Asimmetrie 17

Editoriale

Cari lettori di Asimmetrie,

 

Tempus fugit! Ma forse solo per noi e forse neanche sempre. Confesso che al di fuori della mia esperienza personale, quando ho il prossimo appuntamento, quanto manca alla cena, fra quanto si va in vacanza, dove ho lasciato l’orologio ... il tempo è per me un mistero. Come fisico dovrei aver metabolizzato lo spaziotempo a quattro dimensioni, nel quale tutti gli eventi accadono, ma la verità è che la dimensione temporale è sfuggente, evanescente. Credo di condividere l'opinione di Kant quando dice che il tempo ha una realtà empirica, perché è la condizione necessaria affinché si abbia percezione di alcunché di esterno o interno, ma non esiste in sé, ovvero indipendentemente da noi. Razionalmente so che per le particelle elementari il tempo non ha un verso, come per me che mi muovo dalla nascita verso la morte, so che il viaggiatore che va veloce nel cosmo e poi torna troverà un mondo diverso, quello di un futuro che chissà come sarà e soprattutto come lo accoglierà. Razionalmente non so se e quando il tempo abbia avuto un inizio. E cominciamo ora a capire come forse finirà. Se la massa del bosone di Higgs e quella del quark top sono quelle che abbiamo misurato con i nostri sofisticati apparati, allora il nostro universo è destinato a sprofondare nel suo livello di energia minimo (non vi preoccupate, manca molto!). Noi non ci saremo, ma cosa ne sarà del tempo in quell’universo non lo sappiamo proprio. Quello che so per certo è che il tempo che segna il mio orologio non coincide con quello del mio essere, con i lunghi momenti di noia e i brevi attimi di gloria (che forse sono durati per il mio orologio lo stesso tempo). Speriamo che questo numero di Asimmetrie aiuti a capire come sia complesso, misterioso e affascinante il concetto stesso di tempo.

Buona lettura.

 

Fernando Ferroni
presidente Infn

 

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Time out
Il tempo, da Newton alla gravità quantistica

di Carlo Rovelli

Quando negli anni settanta il primo sistema di navigazione satellitare (il Gps che ora si trova in tante automobili) fu sperimentato dall’esercito americano, i fisici avvertirono i costruttori che gli orologi sui satelliti sarebbero andati più veloci di quelli a terra. I generali dell’esercito responsabili del progetto non vollero crederci e i primi test furono fatti ignorando quest’accelerazione del tempo con l’altezza. Nulla funzionò. Così i generali dovettero accettare l’idea che il tempo da qualche parte scorre più veloce.

Esperienze come questa ci mostrano che la nostra intuizione elementare su come funziona il tempo non è corretta. O meglio, che questa intuizione non è adatta a descrivere il mondo, non appena si esce dal regime di dimensioni, velocità e precisione a cui siamo abituati. Se si pongono due orologi precisi uno più in alto e uno più in basso, questi misurano due intervalli di tempo diversi, fra il momento in cui sono stati separati e il momento in cui vengono ravvicinati. L’orologio tenuto più in basso indica che è passato meno tempo e l’orologio tenuto più in alto indica che è passato più tempo: il tempo non passa eguale per tutti (vd. [as] radici: Dilatazione dei tempi alla prova., ndr). Oggi abbiamo orologi molto precisi, e questa differenza di velocità dello scorrere del tempo si misura anche a dislivelli di pochi decimetri. Il tempo è qualcosa di più complesso di quanto immaginiamo comunemente.
Quello che sappiamo oggi sul tempo grazie alla fisica si può distinguere in quattro livelli, via via più completi, ma via via più incerti, associati a quattro teorie: la fisica newtoniana, che ha tre secoli, la relatività speciale (o ristretta) e la relatività generale, che hanno un secolo, e la gravità quantistica, che è in corso di elaborazione. Quanto è grande l’affidabilità del nostro sapere sul tempo, raccolto in queste teorie?
La prima di queste teorie, la teoria di Newton, è quella che si avvicina di più alla nostra intuizione elementare del tempo. Ci offre una concettualizzazione del tempo precisa e solidissima, di assoluta affidabilità nell’ambito dei fenomeni più familiari ma, allo stesso tempo, limitata. Sappiamo per certo che fallisce, per esempio, nel caso degli orologi precisi che misurano tempi differenti ad altezze differenti. La seconda e la terza teoria, cioè le due teorie di Einstein sul tempo, sono state largamente suffragate da una vastissima classe di esperienze e sono oggi estremamente affidabili, anche se il mondo scientifico è pronto a rimetterle in dubbio (come ha fatto, ad esempio, per gli strani risultati sui neutrini più veloci della luce di qualche anno fa, che si sono poi rivelati un falso allarme – vd. Sincronizziamo gli orologi, ndr). Ma anche per queste due teorie sappiamo che esistono precisi limiti di validità, al di là dei quali le nostre idee sul tempo richiedono ulteriori cambiamenti. Infine, la ricerca attuale in gravità quantistica sta formulando una concettualizzazione del tempo ancora nuova, che appare necessaria per comprendere anche gli aspetti più generali della natura del tempo. Ma la ricerca in gravità quantistica è ancora lontana dall’avere un supporto sperimentale e, dunque, è ancora immersa in una nuvola di incertezza, priva di consenso. Quindi, detto in altre parole, oggi i fisici hanno idee molto confuse su cosa sia il tempo. L’unica cosa veramente certa è che il tempo non corrisponde a quello che ci indica la nostra intuizione elementare.

a.
Immagine artistica di un satellite del Gps (Global Positioning System).
b.
Ritratto di Isaac Newton del 1702 di Sir Godfrey Kneller (olio su tela).
Vediamo le quattro teorie sul tempo più nel dettaglio. La fisica newtoniana descrive il tempo come qualcosa che scorre in maniera uniforme ovunque, in un universo immerso in uno spazio infinito. Spazio e tempo sono indipendenti dalla materia o dagli osservatori. Lo spazio esiste anche se non c’è nulla, il tempo scorre anche se nulla succede. Questa idea di tempo ci è oggi familiare, ma non bisogna pensare che sia innata. L’idea del tempo di Newton si è imposta per la sua efficacia, non perché fosse naturale, e infatti si è imposta a fatica. L’idea dominante precedente, codificata per esempio da Aristotele, era che il tempo fosse solo una descrizione del modo (della misura) in cui le cose si muovono. Quindi se nulla esiste e nulla si muove non c’è tempo che passa. Le idee astratte di tempo e di spazio, indipendenti dalle cose del mondo e dall’accadere concreto nel mondo, ci sembrano oggi naturali, ma sono storicamente recenti. La fisica newtoniana, costruita su questa nozione di tempo, funziona benissimo nella nostra vita quotidiana, ed è per questo che si è imposta come modello di pensiero, ma è sbagliata quando si misurano le cose in modo più preciso. Per esempio, il pianeta Mercurio segue un’orbita chiaramente diversa da quella prevista dalle equazioni di Newton. E due orologi uguali possono misurare tempi diversi, in barba al tempo unico di Newton.
Si è chiaramente capito che l’idea newtoniana dell’universo non descriveva bene la natura con il celebre lavoro di Einstein del 1905 sulla relatività speciale. La scoperta di Einstein si può formulare nel modo seguente. Secondo l’idea newtoniana di tempo, il tempo è unico nell’universo, quindi esiste un “adesso” che è ora lo stesso ovunque nell’universo. Tutti gli accadimenti dell’universo si possono catalogare fra quelli “futuri”, che sono dopo l’adesso, quelli “passati” che sono prima, o in un istantaneo “adesso”, fra il passato e il futuro, in cui si trova ora l’intero universo. Ma la realtà, come ha giustamente compreso Einstein, non è fatta così. Posso parlare del mio “passato”, che comprende tutto ciò che ho potenzialmente visto e vissuto, posso parlare del mio “futuro”, ovvero dell’insieme degli eventi rispetto ai quali io mi trovo nel passato, ma fra il passato e il futuro esiste uno spazio intermedio, di cui Newton non si era accorto, che non è né passato né futuro. La durata di questa regione che non è né passato né futuro rispetto al me-ora, dipende dalla distanza da me. A pochi metri da me, la durata di questo spazio intermedio è dell’ordine dei nanosecondi, cioè molto breve, per questo non ci accorgiamo della sua esistenza. Dall’altra parte dell’oceano è dei millisecondi, ancora sotto la soglia della nostra percezione. Ma su Marte è di 15 minuti e su una galassia più lontana è dell’ordine di milioni di anni (vd. fig. 2 in approfondimento). Quello che accade su quella galassia durante questi anni non è per noi né passato né futuro. In nessun modo, quello che accade là durante questo tempo può avere un effetto su di noi, né quello che accade qui può influire su ciò che accade sulla galassia durante questi milioni di anni. È come se, durante questo intervallo, le due storie temporali non fossero collegate. La teoria della relatività speciale di Einstein ci ha mostrato che la struttura del tempo è più complessa di quanto pensassimo.

c .
Albert Einstein in una foto del 1921.
Non c’è un “adesso” dell’universo e non c’è un tempo unico per tutti. Ogni luogo, ogni oggetto, ogni storia ha il suo proprio tempo e questi tempi non sempre combaciano. Anzi, in generale non combaciano. Orologi eguali possono indicare durate diverse, se si muovono in modo diverso. Einstein scopre questa curiosa struttura profonda della realtà, oggi largamente verificata, analizzando l’apparente inconsistenza fra la teoria elettromagnetica e la meccanica.
Dieci anni dopo, nel 1915, analizzando l’apparente inconsistenza fra la sua teoria e la teoria della gravità, Einstein realizza un altro spettacolare tuffo nella comprensione della realtà. E così scopre che lo spazio “dentro cui tutto esiste” e “il tempo lungo il quale tutto scorre”, cioè questa specie di tela immobile introdotta da Newton su cui sembravano dipinti la realtà e il suo divenire, costituiscono un oggetto fisico ben definito, anch’esso governato da equazioni. Questo oggetto è il campo gravitazionale, un gemello del campo elettromagnetico introdotto pochi decenni prima da Faraday e Maxwell per comprendere l’elettromagnetismo. Spazio e tempo smettono di essere le misteriose quantità quasi “extra fisiche” introdotte da Newton e immerlettate da Kant, e la realtà torna a essere un insieme di oggetti che interagiscono, di cui chiamiamo “tempo” la misura del moto, come lo era per Aristotele. Einstein usa la metafora del “grande mollusco” per descrivere lo spaziotempo in cui siamo immersi: spazio e tempo diventano oggetti quasi materiali, con una loro dinamica.
Negli ultimi dieci o quindici anni, le più selvagge e incredibili conseguenze di questa audace teoria di Einstein (riguardanti buchi neri, espansione dell’universo, onde gravitazionali, lenti gravitazionali, differenza di velocità del passaggio del tempo con l’altezza ecc.) sono state tutte direttamente o indirettamente verificate. Oggi, questa teoria rappresenta la più estesa forma di sapere fortemente credibile cha abbiamo sul tempo. Il tempo è il nome che diamo a una certa caratteristica quantitativa del campo gravitazionale, che a sua volta è una cosa simile al campo elettromagnetico.
Anche per la relatività generale di Einstein, tuttavia, sappiamo con relativa certezza che esistono precisi limiti di validità. Questi vengono dal fatto che la teoria non comprende gli effetti quantistici, i quali devono svolgere un ruolo anche per lo spazio e per il tempo. La ricerca volta a costruire una teoria quantistica della gravità, e quindi una teoria quantistica dello spazio e del tempo, porta a riconsiderare ancora una volta la nozione di tempo. Ci si è improvvisamente accorti di ciò negli anni sessanta, quando i fisici americani John Wheeler e Bryce DeWitt hanno scritto l’equazione fondamentale della teoria e questa equazione è scritta senza che il tempo vi compaia in alcun modo. Anche in versioni più moderne di questa teoria, come nella cosiddetta teoria della gravità quantistica a loop, le equazioni fondamentali non includono la variabile “tempo”. La spiegazione di questo fatto, che all’inizio ha generato molta confusione, è semplice: il tempo in sé, come osserva Newton stesso nel suo libro, non è osser vabile. Noi osser viamo solo cose in movimento, la variabile tempo è un’utile aggiunta per mettere ordine. Ma in uno “spaziotempo”, cioè in un campo gravitazionale, soggetto a fluttuazioni quantistiche e alla granularità minuta che caratterizza tutti gli effetti quantistici, questa inosservabile nozione del tempo perde ogni utilità.
 
[as] approfondimento
Spaziotempo relativo

Ogni punto di un diagramma spaziotemporale rappresenta un evento, cioè qualcosa che accade in una certa posizione dello spazio e in un certo istante di tempo. Nella fig. 1 (a sinistra) sono visibili due eventi (in giallo) che per la fisica newtoniana si verificano nello stesso istante e hanno lo stesso passato (semipiano inferiore) e lo stesso futuro (semipiano superiore). La linea orizzontale su cui giacciono rappresenta il loro presente. A destra nella fig. 1, per la relatività speciale, i due eventi, i punti in blu e in verde sono simultanei solo in un particolare sistema di riferimento e hanno un futuro e un passato distinti. Il futuro e il passato sono rappresentati, rispettivamente, dai triangoli superiori e inferiori (i cosiddetti “coni” del futuro e del passato). Le intersezioni di questi triangoli costituiscono il futuro e il passato comune dei due eventi (in grigio). Il diagramma con i due coni raffiguranti il futuro e il passato si chiama spaziotempo di Minkowski. Nella fig. 2, l’intervallo di tempo degli eventi che non sono connessi a me-ora aumenta all’aumentare della distanza da me del punto dello spazio in cui questi eventi si verificano (la distanza è misurata sull’asse orizzontale). Questo intervallo di tempo è di una frazione piccolissima di secondo per gli eventi che si verificano vicino a me, è di qualche decina di minuti per eventi che si verificano, ad esempio, su Marte (non visualizzato nella figura) e può essere di milioni o di miliardi di anni per eventi che si verificano su una lontana galassia.

 
d.
Una rappresentazione artistica della gravità quantistica..
 
È un pò come dire che la distanza in chilometri lungo un’autostrada è un concetto utile se ci serve per viaggiare in automobile, ma se stiamo studiando i singoli grani dell’asfalto diventa una nozione che fa solo confusione. Per studiare i quanti di gravità, il tempo non è più una buona variabile. Invece di avere equazioni che descrivono come cambiano le cose “nel tempo”, possiamo direttamente avere equazioni che descrivono come cambiano le cose l’una rispetto all’altra. Questo è ragionevole, ma allora il fluire del tempo come lo sperimentiamo sulla nostra pelle, che cos’è? Una possibilità è che il tempo come lo conosciamo noi riemerga solo in un limite statistico o termodinamico. Quello che caratterizza il fluire del tempo è la termodinamica, la crescita dell’entropia (cioè la grandezza che misura il disordine microscopico dei sistemi fisici). Forse, il tempo nasce solo quando si considerano molte variabili e valori medi. Il tempo, insomma, è una conseguenza della nostra ignoranza dei dettagli microfisici del mondo. La terna gravità/quanti/termodinamica rappresenta oggi un nodo chiave per comprendere il mondo, su cui si sta concentrando molta della ricerca fondamentale più affascinante. Al centro di questo nodo, c’è la misteriosa nozione di tempo. Di certezze, alla fine, ce ne sono pochissime. Come dice Amleto alla fine del primo atto, confuso, dopo che lo spettro di suo padre gli ha rivelato che le cose non sono come lui pensava, The time is out of joint (“Il tempo è uscito dai suoi cardini”).
 

Biografia
Carlo Rovelli è professore di fisica teorica all’Università di Aix e Marsiglia, dove dirige il gruppo di ricerca in gravità quantistica. È conosciuto per i suoi lavori sulla teoria della gravità quantistica “a loop”.

 

Link

http://it.wikipedia.org/wiki/Gravità_quantistica_a_loop

 


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Il tempo prima del tempo
Conversazione con Gabriele Veneziano

di Antonella Varaschin

 


a .
Rappresentazione grafica 3D di uno spazio di Calabi-Yau. Secondo la teoria delle stringhe esistono delle dimensioni extra oltre alle quattro che conosciamo. Queste dimensioni sarebbero “arrotolate” in figure con la forma di spazi di Calabi-Yau.
Era il 1968 quando un giovane fisico teorico italiano, di passaggio al Cern di Ginevra fra un dottorato in Israele e un posto di ricercatore al Mit di Boston, diede alle stampe un articolo che avrebbe rappresentato una pietra miliare per la fisica teorica contemporanea. Vi si mostrava che, grazie a una formula vecchia di 200 anni (la funzione beta di Eulero), era possibile render conto di alcune misure della interazione forte, realizzate con gli acceleratori di particelle. Il giovane autore di quell’articolo, Gabriele Veneziano, è oggi uno dei massimi fisici teorici al mondo e la sua intuizione si è poi strutturata nella cosiddetta teoria delle stringhe che, nata quindi come una descrizione delle forze nucleari, verrà poi a rappresentare il primo promettente tentativo di unificare l’inconciliabile: la relatività generale e la meccanica quantistica, ovvero macrocosmo e microcosmo.
Secondo questa teoria, le particelle elementari che costituiscono il nostro universo non sono più entità infinitamente piccole, punti senza dimensioni, ma oggetti unidimensionali chiamati (con una traduzione un po’ imprecisa dall’inglese) stringhe: cordicelle sottilissime e cortissime, praticamente invisibili, tese e vibranti. E maggiore è la vibrazione e l’estensione spaziale della stringa, maggiore è la sua massa. Ancora oggi, manca, a questa affascinante e ambiziosa teoria, una conferma sperimentale: anzi, la possibilità o meno di verificarla o falsificarla rappresenta uno degli aspetti che più offrono il fianco ad affondi da parte di critici, scettici e detrattori. Ma questo è un altro discorso.

 

b.
Gabriele Veneziano, fisico teorico di indiscussa fama internazionale, è uno dei padri della teoria delle stringhe.
Nel corso della nostra conversazione con Veneziano, vogliamo approfondire il concetto di tempo come deriva dalla teoria delle stringhe e dalle sue implicazioni cosmologiche. Nel 1991, infatti, Veneziano pubblicò un altro articolo significativo, in cui mostrava come dalla teoria delle stringhe potesse derivare un nuovo modello cosmologico di tipo inflazionario, che apriva le porte a possibili scenari detti del pre-Big Bang. Ma se esiste un “pre-”, qualcosa antecedente al momento in cui abbiamo sempre pensato avesse avuto inizio tutto, compreso il tempo, questo significa che la nostra idea di tempo deve essere rimessa in discussione, così come la nostra posizione nel contesto dell’evoluzione dell’universo. “Se e quando il nostro universo ha avuto inizio, è una domanda alla quale non sappiamo ancora rispondere, ma negli ultimi trent’anni c’è stato un cambiamento importante nella descrizione della sua storia”, inizia a raccontare Gabriele Veneziano. “Prima degli anni ’80, il modello convenzionale era quello del ‘Big Bang caldo’, in cui tutto aveva avuto inizio a un certo tempo ‘zero’, istante in cui tutte le distanze relative erano talmente contratte da diventare nulle, dando così luogo a un completo collasso. Tutto insomma avrebbe avuto inizio da una singolarità, come viene chiamata in gergo matematico, in cui densità, temperatura e curvatura dell’universo erano infinite. Dopodiché, un’espansione di tipo decelerato, quindi dapprima molto veloce e poi sempre più lenta, ci ha portati fino a oggi. Questo modello riportò numerosi successi ma lasciava aperti svariati problemi concettuali e fenomenologici”.
Agli inizi degli anni ’80 era stato proposto un modello, detto inflazionario, che riusciva a superare queste difficoltà. In questo modello, nell’universo primordiale ci sarebbe stata una fase di espansione accelerata praticamente esponenziale (detta inflazione per analogia con quella dei prezzi che, ad esempio, raddoppiano ogni 15 anni), seguita poi dall’espansione decelerata, come nel vecchio modello cosmologico (vd. in Asimmetrie n. 15 Ai confini della realtà, ndr). Quello che è successo prima dell’inflazione è ancora oggetto di ricerca: non si ha per il momento una risposta a questa domanda, anche perché l’inflazione ha la caratteristica di nascondere in modo efficace tutto ciò che era avvenuto precedentemente.
“C’è un punto che voglio precisare, perché si fa spesso molta confusione a riguardo: nel ‘vecchio’ modello cosmologico, l’inizio del tempo coincideva con il Big Bang. Nel modello inflazionario non è più così. L’inflazione, infatti, è una fase di forte espansione dell’universo che ha portato, di conseguenza, a un suo estremo raffreddamento. A questo punto però è necessario far subentrare l’azione di un meccanismo fisico, chiamato appunto ‘riscaldamento’, che ha fatto sì che alla fine dell’inflazione l’universo ridiventasse caldo. Il Big Bang del vecchio modello viene così rimpiazzato dal momento in cui termina l’inflazione: un periodo molto breve, ma molto significativo che, per sua definizione, non ha niente a che vedere con l’inizio del tempo”.
 
 
c.
Visualizzazione grafica del Big Bounce.
 
I fisici teorici stanno ancora cercando di capire da che cosa sia scaturita l’era inflazionaria dell’universo e si chiedono qual è la fisica rilevante per descrivere quella fase. Bisogna porsi la domanda sull’inizio del tempo, utilizzando la teoria giusta: questa non può essere la relatività generale di Einstein, che è una teoria classica, deterministica e che prescinde dagli effetti quantistici, quando invece abbiamo evidenza che la meccanica quantistica ha giocato un ruolo essenziale già durante l’epoca inflazionaria. Per la fase pre-inflazionaria servirebbe, quindi, una teoria quantistica della gravità, che è un ben noto problema teorico. Sul mercato non ci sono molte alternative. Una è la teoria delle stringhe e l’altra è la teoria della gravità quantistica a loop (vd. Time out, ndr). Entrambe queste teorie suggeriscono che all’inizio dell’inflazione non ci sia stata una singolarità che impedirebbe di andare più indietro del tempo zero.
“Il problema dell’origine del tempo resta così ancora aperto. Questo è un momento molto interessante in cosmologia: per la prima volta si punta veramente il dito sulla necessità di applicare la meccanica quantistica anche alla teoria della gravitazione. Dato che la teoria delle stringhe non tollera gli infiniti, sembrano esserci, nel suo contesto, solo due alternative per quanto riguarda l’inizio del tempo. La prima è che andando all’indietro, ci sia una fase speculare alla nostra (salvo che le interazioni erano talmente deboli da dare un universo privo di strutture), che si estende indefinitamente verso il passato e che termina quando temperatura, densità e curvatura raggiungono il massimo valore permesso. La seconda ipotesi è che tutto sia iniziato da una fase in cui non esistevano spazio e tempo, concetti scaturiti solo successivamente. Nel primo scenario, quello proposto nel 1991, c’è qualcosa che simula il vecchio Big Bang: il cosiddetto bounce, ovvero “rimbalzo”, un momento in cui le varie quantità fisiche raggiungono il loro massimo valore per poi iniziare a decrescere. Invece che di Big Bang possiamo parlare di Big Bounce del momento in cui la temperatura dell’universo avrebbe raggiunto il suo valore massimo, ma finito”.
Possiamo chiederci che cos’è il tempo? “Personalmente tendo ad assumere un atteggiamento operativo a riguardo: il tempo inteso come quantità misurabile con orologi, con oggetti fisici. Il tempo perde senso se non lo si può misurare (ricordo che Einstein arrivò alla relatività ristretta pensando a come sincronizzare due orologi se la velocità della luce è finita). Dunque non mi pongo tanto la questione di che cosa sia il tempo, che prendo come concetto primitivo, ma piuttosto di come misurarlo: un atteggiamento da fisico, più che da filosofo”.
 
 

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[as] intersezioni
Passato presente futuro.

di Mauro Dorato
filosofo della scienza

La riflessione sul tempo è un capitolo fondamentale della filosofia e della scienza contemporanee. Non è esagerato ritenere che tutti i problemi filosofici e scientifici più importanti si intreccino oggi con il problema del tempo. Quest’ultimo non solo gioca un ruolo centrale nella descrizione del mondo esterno, ma è anche qualcosa di cui siamo direttamente coscienti, e ha quindi a che fare con la nostra identità personale. I due più grandi problemi aperti della scienza contemporanea, ovvero l’unificazione della meccanica quantistica e della relatività generale da una parte (vd. Time out, ndr) e la comprensione dell’origine del pensiero cosciente a partire dal cervello dall’altra, infatti, chiamano in causa, sebbene in modo assai diverso, proprio il tempo. Nella sua Nuova Confutazione del Tempo Borges scrive

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre;
è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco.

Il fatto che Borges insista sulla natura personale del tempo (“noi” siamo il tempo) allude forse al fatto che il tempo (insieme allo spazio) è una forma soggettiva innata con la quale gli esseri umani esperiscono il mondo esterno e interno, come sostenuto da Kant nella sua Critica della Ragion Pura. Infatti, per Kant, il tempo ha una realtà empirica, perché è la condizione necessaria affinché si abbia percezione di alcunché di esterno o interno, ma non esiste in sé, ovvero indipendentemente da noi. Ovvero, non esiste nel mondo considerato in sé (è “ideale” da un punto di vista trascendentale). In più, come afferma la citazione di Borges, il tempo dal punto di vista dell’esperienza è la sostanza di cui siamo fatti, ma una “sostanza” che sembra consumarsi costantemente proprio come una fiamma, che vive grazie alla sua distruzione. Questa metafora poetica introduce in modo naturale uno dei problemi principali della filosofia del tempo, che coinvolge la natura del momento presente e il suo continuo passaggio. Il momento presente è fondamentale nella nostra esperienza, ma dal punto di vista della fisica, newtoniana o einsteiniana che sia, non esiste. Scrive Carnap nella sua autobiografia, nella quale racconta del suo incontro con Einstein a Princeton: “Il problema del presente lo preoccupava seriamente. Una volta Einstein disse che l’esperienza del presente significa qualcosa di speciale per l’uomo, qualcosa di essenzialmente diverso dal passato e dal futuro, ma che questa importante differenza non ha luogo e non può averne nella fisica”. Non c’è dubbio che con la relatività della simultaneità sia diventato ancor più difficile attribuire una qualche oggettività al divenire temporale e all’esistenza di una differenza radicale tra passato cosmico, presente cosmico e futuro cosmico. Le differenze in questione, come accade con la relazione di successione temporale, diventano puramente locali, nel senso che hanno oggettività solo per eventi relativi a singole linee di universo, legati tra loro da rapporti causali invarianti, perché collegabili da segnali che viaggiano a velocità inferiori a quella della luce. Risulta quindi difficile sostenere che l’“esser presente” sia una proprietà intrinseca degli eventi (e quindi sia del tutto indipendente dalla nostra coscienza) e che sia acquisita via via da eventi temporalmente successivi. Invece sembra assai più plausibile sostenere che tale proprietà dipenda − come la fisica relativistica integrata da alcuni dati neurocognitivi e da importanti teorie filosofiche contemporanee suggeriscono – dalla prospettiva di agenti dotati di strutture percettive e cognitive simili alle nostre.
Questa conclusione è di importanza non solo teorica, ma anche pratica: noi viviamo e facciamo esperienza del mondo solo nel momento presente ed è solo con la memoria e con l’anticipazione (che sono tuttavia atti psicologici che avvengono nel momento presente) che ci spingiamo mentalmente al di là di quel che, momento per momento, facciamo. Queste capacità di “viaggiare nel tempo” sono tipiche degli esseri umani. Non è un caso che le grandi filosofie ellenistiche e le religioni orientali ci hanno sempre esortato a concentrarci esclusivamente sul momento presente, perché le nostre vite si dispiegano solo nel presente: perché tormentarci per un passato che non esiste più e consumarci con l’ansia per un futuro che non esiste ancora, se solo il presente esiste? I metafisici contemporanei hanno tradotto questo atteggiamento pratico elaborando la cosiddetta metafisica presentista, una posizione teorica che ritiene che esista solo ciò che esiste nel presente, posizione che essi hanno difeso con ragioni del tutto indipendenti dalle loro conseguenze pratiche. Ma se la fisica relativistica ci insegna che, come sosteneva Einstein, passato, presente e futuro esistono tutti allo stesso modo, diviene necessario non solo concentrare la nostra attenzione sul momento presente, ma anche comprendere che quest’ultimo è solo un minuscolo anello inserito in una catena cosmica di cui facciamo par te. Dobbiamo allora accogliere nella nostra mente in modo equanime tutte e tre le determinazioni del tempo: passato, presente e futuro e cercare di guardare all’universo, come suggeriva Spinoza, sub specie aeternitatis (“sotto l’aspetto dell’eternità”, ndr). La filosofia è un sapere insieme teorico e pratico, ed è forse proprio questa inscindibile unione l’eredità più preziosa che il pensiero greco ci ha lasciato.

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Cronoviaggi
La fantascienza del tempo

di Francesca Scianitti

 


a .
È̀ un fiore portato dal futuro il co-protagonista del romanzo La macchina del tempo di Herbert George Wells. Grazie all’invenzione di una prodigiosa macchina del tempo, un geniale scienziato accede a un futuro lontanissimo scoprendo forme di vita inimmaginate. Al suo ritorno, porterà nel presente l’unica prova di quel viaggio: un fiore sconosciuto.
Si narra di cronoviaggiatori rientrati dal futuro con un fiore in mano. Di mogli e mariti riemersi dalla tomba per rivivere la giovinezza e dimenticarsi l’uno dell’altra una volta tornati bambini. Avventurieri raddoppiati e copie di temponauti scomparsi in viziosi circoli temporali chiusi e inaccessibili. Buchi neri che invertono la rotta del tempo e universi sede di infiniti futuri possibili. Macchine del tempo che soltanto il genio di Einstein avrebbe potuto immaginare, se solo avesse osato farlo.
La fantascienza sembra il luogo naturale di una lotta impossibile tra immaginazione, realtà fisica, logica ed etica, capace di generare paradossi dalla straordinaria potenza narrativa. Forse non ha alcun senso interrogarsi sul fondamento scientifico di questi racconti, ma può essere interessante ribaltare la domanda: che fisica otterremmo se provassimo a dare coerenza alle invenzioni della fantascienza? La potenza delle risposte può dare luogo a sua volta a un viaggio nel tempo, sovvertendo il senso comune e il limite delle nostre conoscenze, e immaginando realtà considerate fino a quel momento inaccettabili o mai immaginate.
La più straordinaria delle previsioni concettuali della fantascienza si trova nel primo romanzo di questo genere, La macchina del tempo di George Wells. Scritto nel 1895, dieci anni prima che Einstein pubblicasse il primo articolo sulla teoria della relatività speciale, il romanzo fonda la possibilità dei viaggi nel tempo sull’idea che non esista alcuna differenza tra le tre dimensioni spaziali e la dimensione temporale, se escludiamo la nostra percezione del procedere del tempo. È un’anticipazione della formulazione matematica di Minkowski dello spaziotempo quadridimensionale, costituito non più da eventi spaziali che evolvono nel tempo, ma da un continuum, in cui l’evoluzione nel tempo viene rappresentata come un “moto” lungo la dimensione temporale (vd. approfondimento in Time out, ndr). Come fotografie successive di un unico individuo, scattate in epoche diverse, la realtà che conosciamo è immaginata da Wells come una sezione, una rappresentazione tridimensionale dell’unicum quadridimensionale, fisso e inalterabile. Ma se il tempo è solo una dimensione come le altre, osa l’immaginazione di Wells, deve pur essere possibile muoversi avanti e indietro lungo l’asse temporale come facciamo con le tre dimensioni spaziali. Con questa irresistibile semplicità la fantascienza sfonda per la prima volta la porta del tempo.
Wells però non si accontenta di precedere inconsapevolmente la teoria scientifica, ne sfida persino i confini futuri. I suoi viaggi temporali, infatti, come quelli della maggior parte degli scrittori di fantascienza, consentono viaggi nel passato, o ritorni dal futuro al presente, oltre che viaggi di sola andata nel futuro. Perché i viaggi nel futuro non sono poi così interessanti, almeno finché il viaggiatore non decide di tornare. Ed è il ritorno al presente ad avere conseguenze scientificamente ed eticamente paradossali. Lo stesso cronoviaggiatore potrebbe incontrare se stesso da giovane o, peggio, uccidere i propri genitori prima della sua nascita. Quale realtà sarebbe allora più reale, quella del presente in cui è nato o quella del presente in cui non può essere nato? E se anche volessimo accettare la possibilità di un ritorno dal futuro al presente (così come un viaggio nel passato), dal presente qualcosa dovrebbe scomparire. Perché un fiore portato dal futuro non può che essere fatto con gli stessi atomi già esistenti nel presente: il suo “ritorno dal futuro” significherebbe la presenza simultanea degli stessi atomi in due luoghi diversi e la materia risulterebbe così duplicata, creata dal nulla.
Eppure bisogna ammettere che, da un punto di vista puramente letterario, il paradosso è un irresistibile trampolino di lancio verso il fantastico. E non è raro che l’autore produca soluzioni geniali per restituire senso e consistenza alla sua sceneggiatura. Affondando così le radici in una nuova struttura della realtà, e non soltanto nell’invenzione pura, i nuovi mondi della fantascienza sono spesso insolitamente credibili.

 

b.
Isaac Asimov è autore di circa 500 volumi, non solo su argomenti scientifici, ma anche del genere romanzo poliziesco, di fantascienza umoristica e di letteratura per ragazzi. Le sue opere sono considerate una pietra miliare sia nel campo della fantascienza che nel campo della divulgazione scientifica.
c.
Una scena di Ritorno al futuro (1985, regia di Robert Zemeckis): Michael J. Fox (a destra) e Christopher Lloyd (a sinistra) con la DeLorean utilizzata nel film come macchina del tempo.
Per risolvere il paradosso della duplicazione, nel racconto Necrologio Isaac Asimov fa ricorso a una particolare macchina del tempo ideata da un oscuro dottor Stebbins: la macchina crea una copia del viaggiatore, l’uno viaggia nel tempo, l’altro resta nel presente. La macchina, tuttavia, è costruita in modo da uccidere gli esseri che richiama nel presente, prevenendo così la possibilità che il ritorno dal futuro possa cambiare la storia. L’individuo originale, in sostanza, non viaggia affatto: è il suo duplicato a essere costretto in un circolo vizioso presente-futuro-presente, che ripercorre di continuo, muovendosi su una linea temporale chiusa. Per la fisica questa situazione non è poi così assurda, se si considera l’analogia con il vuoto quantistico: dal vuoto possono emergere una particella e un’antiparticella, che subito si annichilano e si ricreano, e così via in un circolo chiuso infinito. Ma in questo caso, come in altri, la fantascienza supera la semplice soluzione del paradosso e nel racconto di Asimov il circolo a un certo punto si spezza. Approfittando del ritorno dal futuro della copia defunta del marito, la moglie del dottor Stebbins decide di uccidere l’originale riuscendo così, in modo insospettabile, a liberarsene per sempre.
Come propongono Robert Heinlein e Philip Dick in racconti simili a quello di Asimov, tuttavia, la duplicazione del cronoviaggiatore può essere evitata: di ritorno dal futuro, il viaggiatore potrebbe identificarsi con il se stesso presente, per “uscire” da questo prima di ripartire. L’idea è asfissiante, ma risolverebbe, oltre al problema del parricidio, la moltiplicazione infinita di quel Martin del famoso film Ritorno al futuro, che tornando dieci minuti prima di quando era partito può osservare il se stesso in partenza, il quale a sua volta potrebbe tornare dieci minuti prima a osser vare Mar tin che osser va Mar tin in par tenza, e così via senza fine.
La strategia per aggirare i paradossi, ed evitare le descrizioni incoerenti, segue in genere una filosofia molto personale, alla quale ciascun autore di fantascienza aderisce sulla base di scale di valori e conseguenze ritenute più o meno accettabili. Non è raro comunque che la scelta sia quella di cavalcare e portare all’estremo le conseguenze paradossali delle invenzioni fantascientifiche, progettando castelli privi di fondamenta, assurdi e tuttavia credibili. Un bell’esempio è rappresentato dal film Il curioso caso di Benjamin Button (2008), che vede un vecchissimo Brad Pitt ripercorrere a ritroso le fasi dell’esistenza, incrociando la vita di una moglie bambina, di cui sarà in diversi momenti amico-nonno, adulto- seduttore, marito, figlio e, infine, infante nipote. Ma non si tratta in questo caso di veri e proprio viaggi nel tempo, perché è il tempo stesso a invertire la sua rotta diventando “anti-tempo”, portando a eventi come la morte al “contrario”.
 
 
d.
Due possibili soluzioni del paradosso dei viaggi nel passato (o dei ritorni dal futuro). In entrambi i casi il viaggio modifica il futuro. Al centro, il futuro non modificato è da considerare impossibile, irrealizzabile e viene cancellato. A destra, i futuri modificati e non modificati dalle incursioni nel passato sono tutti conservati, dando luogo a un’infinità di futuri possibili. (Figura liberamente tratta da “La scienza della fantascienza” di Renato Giovannoli).
 
Anche quando si affidano totalmente ai paradossi, estremizzandone le conseguenze, i bravi scrittori di fantascienza si pongono il problema della coerenza dell’universo che inventano, che non può capitolare in una serie di catastrofi inaccettabili. Ma l’immaginazione ha bisogno di spazio, non di limitanti preconcetti, e la coerenza non può essere protetta da un semplice principio di censura, sulla base del quale ciò che è troppo paradossale, è semplicemente inaccettabile. Per questo i creatori di fantascienza sanno spesso rendere logicamente possibile ciò che fisicamente non lo è, mettendo in campo speculazioni che possono dare da pensare ai più affermati filosofi e fisici teorici. Una bella soluzione narrativa, e logica, dei paradossi temporali prevede, ad esempio, che si accettino gli interventi sul passato: questo è possibile solo eliminando il futuro, per così dire, originale, a favore di un nuovo futuro, modificato dall’incursione del cronoviaggiatore. È certamente una soluzione affascinante, ma darebbe inevitabilmente luogo a una serie di problemi di natura etica, poiché ammette, di fatto, la possibilità di realizzare un presente-futuro a proprio piacimento tramite rapide escursioni, di tanto in tanto, nel passato. Esiste una seconda soluzione, più accettabile, probabilmente la più elegante e coerente tra tutte le possibili: prevede che il futuro originale sia conservato e continui il suo corso insieme ad altri infiniti futuri e universi paralleli modificati dalle incursioni in infiniti passati preesistenti. Ecco una nuova previsione della letteratura che ha probabilmente la stessa dignità del continuum spaziotemporale previsto da Wells prima di Einstein. Resta da chiedersi, a questo punto, se si tratti davvero soltanto di fantascienza.
 
 

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Cambia, todo cambia!
La variazione delle costanti fondamentali

di Massimo Pietroni


a .
Il fisico teorico inglese Paul Adrien Maurice Dirac.

Ogni teoria fisica contiene un certo numero di parametri che non possono essere calcolati a partire dalla teoria stessa, ma devono essere determinati attraverso una misura sperimentale. Un esempio è la costante di Newton, G, che entra nella legge della gravitazione universale per la forza di attrazione F tra due masse m1 e m2, poste a una distanza R: F=G m1 m2/R2. La teoria di Newton non fornisce alcuna indicazione sul valore di G, tanto che questo fu determinato per la prima volta solo nel 1798, e cioè 71 anni dopo la morte di Newton stesso, con le misure tramite bilance a torsione eseguite da Cavendish.

Il valore dei parametri fondamentali, all’interno di un dato schema teorico, è a priori del tutto ignoto. Per questo motivo, in accordo con tutti i dati sperimentali disponibili in un certo momento, si assume che questi parametri siano costanti nel tempo, e li si indica come costanti fondamentali. Alcuni di questi parametri possono variare con l’energia del processo in cui vengono misurati, un fenomeno ben noto che va sotto il nome di running delle costanti. Se una nuova misura fisica dovesse mettere in evidenza anche una dipendenza dal tempo di questi parametri, vorrebbe dire che c’è un nuovo meccanismo responsabile di questa variazione temporale, che rende inevitabile modificare lo schema teorico.

Il fisico teorico inglese Paul Dirac, uno dei padri della meccanica quantistica, fu tra i primi a proporre che alcune costanti fondamentali fossero in realtà variabili su scale dei tempi dell’ordine della vita dell’universo. Il suo punto di partenza fu l’osservazione che in Natura esistono alcuni numeri molto grandi, che difficilmente possono essere spiegati in modo naturale dalla teoria. Uno di questi è il rapporto fra la forza elettrostatica e quella gravitazionale che si esercitano tra un protone e un elettrone, che vale circa 1040 e dà la misura della “forza” dell'elettromagnetismo rispetto alla gravità. La proposta di Dirac fu di spiegare questo numero enorme ipotizzando che la forza elettrostatica e quella gravitazionale fossero inizialmente dello stesso ordine, e che il rapporto tra loro fosse cresciuto in modo proporzionale all’età dell’universo man mano che questo invecchiava. Concretamente, Dirac immaginò che la costante di Newton G variasse in modo inversamente proporzionale all’età dell’universo, rendendo la gravità sempre più debole col passare del tempo. Agli occhi di Dirac questa soluzione era attraente, poiché spostava il problema teorico dalla spiegazione di un numero enorme a quella di un numero di ordine uno (il rapporto iniziale tra le due forze) per cui può essere più plausibile immaginare una determinazione in termini di principi elementari.

b.
Il modello standard della fisica delle particelle contiene, oltre alle tre costanti fondamentali, c (velocità della luce), G (costante di Newton) e ħ (costante di Planck), altri 26 parametri che vengono considerati costanti nel tempo, ma che potrebbero anche essere variabili in una teoria più estesa. Questi fissano l’intensità delle interazioni (GF, α, αs), le masse delle particelle, il mescolamento fra le diverse famiglie di quark e leptoni e la violazione della simmetria CP.
In realtà, lo schema proposto da Dirac, oltre a basarsi su motivazioni opinabili, non resse ad analisi più approfondite. Per esempio Edward Teller calcolò che poiché, all’aumentare di G, la luminosità del Sole aumenta (proporzionalmente a G7) e, contemporaneamente, il raggio dell’orbita terrestre si riduce, nel passato la temperatura sulla superficie del nostro pianeta sarebbe stata molto più elevata, raggiungendo addirittura i 100 gradi centigradi tra 200 e 300 milioni di anni fa, rendendo così impossibile la vita così come la conosciamo oggi. Ciononostante, l’idea di base, e cioè la dipendenza dal tempo delle costanti fondamentali, è tuttora dibattuta dai fisici teorici e messa alla prova dalle osservazioni sperimentali. Nel modello standard le quantità non calcolabili sono almeno 25 e determinano il valore delle masse delle particelle elementari (quark, leptoni, bosoni W e Z, particella di Higgs), le intensità delle interazioni elettrodeboli e forti e il mescolamento tra loro delle tre famiglie di quark e delle tre dei leptoni (vd. fig. b). Allo stato attuale non abbiamo alcun modo per calcolare questi parametri, sebbene esistano teorie più generali, ancora non confermate sperimentalmente, in cui alcuni di essi possono essere calcolati in termini di altri, perdendo così il loro status di parametri fondamentali.
Oggi sappiamo che anche nel modello standard diversi parametri fondamentali, nei primissimi istanti di vita dell’universo, avevano un valore diverso dall’attuale. Si tratta della costante di Fermi, che regola l’intensità delle interazioni nucleari deboli, e delle masse dei quark e dei leptoni, che vengono tutti determinati dal valore del campo di Higgs (vd. in Asimmetrie Ed è solo l'inizio, ndr). Questo ha subito una transizione nell’universo primordiale, all’incirca 10-27 secondi dopo il Big Bang, passando da zero al valore a cui è rimasto “congelato” fino ai nostri giorni. Sebbene questa variazione sia avvenuta troppo indietro nel tempo per aver lasciato tracce osservabili, è possibile che un comportamento simile sia ancora all’opera, oggi, per altri campi analoghi al campo di Higgs. Nell’ambito della teoria delle stringhe, per esempio, le costanti fondamentali sono tutte fissate dal valore di particolari campi dinamici, alcuni dei quali potrebbero essere ancora in moto. In questo scenario, per esempio, anche l’interazione elettromagnetica, quella che è misurata con la precisione più elevata, potrebbe aver subito una variazione nel corso delle epoche cosmologiche recenti. Un destino analogo potrebbero avere avuto, per esempio, il rapporto tra massa dell’elettrone e massa del protone o l’intensità delle interazioni nucleari.
c.
Il quasar RX J1131 distante circa sei miliardi di anni luce.
 
La memoria dei valori passati di queste ipotetiche “costanti incostanti” potrebbe riemergere in osservazioni di varia natura; per esempio, studiando le abbondanze di diversi isotopi nella miniera di Oklo, in Gabon, un sito eccezionale in cui circa due miliardi di anni fa si realizzarono le condizioni per l’accensione di un vero e proprio reattore nucleare naturale. Queste abbondanze, infatti, sarebbero sensibili a una variazione della costante di struttura fine, che regola l’intensità della radiazione elettromagnetica.
Altre tracce verrebbero dalla cosmologia che, attraverso lo studio della formazione dei nuclei primordiali, è oggi in grado di fornire limiti su una possibile variazione di G nell’epoca compresa tra un secondo dopo il Big Bang e oggi, che per essere in accordo con le osservazioni non dovrebbe essere più grande di pochi punti percentuali.
Al momento attuale, l’unica (flebile) traccia di variazione di costanti fondamentali è quella riportata dal gruppo di astronomi guidati da John Webb, che, osservando la luce proveniente da quasar lontani qualche miliardo di anni luce, ha notato una anomalia nelle righe spettrali, che può essere spiegata se la costante di struttura fine fosse stata più piccola in passato di una parte su centomila. Queste osservazioni sono però tuttora sotto esame da parte della comunità scientifica e una risposta definitiva appare ancora lontana, a causa dell’estrema difficoltà di queste misure.
 
 

Biografia
Massimo Pietroni è ricercatore dell’Infn della sezione di Padova. In questi ultimi anni si è occupato principalmente del problema della materia e dell’energia oscura nell’universo e delle sue possibili spiegazioni nell’ambito della fisica delle particelle.

 

Link

http://physics.nist.gov/cuu/Constants/introduction.html
http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13433.html
http://www.media.inaf.it/2014/06/18/una-misura-per-la-costante-gravitazionale/

 


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Le tre età
Datare l’universo, la Terra e la materia vivente

di Eleonora Cossi


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Dettaglio di Le tre età della donna, dipinto del 1905 del pittore austriaco Gustav Klimt (olio su tela).

Nel 1811 in Inghilterra, in una spiaggia del Dorset, una giovane donna fece una scoperta destinata a cambiare per sempre la concezione del tempo. Lei si chiamava Mary Anning ed è passata alla storia per aver scoperto un gigantesco scheletro di animale, il più grande mai rinvenuto. La Anning, che aveva imparato dal padre a riconoscere i fossili del Giurassico, particolarmente abbondanti in quella zona, aveva trovato uno scheletro completo di un rettile marino chiamato Ichtyosaurus: una creatura sconosciuta e impossibile da concepire seguendo la concezione della storia accettata allora dalla maggior parte degli uomini, quella delle sacre scritture. Da quel giorno il tempo non fu più lo stesso.

Fino al 1700 l’età della Terra, e quindi, per la credenza dell’epoca, anche quella dell’universo, era stata stimata sulla base dell’interpretazione delle sacre scritture in circa 6000 anni. Solo a partire dalla fine del ’700 i calcoli iniziarono a esser basati su criteri “scientifici. Ancora agli inizi del secolo scorso, però, l’età della Terra era stimata in milioni di anni. Solo attorno al 1930, meno di cent’anni fa, Arthur Holmes iniziò a utilizzare le misure radiochimiche per stabilire, in miliardi di anni, l’età della Terra.

Oggi è possibile risalire con precisione anche a epoche molto più lontane di quelle in cui la Terra era abitata dai dinosauri (l’era Mesozoica), utilizzando specifici metodi di datazione che gli scienziati hanno sviluppato in ambiti scientifici diversi, come la geologia, la fisica delle particelle e l’astrofisica.

Partiamo dall’età dell’universo, la macchina del tempo più potente che abbiamo a disposizione e in cui possiamo vedere tanto più indietro, quanto più lontano guardiamo. Grazie al programma di misure del telescopio Hubble (l'Hubble Extreme Deep Field program, vd. fig. b) abbiamo potuto osservare oggetti distanti fino a 13 miliardi di anni luce, grazie alle misure del redshift cosmologico, lo “spostamento verso il rosso” della luce, previsto dall’espansione dell’universo secondo la legge di Hubble (vd. in Asimmetrie n. 15 Foto d'epoca, ndr). Secondo le stime più aggiornate la nascita dell’universo viene fatta risalire a circa 13,8 miliardi di anni fa, quando è avvenuto il Big Bang. Questa stima è confermata dalle osservazioni dei satelliti, come Wmap e Planck, che studiano la radiazione cosmica di fondo.

b.
L’Hubble Extreme Deep Field (Xdf), in italiano campo extra-profondo di Hubble, cioè l’immagine di una piccolissima regione di cielo visibile dall'emisfero sud, basata sui risultati di una serie di osservazioni del telescopio spaziale Hubble. Benchè la regione di cielo osservata sia molto più piccola di quella coperta, ad esempio, dalla Luna, l'immagine contiene circa 5500 galassie. L'Xdf ha permesso di osservare galassie molto distanti, create quindi nell’universo “giovane” ed è diventata un'immagine caposaldo nello studio dell’universo primordiale.
Nel 2013, il satellite Planck dell’Agenzia spaziale Europea (Esa) ci ha inviato una dettagliata mappa della radiazione cosmica di fondo, la prima immagine che abbiamo dell’universo, ricca di informazioni sulla composizione dell’universo primordiale. Secondo i modelli della fisica delle particelle e della cosmologia questa “foto d’epoca” (vd. fig. c in Asimmetrie n. 15) ci mostra l’universo 380 mila anni dopo il Big Bang. Cosa sia successo prima è descritto dal modello cosmologico detto Lambda-Cdm, che prevede che l’universo sia in espansione e composto per circa il 95% da energia oscura (Lambda) e materia oscura fredda (Cold Dark Matter) (vd. in Asimmetrie n. 14 In sostanza, ndr). Sempre studiando la radiazione cosmica di fondo, e in particolare i suoi stati di polarizzazione, si può provare ad andare ancora più indietro cercando, indirettamente, conferme sulla teoria dell’inflazione: la rapidissima espansione che, immediatamente dopo il Big Bang, avrebbe ingigantito le fluttuazioni quantistiche prodotte nel Big Bang fino a farle diventare i “semi” di materia in corrispondenza dei quali si sono formate le galassie (vd. anche Asimmetrie n. 15 [as] Crescita in tempi di inflazione., ndr).
Per stimare l’età del sistema solare e della Terra si usano, invece, modelli astrofisici e metodi di datazione derivanti dalla geologia. Secondo l’ipotesi scientifica più accreditata, circa 5 miliardi di anni fa da una nebulosa primordiale cominciò il processo che portò 4,6 miliardi di anni fa alla formazione del sistema solare. Con i metodi “geologici”, infatti, in particolare stimando l’età dei meteoriti rinvenuti sulla Terra, la nascita del sistema solare è stata stimata a circa 4,6 miliardi di anni fa, età compatibile con la datazione delle rocce terrestri e quindi con la stima fatta per la nascita della Terra. L’origine della vita sulla Terra è, invece, argomento ancora molto controverso, e oggi viene fatta risalire a circa 3,5 miliardi di anni fa.
La storia “geologica” del nostro pianeta viene, dunque, ricostruita prevalentemente utilizzando documenti speciali: le rocce e i fossili. Entrambi possono essere studiati sia con metodi di datazione relativa, al fine di stabilire la successione degli eventi che hanno caratterizzato la storia della Terra, sia con metodi di datazione assoluta, in particolare con tecniche di datazione radiometriche (o radiodatazione), che consentono di datare con precisione un evento, indicando quando si è verificato e la sua durata. I metodi di datazione relativa si fondano su tre criteri: stratigrafico, paleontologico e litologico, e si basano sull’osservazione delle rocce sedimentate e dei fossili che vi sono rimasti imprigionati. Il criterio stratigrafico si basa sull’osservazione degli strati sedimentari delle rocce e sull’evidenza che quelli più antichi si trovino più in basso e quelli più recenti più in alto, rispettando l’ordine cronologico. Non sempre però questo ordine è rispettato: i movimenti tettonici possono, infatti, averlo alterato, rendendo impossibile la sua applicazione. Il criterio paleontologico sfrutta i fossili per datare gli strati rocciosi in cui sono rimasti imprigionati, partendo dal presupposto che la vita sulla Terra si sia evoluta omogeneamente. Questo tipo di datazione si effettua sui cosiddetti fossili “guida” appartenenti a specie vegetali e animali che hanno avuto ampia e rapida diffusione, come le ammoniti usate come fossili guida dell’era Mesozoica, identificabili come indizi inequivocabili di una data epoca. L’ultimo, il criterio litologico, si basa sull’assegnare alle rocce dello stesso tipo una identica età ed è il criterio di più ristretta applicazione.
c.
Gli ammoniti sono considerati “fossili guida”, ovvero indizi certi, dell’era Mesozoica.
 
Mentre i metodi di datazione relativa ci permettono di individuare il susseguirsi degli eventi, restituendoci una sorta di racconto della storia del nostro pianeta, quelli di datazione assoluta ci consentono di individuare con precisione delle date, risalendo così non solo all’età di un reperto, ma anche a ciò che l’ha originato. Tra questi metodi, il più importante, quello della radiodatazione, consente di misurare la radioattività residua di rocce e fossili.
La radioattività è una proprietà di alcuni isotopi instabili di certi elementi che emettono radiazione (storicamente denominata di tipo alfa, cioè nuclei di elio, beta, cioè elettroni o positroni, o gamma, cioè fotoni), trasformandosi in isotopi stabili dello stesso elemento o di un altro elemento: questo fenomeno è chiamato decadimento radioattivo. Gli scienziati conoscono il tempo di dimezzamento, ovvero il tempo necessario affinché una data quantità di isotopi instabili (radioattivi) si dimezzi. Calcolando il rapporto tra la quantità di un elemento radioattivo presente in una roccia e quella di un elemento stabile è possibile, conoscendo il tempo di dimezzamento, risalire all’età della roccia che stiamo analizzando.
Per la datazione di reperti risalenti fino a 40.000 anni fa si ricorre al metodo del radiocarbonio, largamente impiegato anche nei beni culturali per la datazione di reperti di origine animale o vegetale (vd. fig. d). Piante e animali, infatti, sono una fotografia del carbonio che è presente in atmosfera con due isotopi: il carbonio 14 (14C), radioattivo, e il carbonio 12 (12C), stabile. Gli esseri viventi, infatti, fissano il carbonio atmosferico contenuto nel diossido di carbonio/anidride carbonica (CO2) attraverso la fotosintesi clorofilliana, per la flora, o attraverso l’alimentazione, per la fauna. Quando muoiono, l’isotopo 12C, stabile, rimane inalterato, mentre l’isotopo 14C, instabile, comincia a decadere trasformandosi in azoto (14N). La concentrazione di carbonio 14, quindi, diminuisce con il passare del tempo. La relazione fra quanto carbonio è rimasto e quanto si è trasformato è ben nota ai fisici ed è dettata dalle leggi del decadimento radioattivo (per il 14C il tempo di dimezzamento è Link sul web pari a 5730 anni). Per datare un reperto di origine organica occorre, dunque, misurare la quantità residua di 14C, ma questa quantità è piccolissima: pari a un atomo di 14C su mille miliardi di atomi di carbonio. È quindi necessario avere una grandissima sensibilità e misurare con una precisione tale da arrivare a un’incertezza nell’ordine di 20-30 anni. Ciò viene fatto con tecniche di fisica nucleare, utilizzando acceleratori di particelle e spettrometri che permettono di separare i nuclei di carbonio 14 e contarli (vd. in Asimmetrie n. 9 Il bello dei nuclei).
 
d.
Il Papiro di Artemidoro, datato con il carbonio 14 dal laboratorio Labec, il laboratorio per i Beni Culturali di Firenze dell’Infn, nel 2008. Secondo le misure realizzate dal Labec, il papiro risale al I° secolo d.C. Il documento conterrebbe la prima trascrizione conosciuta di parte di un testo geografico di Artemidoro di Efeso, ma l’attribuzione e la datazione del contenuto sono ancora controversi.
[as] approfondimento
Bomb peak
1.
Grafico del bomb peak.


Durante la Guerra Fredda, dopo il 1955, si assiste a un susseguirsi di test nucleari che ha causato, tra gli effetti secondari, un grande aumento della concentrazione di carbonio 14 nell’atmosfera terrestre. I valori hanno raggiunto un picco verso la metà degli anni ’60 (1963-1965), per poi decrescere dopo la firma dei trattati internazionali per il bando dei test nucleari. A questo fenomeno gli scienziati danno il nome di bomb peak (“picco delle bombe”). Con l’aumentare del carbonio 14 in atmosfera aumentava, conseguentemente e con uguali valori, anche quello di tutti gli organismi viventi, tra cui anche le piante di cotone o lino, da cui si realizzano le tele da pittura. Sfruttando questo fenomeno, ricercatori del Labec di Firenze hanno provato, con un’analisi eseguita con l’acceleratore Tandem, che una tela attribuita al pittore Fernand Léger fosse inequivocabilmente un falso (come sospettato). Il livello di carbonio 14 della tela, infatti, è risultato decisamente più alto di quello presente durante la vita del pittore, morto prima del bomb peak, cioè precedente all’innalzamento del radiocarbonio dovuto ai test nucleari.

 

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