia formata da un buco nero supermassivo e da uno più “usuale” e su fondi stocastici di origine cosmologica. Futuri rivelatori spaziali, ad esempio eLisa, potranno esplorare le frequenze tra un decimillesimo e un decimo di hertz. A frequenze ancora più basse già adesso è possibile studiare gli impulsi elettromagnetici prodotti dalle pulsar conosciute: emessi a intervalli estremamente regolari, possono essere ritardati da eventuali onde gravitazionali incontrate lungo il cammino fino a noi. Scendendo ancora, si possono cercare le tracce di onde di frequenza enormemente bassa (meno di un millesimo di miliardesimo di hertz) nella polarizzazione da queste indotta nella radiazione cosmica di fondo. Anche questo tipo di misure sarebbero estremamente importanti per comprendere le primissime fasi dell’evoluzione dell’universo.
 

Biografia
Giancarlo Cella è ricercatore della sezione di Pisa dell’Infn. Si è laureato e ha svolto il dottorato su aspetti perturbativi e non perturbativi della Qcd. Da diversi anni si occupa di onde gravitazionali, in particolare di analisi dati, fenomenologia e miglioramento della sensibilità dei rivelatori. Attualmente coordina il gruppo di Pisa dell’esperimento Virgo.


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