[as] radici
Le masse nella teoria della relatività (1923).
di Enrico Fermi


a.
Enrico Fermi.
La grandiosa importanza concettuale della teoria della relatività, come contributo ad una più profonda comprensione dei rapporti tra spazio e tempo, e le vivaci e spesso appassionate discussioni a cui essa ha in conseguenza dato luogo anche fuori degli ambienti strettamente scientifici, hanno forse un po’ distolta l’attenzione da un altro suo risultato che, per esser meno clamoroso e, diciamolo pure, meno paradossale, ha tuttavia nella fisica conseguenze non meno degne di nota, e il cui interesse è verosimilmente destinato a crescere nel prossimo svilupparsi della scienza.
Il risultato a cui accenniamo è la scoperta della relazione che lega la massa di un corpo alla sua energia (è la formula E=mc², ndr). La massa di un corpo, dice la teoria della relatività, è eguale alla sua energia totale divisa per il quadrato della velocità della luce. Già un esame superficiale ci mostra come, almeno per la fisica quale la si osserva nei laboratori, l’importanza di questa relazione tra massa ed energia è tale da offuscare notevolmente quella delle altre conseguenze, quantitativamente lievissime, ma alle quali la mente si abitua con più sforzo. Valga un esempio: un corpo lungo un metro che si muovesse con la velocità, abbastanza rispettabile, di 30 chilometri al minuto secondo (eguale press’a poco alla velocità del moto della Terra attraverso gli spazi) apparirebbe sempre lungo un metro ad un osservatore trascinato dal suo moto, mentre ad un osservatore fermo apparirebbe lungo un metro meno cinque milionesimi di millimetro; come si vede il risultato, per strano e paradossale che possa parere, è tuttavia molto piccolo, ed è da ritenere che i due osservatori non si metteranno a litigare per così poco. La relazione tra massa ed energia invece ci porta senz’altro a delle cifre grandiose. Ad esempio, se si riuscisse a mettere in libertà l’energia contenuta in un grammo di materia, si otterrebbe un’energia maggiore di quella sviluppata in tre anni di lavoro ininterrotto da un motore di mille cavalli (inutili i commenti!). Si dirà con ragione che non appare possibile che, almeno in un prossimo avvenire, si trovi il modo di mettere in libertà queste spaventose quantità di energia, cosa del resto che non si può che augurarsi, perché l’esplosione di una così spaventosa quantità di energia avrebbe come primo effetto di ridurre in pezzi il fisico che avesse la disgrazia di trovar il modo di produrla. Ma se anche una tale esplosione completa della materia non appare per ora possibile, sono però già in corso da qualche anno delle esperienze dirette ad ottenere la trasformazione degli elementi chimici uno nell’altro. Tale trasformazione, che si presenta naturalmente nei corpi radioattivi, è stata recentemente ottenuta anche artificialmente da Rutherford che, bombardando con delle particelle α (corpuscoli lanciati con velocità grandissima dalle sostanze radioattive) degli atomi, è riuscito ad ottenerne la decomposizione. Ora a queste trasformazioni degli elementi uno nell’altro sono legati degli scambi energetici che la relazione tra massa ed energia ci permette di studiare in modo molto chiaro. Ad illustrarli valga ancora un esempio numerico. Si ha ragione di ritenere che il nucleo dell’atomo di elio sia costituito da quattro nuclei dell’atomo di idrogeno (all’epoca si credeva che tutti i nuclei atomici fossero costituiti solo da protoni, cioè “nuclei di idrogeno”, e da elettroni; i neutroni, che hanno massa molto simile a quella dei protoni, non erano ancora stati scoperti; un nucleo di elio è in realtà costituito da due protoni e due neutroni, ndr). Ora il peso atomico dell’elio è 4,002 mentre quello dell’idrogeno è 1,0077. La differenza tra il quadruplo della massa dell’idrogeno e la massa dell’elio è dunque dovuta all’energia dei legami che uniscono i quattro nuclei di idrogeno per formare il nucleo dell’elio. Questa differenza è 0,029, corrispondente, secondo la relazione relativistica tra massa ed energia, ad un’energia di circa sei miliardi di calorie per grammo-atomo di elio. Queste cifre ci dimostrano che l’energia dei legami nucleari è qualche milione di volte maggiore di quella dei più energici legami chimici e ci spiegano come contro il problema della trasformazione della materia, il sogno degli alchimisti, si siano per tanti secoli rotti gli sforzi degli ingegni più eletti, e come solo ora, adoperando i mezzi più energici a nostra disposizione, si sia riusciti ad ottenere questa trasformazione; in quantità del resto tanto minime da sfuggire alla più delicata analisi. Bastino questi brevi accenni a dimostrare come la teoria della relatività, oltre a darci una interpretazione chiara delle relazioni tra spazio e tempo, sarà, forse in un prossimo avvenire, destinata ad esser la chiave di volta per la risoluzione del problema della struttura della materia, l’ultimo più arduo problema della fisica.

[as] approfondimento
L’esordio di un genio

Nel 1922 l’editore Hoepli decise di tradurre uno dei primi manuali di relatività, opera del tedesco August Kopff, aggiungendovi una corposa appendice contenente osservazioni e commenti dei principali scienziati e filosofi italiani. Tra questi scritti, molti dei quali segnati da ostilità e incomprensione nei confronti delle teorie relativistiche, spicca, come notevole eccezione, il breve testo di un ventunenne neolaureato, Enrico Fermi, distintosi negli ambienti universitari pisani per la sua padronanza della nuova fisica, ma ancora pressoché sconosciuto al resto del mondo accademico. Il contributo di Fermi, che qui pubblichiamo, è pregevole soprattutto per la straordinaria lungimiranza scientifica che lo caratterizza. Mentre l’attenzione dei fisici della vecchia guardia è prevalentemente orientata alle conseguenze ottiche della relatività, Fermi – con quella “prodigiosa capacità di vedere subito l’essenziale in ogni cosa”, di cui parla il suo amico Enrico Persico – riconosce nella relazione tra massa ed energia, espressa dalla formula E=mc², l’aspetto più importante e fecondo della teoria einsteiniana. Questa relazione, oltre ad aprire prospettive (all’epoca ancora tecnicamente remote) di produzione di ingenti quantità di energia, governa gli scambi energetici che si verificano nelle reazioni nucleari ed è pertanto destinata, secondo il giovane Fermi, a svolgere un ruolo cruciale nella comprensione dei fenomeni e delle strutture fondamentali della materia. A proposito di queste due paginette, Emilio Segré parla di “premonizione quasi profetica”. Fa una certa impressione, in effetti, pensare che sarà proprio il loro autore a conseguire, vent’anni dopo, i risultati clamorosi che vi vengono prefigurati: sarà lui infatti a liberare l’energia contenuta nella massa dei nuclei, realizzando nel 1942 il primo reattore a fissione nucleare e partecipando poi a Los Alamos al progetto per la realizzazione della prima bomba atomica. [Vincenzo Barone]

 

 

1.
Un giovane Enrico Fermi a Pisa (il terzo da sinistra).



Nota bibliografica
Il testo che qui presentiamo fu originariamente pubblicato in A. Kopff, I fondamenti della relatività einsteiniana, edizione italiana a cura di R. Contu e T. Bembo, Hoepli, Milano 1923, pp. 342-344, e ristampato poi in E. Fermi, Note e Memorie, Accademia Nazionale dei Lincei e University of Chicago Press, vol. I, Roma 1961, pp. 33-34, e, più recentemente, in E. Fermi, Atomi Nuclei Particelle, a cura di V. Barone, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp. 3-5.

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