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Rivelatori di neutrini e materia oscura

di Giuliana Fiorillo

Il prototipo del rivelatore per l’esperimento Dune a.
Il prototipo del rivelatore per l’esperimento Dune installato nella Cern Neutrino Platform.
Elusive. Sfuggenti. Invisibili. Così sono le particelle che non interagiscono, o che lo fanno solo debolmente. “Vedere”, infatti, è sinonimo di “interagire”. Più flebile è l’interazione, più è difficile vedere ciò che l’ha provocata. L’esempio principe è dato dal neutrino.
Per i neutrini di origine astrofisica, terrestre o artificiale, l’interazione più probabile è quella con i protoni e neutroni dei nuclei. La sezione d’urto che misura la probabilità di questo processo è mille miliardi di volte più piccola di quella relativa all’interazione protone-nucleo. Le interazioni con gli elettroni del mezzo sono ancora più rare. Un fascio di neutrini vede dunque la materia come se questa fosse una rete a maglia larga: la attraversa indisturbato e solo molto raramente la intercetta dando luogo a un’interazione, un “evento”. La probabilità di intercettare il fascio cresce con il numero di nuclei bersaglio e dipende dall’energia dei neutrini. Per questo motivo i rivelatori per neutrini devono avere grandi dimensioni ed essere sensibili a energie tanto più piccole quanto minore è l’energia degli eventi che si vogliono osservare. Inoltre, devono essere schermati dalla radiazione cosmica, e spesso anche dalla radioattività naturale, per ridurre la probabilità di eventi cosiddetti “di fondo”, eventi indesiderati che possono confondersi con quelli cercati.
Il metodo classico per disegnare un rivelatore di neutrini è quello di realizzare un grande bersaglio di materiale “attivo”, il cui volume è equipaggiato con sensori in grado di rivelare i segnali prodotti dalle interazioni dei neutrini con il mezzo. L’osservazione dei prodotti secondari della reazione permette lo studio delle proprietà dei neutrini usati come sonda-proiettile.
La grande sfida globale in corso per lo studio delle oscillazioni di neutrino su lunga base vede sostanzialmente protagonisti due tipi di rivelatore, cui sono associate difficoltà tecnologiche tanto grandi quanto i rivelatori stessi. Hyper-Kamiokande utilizzerà un gigantesco rivelatore Cherenkov ad acqua, ottimizzato per la misura di precisione degli eventi quasi elastici in cui è emesso un elettrone o un muone. Più di 40.000 fotomoltiplicatori osserveranno il volume interno del rivelatore (un cilindro di circa 70 m di altezza per 70 m di diametro) e altre migliaia saranno installati nel volume esterno, dedicato all’identificazione del fondo. Dune ha selezionato invece la tecnologia ad argon liquido, in cui circa 70.000 tonnellate di argon alla temperatura di -184°C costituiscono il bersaglio attivo di enormi camere a proiezione temporale, in grado di fornire l’immagine 3D dell’evento di interazione.
Le due tecniche sono in qualche modo complementari, anche in combinazione con le caratteristiche specifiche dei fasci di neutrini per i quali i rivelatori sono disegnati. Entrambe permetteranno di studiare con grande accuratezza oltre ai neutrini del fascio, di energia attorno al GeV, anche quelli solari e da supernova, con energie dell’ordine del MeV o decine di MeV. Per ridurre il fondo, i rivelatori sono installati in gallerie sotterranee dove sono schermati da chilometri di roccia.
Di dimensioni ancora maggiori sono i rivelatori Cherenkov disegnati per l’osservazione dei rari neutrini cosmici di altissima energia. Qui il bersaglio è costituito da mega tonnellate di ghiaccio, come nel caso di IceCube in Antartide, o di acqua, come per il telescopio Km3net/Arca installato nelle profondità del Mediterraneo. I neutrini provenienti dal basso con energie dalle centinaia di GeV al PeV interagiscono nel volume di oltre un chilometro cubo equipaggiato con stringhe di moduli ottici. Questi osservano la luce prodotta dalle particelle cariche secondarie e ne misurano la direzione. In tal modo è possibile ricostruire la direzione dei neutrini incidenti e identificarne le sorgenti astrofisiche.
 
Vista esterna di DarkSide-50 b.
Vista esterna di DarkSide-50, esperimento dedicato alla ricerca diretta di Wimp. Il rivelatore ha una struttura a cipolla: un grande rivelatore Cherenkov ad acqua contiene una sfera riempita di scintillatore liquido che a sua volta contiene una Time Projection Chamber ad argon liquido. I due rivelatori esterni mostrati nella foto costituiscono un cosiddetto “veto attivo”, volto a identificare ed eliminare i segnali di disturbo generati dalla radiazione ambientale.

 
All’estremo opposto, i rivelatori disegnati per la ricerca di Wimp - particelle debolmente interagenti, che costituirebbero la materia oscura nella nostra galassia - devono essere ottimizzati per osservare eventi di bassa energia. Infatti, l’urto di queste particelle galattiche sui nuclei e sugli elettroni del bersaglio genererebbe rinculi (nucleari o elettronici) con un’energia massima di poche decine o centinaia di keV e questi a loro volta rilascerebbero la propria energia sotto forma di ionizzazione, eccitazione e, in ultima analisi, dissipazione termica. Le tecnologie utilizzate si basano sull’uso di scintillatori (cristalli o gas nobili liquefatti), sulla misura della carica di ionizzazione e anche sulla misura calorimetrica del calore prodotto (bolometri). Le strategie sperimentali si focalizzano su uno dei tre segnali o sulla combinazione di due di essi, che permette di discriminare gli eventi di rinculo nucleare da quelli di rinculo elettronico e abbattere in questo modo il fondo dovuto alla radioattività naturale.
Quest’ultimo è certamente il nemico numero uno da combattere per i rivelatori di Wimp, che sono progettati e realizzati in modo da avere una sensibilità tale da rivelare un singolo evento occorso in tonnellate di materiale bersaglio in uno o più anni di osservazione. Per raggiungere questo obiettivo sono necessari materiali radiopuri, speciali tecniche di costruzione e assemblaggio e laboratori sotterranei dotati di infrastrutture adeguate (i più grandi in Europa sono i Laboratori Nazionali del Gran Sasso). Il programma sperimentale dei prossimi anni prevede diversi progetti sulla scala delle tonnellate. In pole position i rivelatori basati sui liquidi nobili criogenici. Decine di tonnellate di xenon e argon purissimi sono utilizzati rispettivamente da Xenon e DarkSide, che hanno sviluppato tecniche industriali per la loro produzione e/o purificazione. I rivelatori sono ottimizzati per rivelare con alta efficienza sia la luce di scintillazione che la flebile carica di ionizzazione. Questa tecnologia garantisce di poter raggiungere una bassa soglia in energia nonostante la grande massa del rivelatore.
 
[as] approfondimento
Cavità risonanti


Dettaglio del refrigeratore a diluizione del rivelatore di assioni di Quax ai Laboratori Nazionali di Frascati 1.
 
Dettaglio del refrigeratore a diluizione del rivelatore di assioni di Quax ai Laboratori Nazionali di Frascati. In alto a destra, disposta orizzontalmente, si vede una cavità risonante a 10 GHz di forma cilindrica.

Pensando alle onde elettromagnetiche, a quelle radio o alla stessa luce visibile, le immaginiamo viaggiare nello spazio alla velocità di circa 300.000 km/s da una antenna all’altra o da una stella a un pianeta. Possiamo però costringerle in un volume, ripiegate come calzini in un cassetto, forzandole in una scatola al cui interno il campo elettrico e magnetico si agitano come tigri in gabbia. Le “cavità risonanti”, questo il nome dello strumento in questione, sono regioni vuote delimitate da pareti metalliche su cui le onde elettromagnetiche rimbalzano avanti e indietro. Quando l’onda ha una lunghezza tale da ripiegarsi correttamente all’interno della cavità, essa “risuona” formando onde stazionarie che, come quelle su una corda di chitarra, hanno una frequenza ben definita.
Le cavità risonanti hanno un gran numero di applicazioni, dall’elettronica per le microonde agli acceleratori di particelle fino ai computer quantistici e alla ricerca di materia oscura. È quest’ultimo il caso della ricerca di particelle chiamate “assioni” o di particelle simili denominate Alps (da axion-like-particles). Si ritiene infatti che assioni e Alps interagiscano con il campo elettromagnetico, fatto che ne permetterebbe la produzione e la rivelazione all’interno di cavità risonanti. Grazie, infatti, alla loro capacità di far rimbalzare le onde elettromagnetiche milioni se non centinaia di miliardi di volte al loro interno, le cavità risonanti sono in grado di amplificare sia i meccanismi di produzione che di rivelazione. Si può, ad esempio, stimolare la produzione di Alps caricando una cavità di energia elettromagnetica e andare poi a cercare deboli segnali prodotti in una seconda cavità in base allo schema detto light-shining-through-wall (“luce attraverso il muro”): la radiazione elettromagnetica (“luce”) si trasforma in assione nella prima cavità e poi, dopo aver attraversato “un muro”, si trasforma di nuovo in radiazione nella seconda cavità. La radiazione elettromagnetica, infatti, non potrebbe da sola attraversare il muro, mentre la sua conversione in assione glielo permette. Oppure si possono amplificare i segnali generati in una cavità risonante dagli assioni eventualmente presenti, in quanto particelle che formano la materia oscura della nostra galassia: è una tecnica utilizzata da strumenti chiamati haloscope, in ricerche condotte dall’Infn con l’esperimento Quax e i suoi due rivelatori situati presso i Laboratori Nazionali di Legnaro e di Frascati. [Claudio Gatti]

 

Biografia
Giuliana Fiorillo è professoressa di fisica nucleare e subnucleare all’Università Federico II di Napoli. Si occupa di fisica del neutrino e ricerca di materia oscura. Ha lavorato al Cern, in Giappone e negli Stati Uniti ed è stata responsabile Infn per l’esperimento DarkSide ai Lngs.


Claudio Gatti è ricercatore ai Laboratori Nazionali di Frascati, coordina il gruppo Lnf dell’esperimento Quax, è coordinatore nazionale del progetto Simp e responsabile Infn del progetto europeo Supergalax.


Link
http://www.lnf.infn.it/~gatti/homepage.html
http://coldlab.lnf.infn.it


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2021.31.8