Dal cosmo agli abissi
La ricerca delle astroparticelle

di Elisa Resconi


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Immagine artistica di un lampo di raggio gamma in una regione di formazione stellare, cioè una porzione di galassia particolarmente ricca di stelle “giovani”.
Tantissimi “acceleratori cosmici”, molto più potenti di Lhc a Ginevra, sono ospitati nell’universo. Possiamo immaginare che in ciascuno accada qualcosa di simile a quello che succede in Lhc, dove due fasci di protoni vengono accelerati ad altissime energie e fatti scontrare l’uno contro l’altro. Il risultato di tali scontri è una intensa emissione di particelle energetiche, fra cui particelle cariche, come i protoni e gli elettroni, e particelle neutre, come i fotoni e i neutrini: sono i raggi cosmici. Al contrario dell’acceleratore di Ginevra, però, non ci è dato sapere quasi nulla su questi “super super Lhc”: non conosciamo la loro posizione nell’universo, come funzionano, come si sono creati e come evolvono. Sappiamo solo che esistono, grazie all’osservazione dei raggi cosmici primari (per la maggior parte, protoni accelerati), la cui energia viene misurata da esperimenti come Auger e Argo (vd. A spasso per la Pampa). Oggi riteniamo che i “super super Lhc” possano essere i resti di esplosioni di supernovae, presenti anche nella nostra galassia. Oppure, le sorgenti dei misteriosi lampi di raggi gamma (in inglese, gamma-ray-burst), che costantemente “illuminano” il cielo con potentissime emissioni di fotoni di altissima energia (invisibili ai nostri occhi), che persistono in cielo solo per qualche secondo. Infine, possono essere galassie attive, nel cui cuore buchi neri milioni di volte più massicci del Sole forniscono energia all’acceleratore cosmico. Anche se di diversa “natura”, tutte queste sorgenti accelerano particelle cariche con le stesse “leggi fisiche” che sfruttiamo per far funzionare Lhc, anche se qui le particelle possono raggiungere energie milioni di volte più elevate che in Lhc. Per rivelare la posizione e la natura di un acceleratore cosmico, i protoni, prodotti copiosamente e facili da rivelare a terra, non sono sufficienti. Essi infatti sono deflessi dai campi magnetici intergalattici: osservando a terra la loro direzione di arrivo non possiamo risalire alla posizione del nostro acceleratore. Dobbiamo quindi studiare altri prodotti degli “scontri”: elettroni, fotoni e neutrini. Ma gli elettroni sono sonde poco efficienti, perché perdono facilmente energia quando si trovano nell’acceleratore cosmico. Solo le particelle neutre, come i fotoni e i neutrini, sono in grado di viaggiare per lunghissime distanze e riuscire ancora a rivelarci la posizione e la natura degli acceleratori cosmici. I fotoni sono di facile rivelazione. Per questo motivo, l’astrofisica si basa sullo studio di fotoni a varie lunghezze d’onda ed è dominata da missioni spaziali sempre più sofisticate, dedicate a questo scopo. Il ruolo dei fisici italiani è di primaria importanza in questi esperimenti. Il primo satellite per la rivelazione dei fotoni di alta energia messo in orbita dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) nel 1996 fu chiamato Beppo-Sax, in ricordo di Giuseppe “Beppo” Occhialini, uno dei padri della fisica astroparticellare in Italia. L’Asi collabora assiduamente con l’Infn nello studio dell’astrofisica delle alte energie. La missione Beppo-Sax portò contributi fondamentali allo studio dei lampi di raggi gamma, studiando la banda dei raggi X (fra i 10 e i 100 keV). Un altro satellite completamente italiano, ancora in funzione, è Agile (Astrorivelatore Gamma ad Immagini LEggero). Agile produce immagini del cielo a energie più alte rispetto a quelle di Beppo-Sax. Grazie al contributo dell’Asi, dell’Infn, dell’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica) e di molte università italiane, Agile ha prodotto le prime osservazioni di galassie attive durante periodi di forte variabilità. Agile è stato anche l’esperimento “pilota” che ha portato alla costruzione del satellite Fermi, costruito da una grande collaborazione internazionale che coinvolge l’Infn, che osserva con una risoluzione (spaziale ed energetica) mai ottenuta prima d’ora i fotoni X e gamma provenienti dalle sorgenti cosmiche. Lo studio dei fotoni nella banda dei raggi X e gamma ha rivelato diverse categorie di acceleratori cosmici presenti sia nella nostra galassia, sia al di fuori di essa. D’altro canto, lo studio isolato dei fotoni non permette in modo diretto di penetrare a distanza in un “super super Lhc” e studiare i suoi meccanismi più profondi, dato che i fotoni sono ostacolati dagli elettroni e dagli altri fotoni nella loro fuoriuscita dall’acceleratore. I candidati ideali da studiare sono dunque i neutrini di alta energia, i quali possono essere utilizzati per un’identificazione univoca e non ambigua degli acceleratori cosmici, visto che interagiscono molto raramente con la materia. Ma come facciamo a rivelarli, se sono così elusivi? Servirebbero rivelatori enormi, delle dimensioni dell’ordine del chilometro cubo: come se il centro di Siena fosse occupato tutto da grattacieli alti un chilometro! Solo rivelatori di queste grandezze riescono a “vedere” i neutrini di origine astrofisica. Gruppi di fisici di tutto il mondo si sono uniti per costruire osservatori estremi dedicati ai neutrini di alta energia. Gli italiani sono all’avanguardia con la realizzazione del più grande telescopio di neutrini, Km3net, grazie al coinvolgimento di sette università e sedi Infn, i Laboratori Nazionali di Frascati e, in particolar modo, i Laboratori Nazionali del Sud.
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La torre prototipo di Km3net Italia pronta per la messa in mare a bordo della nave Nautical Tide Fugro. La torre è stata immersa il 24 marzo scorso a 3500 metri di profondità 100 chilometri a largo di Capo Passero nel sud della Sicilia. È connessa a terra con un particolare cavo, che permette di alimentarla e ricevere, su fibra ottica, i dati registrati in fondo al mare. Km3net prevede di realizzare trenta strutture entro i prossimi tre anni e, successivamente, di completare il telescopio con ulteriori 90 strutture.
Ovviamente non può esistere nessun laboratorio in grado di ospitare un esperimento grande quanto il centro di Siena. Per questo motivo, i telescopi di neutrini basano il loro principio di funzionamento sull’uso di materiali naturali, come l’acqua del mare o il ghiaccio del Polo Sud. Quando un neutrino di alta energia interagisce con un nucleone (un protone o un neutrone) della materia, produce delle particelle cariche. Se queste sono sufficientemente energetiche, viaggiano a una velocità superiore a quella della luce nel mezzo stesso. Una luce blu, detta radiazione (o luce) di Cherenkov, viene emessa in corrispondenza del percorso delle particelle cariche. La luce di Cherenkov può essere osservata da rivelatori molto sensibili, chiamati fotomoltiplicatori. Un telescopio di neutrini è quindi costituito da un’antenna tridimensionale di fotomoltiplicatori, depositata in profondità in un materiale trasparente. Il più grande telescopio di neutrini attualmente in funzione è installato al Polo Sud ed è chiamato semplicemente IceCube (dall'inglese “cubo di ghiaccio”). Più di 5000 fotomoltiplicatori sono stati depositati nel cuore del Polo Sud a una profondità fra i 1500 e i 2500 metri, allo scopo di utilizzare il ghiaccio più puro e pulito presente sulla Terra. IceCube è stato costruito grazie alla collaborazione di più di trecento scienziati distribuiti in tutto il mondo ed è stato completato nel 2010. Da allora i neutrini provenienti dall’atmosfera vengono registrati regolarmente. Due spettacolari neutrini di energia elevatissima, dell’ordine del milione di miliardi di elettronvolt, sono stati registrati da IceCube (vd. [as] Il giorno più lungo della mia vita). Forse sono proprio questi i primi neutrini astrofisici prodotti da un “super super Lhc” che siamo riusciti a identificare. Ma è ancora presto per una risposta sicura, anche se l’interesse a riguardo è altissimo.

Biografia
Elisa Resconi è professoressa alla Technische Universität di Monaco di Baviera in Germania, dove fa parte della collaborazione di IceCube. Ha una specializzazione in fisica delle alte energie. Prima di trasferirsi in Germania nel 2000, ha studiato a Milano e poi a Genova, in collaborazione con i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.

 

Link
http://icecube.wisc.edu/news/view/105
http://www.km3net.org/


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