Asimmetrie 7

Editoriale

La parola “antimateria” è ammantata da un’aura fantastica, suscita domande e stimola l’immaginazione. La teoria che ne descrive le caratteristiche ha da poco compiuto 80 anni. Per ogni particella elementare ne esiste una identica con carica opposta. Se l’atomo ha un nucleo positivo e un guscio esterno con elettroni negativi, per l’antimateria avviene l’esatto opposto: il nucleo è negativo e il guscio esterno è composto di particelle positive. Tolta la carica, tutte le altre caratteristiche dell’antimateria, tra cui anche la massa, sono identiche alla materia. Così l’immaginazione si affaccia su un mondo di antimateria. In numerosi romanzi di fantascienza si parla di una sostanza misteriosa e terrificante che ha la proprietà di distruggere la materia: l’antimateria. La sua esistenza è provata, essa è stata rivelata, prodotta e immagazzinata, anche se in piccolissime quantità. In campo medico si utilizza normalmente a scopo diagnostico e terapeutico. Nello Spazio ne cerchiamo le tracce e, usandola come una sonda proveniente dall’Universo, possiamo studiare i processi responsabili della sua creazione. Tutti i modelli che descrivono la nascita dell’Universo richiedono la creazione di quantità uguali di materia e antimateria. Ma il nostro mondo è composto esclusivamente di materia: l’asimmetria tra materia e antimateria, ossia l’assenza apparente di antimateria nell’Universo, è uno dei grandi problemi irrisolti nella fisica delle particelle e nella cosmologia. Incamminiamoci tra questi scenari a scoprire realtà non meno affascinanti della fantascienza.


Andrea Vacchi

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La Fisica, la Bellezza e l'Antimateria
La storia enigmatica dell’antimateria e della simmetria nell’Universo.
di Andrea Vacchi

a.
Il quadro Day and Night di M. C. Escher. Il positrone, la controparte di antimateria dell’elettrone, fu inizialmente immaginato come una lacuna nel mare di Dirac. Una scatola piena di elettroni, salvo un piccolo spazio, può essere vista come una scatola vuota con un positrone in quello stesso spazio.
Nell’estate del 1931 Wolfgang Pauli assisteva a un seminario di Robert Oppenheimer sul lavoro del fisico teorico Dirac. Si racconta che, nel bel mezzo di quella lezione, scattò in piedi, afferrò un pezzo di gesso camminando verso la lavagna, e lì davanti si fermò brandendolo come per intervenire, poi disse: “Ach nein, das ist ja alles falsch!”… tutto questo è certamente sbagliato! Più tardi Pauli scrisse, a proposito della spiegazione che Dirac dava dei risultati della sua teoria,“non crediamo che tutto questo debba essere preso sul serio”.
Di carattere molto schivo, ai limiti della scontrosità, quando nel 1933 Paul Dirac seppe di aver ricevuto il premio Nobel la sua prima tentazione fu di rinunciare al riconoscimento. Accettò solo davanti all’obiezione di Ernest Rutherford, Nobel nel 1908, che il rifiuto avrebbe suscitato una pubblicità perfino maggiore. Aveva 31 anni e la convinzione che le leggi fondamentali della Natura fossero pervase da una bellezza matematica che resta tale da qualsiasi punto di vista e sempre. In quel periodo la recente teoria della meccanica quantistica spiegava come il mondo delle cose molto piccole seguisse leggi diverse da quelle suggerite dal nostro intuito: la meccanica quantistica è una delle maggiori rivoluzioni nella fisica del ventesimo secolo e, anche se può apparire bizzarra e lontana dall’intuito, è probabilmente la descrizione della Natura più vicina alla realtà. Nel frattempo, Einstein proponeva la sua teoria della relatività speciale, dove si mostrava come lel eggi che descrivono cose molto veloci sfidino i nostri criteri di buonsenso e che la materia è una tra le tante forme di energia. Nel 1927, Paul Dirac fece il passo fondamentale per accordare fisica quantistica e teoria della relatività speciale di Einstein, introducendo un’equazione in grado dispiegare il comportamento degli elettroni ad ogni velocità, fino alla velocità della luce: quale è la giusta descrizione dell’elettrone come onda quantica? E quale l’equazione che governa la dinamica di queste onde, rispettando le regole della relatività? Il lavoro di Dirac era volto a descrivere la Natura attraverso una formula che rispettasse un’estetica nella matematica. Gli capitò di dire: “È più importante arrivare a equazioni belle che ottenere da esse la riproduzione di osservazioni sperimentali”. Questa impostazione lo condusse a risultati spettacolari. È fondamentale che l’esperimento confermi una teoria scientifica, ma certe teorie appaiono troppo belle per essere scartate, anche se restano in attesa di una conferma sperimentale. Semplicità ed eleganza sonole caratteristiche che appaiono quando una teoria è sviluppata con il minimo numero di assunzioni, quando è universale e descrive fenomeni ai quali non era diretta in origine.
b.
Un ritratto di Paul Dirac.

Dirac amava la montagna: tra le sue ascensioni si ricorda il monte Elbruz nel Caucaso. Si preparava a queste escursioni arrampicandosi sugli alberi nelle colline attorno a Cambridge, vestito degli stess iabiti scuri che usava nel campus. Se per gli artisti la bellezza è spesso soggettiva, nella scienza si cercano equazioni che mantengano la loro forma anche attraverso trasformazioni che le adattano ai diversi sistemi di riferimento. L’equazione della sfera, ad esempio, non cambia quando le coordinate sono invertite: la sfera resta tale vista da qualunque prospettiva, anche attraverso uno specchio. La sua affermazione sull’importanza della bellezza era diretta a Erwin Schrödinger. Dirac era dell’avviso che Schrödinger avrebbe dovuto continuare il suo sviluppo teorico senza curarsi degli esperimenti. Egli fece in questo modo, arrivando a scoprire un’equazione consistente con la relatività, ma in una forma matematica nuova, insolita per la maggior parte dei fisici di allora. È un’equazione che ha la stessa forma in ogni sistema di riferimento e resta invariata nelle trasformazioni di spazio e tempo richieste dalla teoria della relatività.
Il lavoro di Dirac, intitolato La Teoria Quantistica dell’Elettrone, fu pubblicato ottanta anni fa, nel febbraio del 1928. Lo sviluppo che vi si proponeva portava alla sua equazione, in grado di fornire una spiegazione naturale per le caratteristiche dell’elettrone come lo spin, ma conduceva anche a risultati sorprendenti e apparentemente paradossali: ogni soluzione in cui l’elettrone aveva una prevedibile energia positiva, permetteva una controparte con energia negativa, stati a energia negativa che apparivano come particelle con numeri quantici inversi rispetto alla materia “normale”: tutti lo ritenevano innaturale, impossibile.
Furono necessari tre anni di ipotesi e discussioni e finalmente nel 1931, interpretando i suoi risultati, Dirac intuì e propose l’esistenza dell’antielettrone, chiamato anche positrone, una particella con la stessa massa e lo stesso spin dell’elettrone, ma con carica elettrica opposta.
Era un’ipotesi ardita nata come risultato di una formulazione teorica che diede luogo, tra i fisici, a discussioni infuocate. Dirac predisse, inoltre, che se un elettrone avesse incontrato un antielettrone, la coppia si sarebbe dovuta annichilare e la massa ricombinata trasformarsi in radiazione, così come richiesto dalla celebre equazione di Einstein E = mc2. Una simile particella era sconosciuta.
Dirac formulò l’ipotesi che in altre parti dell’Universo le cariche positive e negative fossero invertite, che esistesse quindi un Universo di antimateria. L’insistere sulla consistenza e bellezza della teoria portava a immaginare aspetti inattesi della Natura. Naturalmente questo richiedeva un’intelligenza intuitiva straordinaria, che certo a lui non mancava.

c.
Carl Anderson vicino alla camera a nebbia con cui scoprì il positrone nel 1932.

Nel 1932, mentre studiava le tracce lasciate dalle particelle dei raggi cosmici nel suo rivelatore, la camera a nebbia, Carl Anderson notò che alcune di esse, pur avendo tutte le caratteristiche lasciate di solito dagli elettroni, reagivano al campo magnetico come se avessero carica opposta. Si trattava della prima chiara evidenza sperimentale dell’esistenza di una particella di antimateria, l’antielettrone di Dirac. Una scoperta sensazionale: l’antielettrone previsto dai risultati dell’equazione di Dirac era stato identificato senza possibilità di errore. Un trionfo esaltante per la fisica teorica che vide confermata dall’esperimento la sua predizione, frutto di immaginazione e bellezza matematica.

[as] approfondimento
Il mistero dei raggi cosmici

1.
Questo strumento è una delle camere a nebbia usate da Carl Anderson in un forte campo magnetico. Millikan aveva chiamato la linea sperimentale, impostata attorno al 1930 con l’uso di questi strumenti, study of cosmic rays, the birth cries of the universe, ossia “studio dei raggi cosmici, il primo vagito dell’Universo”.
 

2.
La famosa fotografia del 1932: raffigura il positrone che entrando dal basso attraversa uno spessore di piombo perdendo energia. Una minore energia, infatti, determina una maggiore curvatura della traccia nel campo magnetico. L’elettrone avrebbe avuto una curvatura opposta.
 

La più naturale sorgente di antimateria era, allora come oggi, la radiazione proveniente dal Cosmo. Già nel 1912 Victor Hess, salendo a 5.000 metri con un pallone aerostatico, aveva notato che la ionizzazione prodotta sui suoi strumenti dalla radiazione cresceva aumentando la quota. “I risultati delle mie osservazioni si spiegano perfettamente supponendo che una radiazione di grandissimo potere penetrante entri dall’alto nella nostra atmosfera […]”, scrisse più tardi. Una pioggia incessante di particelle provenienti dallo Spazio colpisce la Terra: sono i raggi cosmici, l’unico contatto materiale con la Galassia e l’Universo. Come e dove nascono? In che modo raggiungono la loro energia? Fuori dell’atmosfera terrestre i raggi cosmici sono particelle di ogni tipo: i più abbondanti sono protoni (i nuclei di idrogeno), poi nuclei di elio e di elementi più pesanti. Il campo magnetico della Terra ne devia la traiettoria in modo più o meno importante in base alla loro energia. Arrivando negli strati alti dell’atmosfera e urtando contro le molecole dell’aria, i raggi cosmici primari producono uno sciame, una vera e propria cascata di particelle secondarie, ricca anche di antiparticelle. La natura delle particelle, nello sciame prodotto dai raggi cosmici, muta mentre esse sprofondano nell’atmosfera. Per questo, per poterne studiare le caratteristiche originarie, da sempre i fisici portano i loro strumenti in alta quota. Carl Anderson usava la camera a nebbia, uno strumento studiato da Charles Wilson, che permetteva di fotografare la traccia lasciata in un gas dalle particelle prodotte dai raggi cosmici. Nata per studiare la formazione delle nuvole, consisteva di un cilindro riempito d’aria, chiuso all’estremità da un pistone. Lo spostamento veloce del pistone causava un’espansione del volume della camera con un conseguente calo di temperatura dell’aria satura di vapore acqueo, e questo induceva la formazione di minuscole gocce liquide. Wilson aveva scoperto che le cariche elettriche (ioni) prodotte dal passaggio delle particelle nel gas agivano da centri di condensazione.

3.
Il lancio dall’Antartico di un moderno pallone stratosferico. Sgonfio, il pallone è alto come la torre Eiffel, mentre gonfio ha un diametro di 176 metri. Tra gli obiettivi dell’esperimento Bess-Polar c’è quello di chiarire il puzzle dell’asimmetria materia-antimateria studiando l’antimateria nei raggi cosmici.
4.
Lord Rutheford definì la camera a nebbia o di Wilson “il più originale e meraviglioso strumento della storia della scienza”. Nella camera a nebbia la radiazione entra in una camera di espansione che contiene un gas saturo di vapor d’acqua. L’espansione causata dal pistone raffredda il gas e si formano gocce di vapore attorno agli ioni prodotti dal passaggio delle particelle. La camera a bolle (vd. fig. 4), che valse il premio Nobel a Glaser nel 1960, è lo strumento complementare alla camera a nebbia. Levando il tappo a una bottiglia d’acqua minerale, abbassiamo la pressione e si formano bolle di gas. Nella camera a bolle un liquido è mantenuto a una temperatura prossima al punto di ebollizione. Se la pressione è tolta rapidamente dalla camera con il movimento del pistone il liquido avrà la tendenza a bollire. La particella che attraversa il liquido genera degli ioni sul suo tragitto e questi agiscono da punti di origine di piccole bolle. Una fotografia potrà riprendere la traccia e l’interazione della particella come se si trattasse di un fuoco d’artificio.

Questa prova sperimentale fu confermata pochi giorni dopo da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che, con uno strumento simile ma reso più selettivo dall’impiego di circuiti elettronici molto avanzati (la specialità del giovane Occhialini), osservarono due fenomeni già previsti da Dirac: la generazione di coppie di elettroni e positroni prodotti direttamente dalla radiazione, e l’annichilazione, il processo nel quale particelle e antiparticelle riunite sparivano emettendo radiazione.
Nella lezione che tenne, ricevendo il premio Nobel nel 1933, Dirac ipotizzò l’esistenza dell’antiprotone, o protone negativo. Gli acceleratori di particelle oggi generano antiprotoni, antineutroni e antimesoni. Nella visione di Dirac, come verificato dalla fisica sperimentale, ogni particella elementare ha un complementare, un’antiparticella. Se l’elettrone è un piccolo rilievo, una goccia nello spazio, la sua antiparticella, il positrone, è una fossa, una lacuna. Particella e antiparticella possono essere create o distrutte solo in coppia e la loro somma è radiazione. Questi eventi di creazione e annichilazione di coppie si realizzano oggi normalmente nei grandi acceleratori e vengono osservati con raffinati strumenti negli apparati sperimentali.
L’equazione di Dirac, una delle cattedrali della scienza, spianò la strada allo studio dell’antimateria e inaugurò un periodo fertilissimo di scoperte. La caccia alle antiparticelle era iniziata. Il passo successivo era dimostrare l’esistenza dell’antiprotone. Questa era messa in dubbio da un valido argomento: nell’Universo non c’è simmetria tra materia e antimateria. Inoltre, per produrre l’antiprotone è necessaria un’energia molto maggiore a quella necessaria a produrre positroni.

c.
Il laboratorio Berkeley come appariva nel 1955. Il Bevatron si trova sotto la cupola centrale.
d.
Da sinistra Emilio Segrè, Clyde Wiegand, Edward Lofgren, Owen Chamberlain e Thomas Ypsilantis, i componenti del gruppo che scoprì l’antiprotone. Lofgren era responsabile dell’acceleratore.

Nel 1955 a Berkeley, in California, fu messo in funzione il più potente acceleratore mai costruito fino a quel momento (vd. Asimmetrie n. 6, ndr). Proposto da Ernest Lawrence, il Bevatron era capace di raggiungere 6,2 GeV (allora il miliardo di elettronvolt, il GeV di oggi, era chiamato BeV, da cui il nome dell’acceleratore). Lawrence era cosciente del fatto che questa era l’energia necessaria per superare la soglia di produzione degli antiprotoni.
Emilio Segrè era stato il primo studente a laurearsi con Fermi all’Università di Roma. Anche Owen Chamberlain aveva studiato con Fermi ed era diventato poi assistente di Segrè durante il progetto Manhattan. Insieme progettarono un labirinto di magneti e contatori elettronici attraverso i quali potevano passare solo antiprotoni. L’ingegnoso esperimento usava rivelatori e dispositivi elettronici che per l’epoca erano di frontiera. “Dovemmo selezionarli e pesarli in molto meno di un milionesimo di secondo”, spiegò in seguito Segrè.
Nell’ottobre del 1955, lui e i suoi collaboratori bombardarono un bersaglio di rame con i protoni accelerati dal Bevatron. Si contarono 60 particelle identiche ai protoni, ma con carica elettrica negativa: 60 antiprotoni!

e.
Un antiprotone (traccia colorata artificialmente in azzurro) entra in una camera a bolle dal basso e colpisce un protone. L’energia rilasciata nell’annichilazione produce quattro particelle positive (pioni in rosso), quattro particelle negative (pioni in verde). La traccia gialla è un muone, prodotto di decadimento di uno dei pioni da cui ha origine. I ricci blu sono prodotti da elettroni di bassa energia, da reazioni che non hanno a che vedere con l’antiprotone.
f.
L’evento chiamato “Faustina”, trovato nel febbraio 1955 dal gruppo di ricerca guidato da Edoardo Amaldi in una delle emulsioni fotografiche esposte ai raggi cosmici durante la spedizione in Sardegna del 1953, è interpretabile come processo di “produzione, cattura e annichilamento di un protone negativo”.

Iniziarono anche altre ricerche indirizzate, ad esempio, verso la scoperta del primo antinucleo (vd. “Primo passo verso l’antinucleo” p. 12, ndr), e si scatenò da allora la fantasia dei narratori di fantascienza e non solo. La stampa locale, il Berkeley Gazette, usciva con un titolo preoccupato: “Minacciosa scoperta all’Università di California”.
Pare che al giornalista fosse stato detto che un antiprotone avrebbe causato l’esplosione di chi ne fosse venuto a contatto. Oggi miliardi di antiprotoni vengono prodotti normalmente al Cern di Ginevra e al laboratorio Fermi di Chicago, senza alcun pericolo. Poco dopo la scoperta dell’antiprotone Oreste Piccioni individuò l’antineutrone. Erano anni di vera passione scientifica tra grandi scoperte teoriche e sperimentali. Oreste Piccioni ebbe un importante ruolo anche nella scoperta dell’antiprotone, come ricordarono Segrè e Chamberlain nel ricevere il premio Nobel. Ma il suo contributo di grande fisico sperimentale resta storicamente l’elegantissima misura che, studiando la reazione di scambio della carica in cui un protone e un antiprotone danno un neutrone e un antineutrone, dimostrò l’esistenza dell’antineutrone. La teoria di Dirac richiede che ogni particella abbia un partner di antimateria di massa uguale e carica elettrica opposta. Ogni particella ha la sua “anti”. I protoni sono composti da quark.
Analogamente gli antiprotoni sono composti da antiquark. In questo modo è possibile produrre la famiglia completa di antiparticelle. Vengono chiamate particelle di Dirac le particelle che hanno un complementare di antimateria. Nel 1937 il giovane fisico Ettore Majorana pubblicò il suo lavoro scientifico più famoso, Teoria simmetrica di elettroni e positroni, in cui si introduce l’ipotesi rivoluzionaria che il partner di antimateria di alcuni tipi di particelle siano loro stesse. Questo era in contraddizione con ciò che Dirac aveva proposto. Majorana suggerì che il neutrino, da poco introdotto da Pauli e Fermi per spiegare le caratteristiche del decadimento con elettroni di alcune sorgenti radioattive, fosse un esempio di particella capace di essere l’antiparticella di se stessa.

g.
Questa immagine, ottenuta nel 1958 nella camera a bolle di Berkeley, dimostra l’esistenza dell’antineutrone, l’antiparticella del neutrone. Nel punto segnato dalla freccia nera un antiprotone prodotto dall’acceleratore subisce una reazione di scambio della carica. L’antineutrone prodotto non lascia una traccia visibile, percorre una decina di centimetri prima di annichilare in una caratteristica stella di annichilazione. L’energia rilasciata è consistente con quella che ci si aspetta quando le massa a riposo di un neutrone e di un antineutrone vengono convertite in energia.
h.
L’esperimento Cuore presso i Laboratori del Gran Sasso dell’Infn, di cui qui vediamo una colonna, è un rivelatore modulare costituito da 1.000 cristalli di ossido di tellurio disposti in una matrice quadrata di 25 colonne, ciascuna delle quali contiene 40 cristalli di TeO2 di 5x5x5 cm3. Questi, a una temperatura di ca. 7-10 mK, molto vicino allo zero assoluto, fungono sia da rivelatore che da sorgente di 130Te. L’esperimento permetterà di studiare con grande sensibilità il decadimento raro, con due elettroni senza neutrino, del 130Te. La misura delle caratteristiche di questo decadimento senza neutrini indicherà se il neutrino è una particella di Majorana e aiuterà a spiegare l’asimmetria particella-antiparticella nell’Universo. L’osservazione di questo decadimento avrà sulla fisica, sull’astrofisica e sulla cosmologia un impatto molto profondo.

I neutrini non hanno carica, non necessariamente si comportano come i quark e gli elettroni e le altre particelle di Dirac. L’assenza di carica permette l’ipotesi che il neutrino e l’antineutrino siano la stessa particella. Ettore Majorana propose questa idea e una particella che coincide con la sua antiparticella viene chiamata particella di Majorana.
La scoperta della massa del neutrino ha messo questo tema in primo piano. Per ordinare il neutrino all’interno del modello teorico chiamato Modello Standard è necessario sapere se i neutrini sono particelle di Dirac o particelle di Majorana. Oggi, moderni e raffinati esperimenti sono tesi a chiarire questo particolare aspetto dei neutrini.
Dai primi lavori di Dirac sono trascorsi ottanta anni, l’idea dell’antimateria è ancora sorprendente e affascinante perchè l’Universo appare composto completamente di materia. L’antimateria sembra andar contro tutto ciò che sappiamo a proposito dell’Universo. L’Universo è completamente composto di materia anche se nel Big Bang sono state create quantità uguali di materia e antimateria. Perché?
Tutte le particelle di materia e antimateria dovrebbero essere annichilite lasciando solo fotoni, ma in qualche modo una piccolissima frazione della materia ha potuto sopravvivere per creare l’Universo come lo conosciamo.
È uno dei più grandi misteri della fisica moderna.

Biografia
Andrea Vacchi dirige la sezione di Trieste dell’Infn. È tra gli iniziatori dell’esperimento Infn Pamela per la ricerca di antimateria nei raggi cosmici. È direttore editoriale di Asimmetrie.


Link

http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1933/dirac-bio.html
http://www.upscale.utoronto.ca/GeneralInterest/Harrison/AntiMatter/AntiMatter.html

 

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Il grande passo dell'antimateria nucleare
La scoperta dell’antideuterio al Cern.
di Antonino Zichichi

“Coloro i quali dicono che l’antidrogeno è antimateria debbono riflettere su un dettaglio: beviamo acqua, non idrogeno liquido”. Sono le parole di Paul Dirac a un gruppo di fisici riuniti attorno a colui che, con un’equazione, aprì orizzonti nuovi alle umane conoscenze.
Per avere l’acqua non basta l’idrogeno. Ci vuole anche l’ossigeno, il cui nucleo è fatto con 8 protoni e 8 neutroni. L’idrogeno è l’unico elemento della Tavola di Mendeleev fatto con due particelle cariche, l’elettrone e il protone, senza alcun bisogno che entrino in gioco le forze nucleari. Il primo esempio di elemento per la cui esistenza sono necessarie le forze nucleari è l’idrogeno pesante, il cui nucleo è fatto con un protone e un neutrone. Queste due particelle, per stare insieme, hanno bisogno della “colla nucleare”. Dall’idrogeno pesante in su, tutti gli elementi della tavola chimica, hanno bisogno, per esistere, del neutrone. Senza neutroni non potrebbe esistere altro che l’idrogeno leggero. Addio acqua. E addio materia a noi familiare.
Nella famosa battuta di Dirac ci stanno 70 anni di scoperte teoriche e sperimentali, la cui conclusione è che l’esistenza dell’antimateria nucleare si regge su basi esclusivamente sperimentali. Infatti – come messo in evidenza da T.D. Lee – il teorema CPT perde le sue basi alla scala di Planck (circa 1019 GeV) dove convergono tutte le forze fondamentali della Natura. Essendo la Teoria della Grande Unificazione l’origine di tutto, se CPT crolla sul livello energetico della Grande Unificazione, addio a tutto ciò che deriva da CPT.
Due parole sui tre operatori di invarianza CPT. Il primo a essere stato scoperto è C: esso dice che tutta la realtà fisica deve restare invariata se si scambiano le cariche additivamente conservate con le corrispondenti anticariche. Il primo esempio fu quello dell’elettrone e dell’antielettrone. L’operatore C venne introdotto da H. Weyl nel 1931.
L’operatore P (introdotto da E. P. Wigner, G. C. Wick e A. S. Wightman) dice che, scambiando i sistemi destrorsi con quelli sinistrorsi, i risultati di qualsiasi esperimento fondamentale non cambiano. L’operatore T (scoperto da Wigner, J.S. Schwinger e J.S. Bell) stabilisce che, invertendo l’asse del tempo, la realtà fisica resta inalterata.
Il formalismo matematico, noto come Relativistic Quantum Field Theory, costruito per descrivere una forza fondamentale della Natura possiede la proprietà di invarianza CPT: invertendo tutto non cambiano i risultati fisici. Riassumendo: se invertiamo tutte le cariche usando C, i tre assi dello spazio (x y z) usando P e l’asse del tempo usando T, tutto rimane come prima.
Adesso è necessario precisare che la materia è fatta di masse accoppiate con numeri quantici additivamente conservati (esempio: cariche elettriche, numeri leptonici, numeri barionici, cariche di “sapore” ecc.). Se a uno stato di materia applichiamo i tre operatori CPT otteniamo antimateria. Questo vuol dire che l’esistenza della materia, se vale il teorema CPT, implica l’esistenza dell’antimateria, e le masse di pezzi di materia debbono essere le stesse di quelle della corrispondente antimateria.
Supponiamo che la Natura debba obbedire alla legge di invarianza C. In questo caso l’esistenza della materia esige che deve esistere l’antimateria. Se però non vale l’invarianza C, l’esistenza dell’antimateria è garantita da CPT.

a.
Il professor Dirac circondato da giovani fisici a Erice, dopo una lezione in cui spiegava la differenza tra antiparticelle e antimateria. È in questa occasione che ha detto quanto riportato in apertura di questo articolo.
b.
Eugene P. Wigner, Antonino Zichichi, Paul Dirac (Erice, 1982).

Supponiamo che CP sia valida. Anche in questo caso l’esistenza della materia esige che deve esistere l’antimateria. Se però CP non vale, l’esistenza dell’antimateria è garantita da CPT. Se però crolla CPT, allora l’esistenza dell’antimateria è solo la fisica sperimentale a poterla garantire. Questa telegrafica rassegna non è un racconto, ma la sintesi di ciò che è effettivamente avvenuto nel corso di quasi 70 anni, a partire dal 1929 quando Dirac scoprì la sua equazione. H. Weyl scoprì C e si pensava che la scoperta dell’antielettrone da parte di C.D. Anderson e della produzione in coppia di elettroni e antielettroni da parte di P.M.S. Blackett e G. Occhialini ne fossero la prova. C’era poi l’eguaglianza delle vite medie dei muoni positivi e di quelli negativi.
Si andò così avanti con la scoperta dell’antiprotone (E. Segrè e altri), dell’antineutrone (O. Piccioni e altri) e infine del secondo mesone strano neutro, con lunga vita media (L.M. Lederman e altri).
Questo apparente trionfo degli operatori di invarianza andava in parallelo col successo nella identificazione di un formalismo matematico in grado di descrivere le forze fondamentali della Natura. Partendo dalle quattro equazioni di Maxwell e portando avanti il discorso era venuta fuori una costruzione meravigliosa, da noi già citata: la Relativistic Quantum Field Theory. Questo formalismo avrebbe dovuto essere in grado di descrivere non solo le forze elettromagnetiche (da cui aveva tratto le sue origini), ma anche le forze deboli e quelle nucleari. A reggere queste convinzioni erano due grandi conquiste: la prima formulazione matematica delle forze deboli, fatta da E. Fermi, e il trionfo di H. Yukawa con la scoperta della colla nucleare, grazie a C. Lattes, Occhialini e C. Powell. A questi straordinari successi fecero però seguito enormi difficoltà. Nella Quantum Electro-Dynamics i poli di Landau e la conclusione che la carica elettrica fondamentale (“nuda”) doveva essere zero; nelle forze deboli il fatto che ai livelli energetici di 300 GeV crollava l’unitarietà; nelle forze nucleari l’enorme proliferazione di mesoni e barioni. Questa proliferazione era totalmente fuori da qualsiasi comprensione in termini di Relativistic Quantum Field Theory. Ed è così che viene fuori un formalismo matematico che è la totale negazione del concetto di “campo”: la cosiddetta “matrice di scattering”, detta matrice-S.
Per la sua esistenza bastavano tre cose: analiticità, unitarietà e crossing. Perché complicarsi la vita con la Relativistic Quantum Field Theory se basta la matrice-S? Se però non c’è la Relativistic Quantum Field Theory, come la mettiamo con l’esistenza dell’invarianza rispetto a tutti gli operatori insieme, CPT? Ed ecco aprirsi un altro fronte.
Nel 1953 R.H. Dalitz tirò fuori il famoso (θ–τ) puzzle: due mesoni con proprietà identiche dovevano essere con parità opposte. Spinti da questo “puzzle” T.D. Lee e C.N. Yang analizzarono i risultati sperimentali nello studio delle forze deboli e scoprirono che non esisteva alcuna prova a conferma della validità di C e P nelle interazioni deboli. Nel giro di un anno C.S. Wu scoprì che le leggi di invarianza C e P vengono violate nelle interazioni deboli. Come la mettiamo con l’esistenza dell’antimateria? Venne così fuori l’idea di L.D. Landau: se ciascun operatore C e P è violato, il loro prodotto CP può essere conservato.

c.
John S. Bell a Erice nel 1963.
d.
Lee durante la sua lezione in cui spiega perché il teorema CPT perde la sua validità alla Scala di Planck (a sinistra nella foto Melvin Schwartz, all’estrema destra Isidor I. Rabi).

L’esistenza dell’antimateria è garantita dalla validità di CP. Si arriva così al 1964, anno in cui viene scoperta la violazione di CP nel decadimento dei mesoni neutri strani. C’è un piccolo dettaglio su cui si è sempre sorvolato. Nel 1957, prima che venisse sperimentalmente scoperta la violazione di P e C, in un lavoro da pochi letto (o capito) Lee, R. Oehme e Yang avevano messo in evidenza che – contrariamente a quanto da molti detto e ripetuto – l’esistenza dei due mesoni neutri strani θ1 e θ2 non era prova né della validità di C né di P né del loro prodotto CP.
La rottura di CP coinvolge quella di T se vogliamo che rimanga integro il prodotto CPT. Per alcuni dei padri fondatori della fisica moderna l’invarianza rispetto all’inversione del tempo, a livello delle leggi fondamentali, doveva restare intoccabile. Quindi doveva crollare CPT. Dopotutto perché no. In fondo il baluardo di CPT era la Relativistic Quantum Field Theory, ma adesso questo formalismo matematico sembrava dovesse cedere il passo alla matematica della matrice-S.
Il crollo degli operatori di invarianza (C, P, CP) e l’apparente trionfo della matrice-S erano accoppiati a risultati sperimentali i quali dicevano che di antideutoni non c’era traccia nonostante fossero prodotti dieci milioni di pioni.
Ero a Dubna quando, nel 1964, Jim Cronin presentò i risultati del suo lavoro. Avevo alla mia destra Bruno Touschek e alla mia sinistra Bruno Pontecorvo. Entrambi mi dissero: “E questi hanno perso la loro reputazione”. A quella novità che metteva in crisi l’invarianza CP furono pochi a crederci. Tra questi però c’era Dirac: la prese sul serio ed entrò in una fase di grande depressione scientifica. Lui, famoso per la sua prudenza, aveva giurato sull’invarianza C. Adesso crollava addirittura CP. E per avere il primo esempio di antimateria era necessario salvare CPT, quindi invocare la violazione di T. Le uniche cose da fare erano di natura tecnologico-sperimentale. E infatti la scoperta dell’antimateria ha richiesto la costruzione del più potente fascio di particelle negative nel protosincrotone del Cern e l’invenzione di una tecnica nuova per riuscire a misurare con precisione, mai prima realizzata, i tempi di volo delle particelle cariche. È così che siamo riusciti a scoprire che un antideutone viene prodotto non dopo dieci milioni, bensì dopo cento milioni di pioni.
Per capire l’importanza di questa scoperta è necessario avere le idee chiare su cosa si deve intendere per materia. Le particelle non bastano per costruire la materia. Ci vuole anche la colla. Usando quella elettromagnetica si fanno atomi e molecole. Per fare i nuclei ci vogliono protoni, neutroni e colla nucleare. È come se avessimo mattoni. Per costruire una casa ci vuole la colla, non bastano i mattoni. La materia corrisponde alla casa, non ai mattoni e basta.
Se, grazie a determinate leggi, sappiamo che devono esistere mattoni e antimattoni, tutto ciò che si può fare è avere mucchi di mattoni e mucchi di antimattoni. Non case e anticase. Se la realtà in cui viviamo ci dice che esistono le case; per essere sicuri che debbano esistere le anticase ci vuole una legge che stabilisca l’esistenza delle anticolle esattamente identiche alle colle che permettono ai mattoni di incollarsi per fare le case. Affinché questo avvenga è necessaria la validità della legge di invarianza CPT.
Oggi sappiamo che tutte le forze fondamentali convergono all’energia di Planck, dove non vale più l’invarianza CPT. D’altronde se al “punto” sostituiamo la “cordicella” le cose non cambiano: la Relativistic Quantum String Theory non riesce a tirar fuori la validità di CPT. Questo vuol dire che non c’è teoria che possa garantire, partendo dall’esistenza delle “case”, che devono esistere le “anticase”. Ecco perché la certezza che oltre all’antidrogeno devono esistere tutti gli antiatomi con i loro antinuclei nasce da quell’esperimento fatto al Cern nel marzo del 1965. Ed ecco perché vorrei chiudere con la citazione di Heisenberg che Lee ha fatto a Bologna, nella sua lezione d’apertura al simposio celebrativo del 30° anniversario della scoperta dell’antimateria: “Nel suo libro The Physicist’s Conception of Nature Werner Heisenberg scrive: ‘Penso che la scoperta dell’antimateria sia forse il maggiore dei grandi salti nella fisica del nostro secolo’. Ora, Heisenberg ha scoperto la meccanica quantistica nel 1925. Dal 1972, egli è stato testimone di quasi tutti i grandi salti della fisica moderna. Ebbene egli classificherebbe la scoperta dell’antimateria come il più grande di tutti i salti”.

Approfondimento
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Biografia

Antonino Zichichi. Fondatore del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana e autore del progetto dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn è tra i protagonisti della ricerca di fisica sperimentale italiana. Mentre nel 1978 era alla guida del gruppo di studio per nuovi acceleratori dell’Ecfa (European Committee for Future Accelerators), fu elaborato, su sua proposta, il progetto per una macchina da 27 km di circonferenza, da cui nacque prima il Lep e in seguito Lhc.


Link

http://www.ccsem.infn.it

 

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Antiparticelle accelerate
Come usiamo l’antimateria per la ricerca con gli acceleratori.
di Mario Calvetti


a.
Foto storica di Ada, il primo anello di accumulazione elettroni-positroni.
La scoperta dell’antimateria cambiò in modo straordinario la nostra visione della Natura. Improvvisamente un altro Universo sembrò possibile, costruito con antiprotoni, antineutroni e antielettroni. Il nostro “mondo” era quindi solo uno dei due modi possibili di esistenza: un antiuomo, in una antiterra, avrebbe potuto mangiare un’anticioccolata e sentire esattamente lo stesso sapore, perché le leggi della chimica sono le stesse. Ma queste, almeno per ora, sono solo visioni da fantascienza.
In realtà l’antimateria, infatti, non è presente abbondantemente in Natura: la si trova nei raggi cosmici, nei prodotti di decadimento di alcune sostanze radioattive e vive solo brevemente, perché viene distrutta entrando in contatto con la materia ordinaria. Ma gli scienziati sono riusciti a produrla “artificialmente” e oggi l’antimateria viene usata nei laboratori di ricerca di tutto il mondo. Il suo uso ha permesso una straordinaria serie di scoperte che hanno portato alla descrizione della struttura profonda della Natura, dell’evoluzione del Cosmo e delle sue leggi. Ripercorriamo insieme questa storia.
Tutto cominciò nel 1961 con il progetto Ada (Anello di Accumulazione), proposto dal fisico austriaco Bruno Touschek nei Laboratori Nazionali di Frascati (vd. fig. a). L’idea era di far circolare in senso opposto particelle e antiparticelle, in uno stesso tubo vuoto, immerse in un campo magnetico adeguato, in modo che potessero incontrarsi in volo. Quando un elettrone e un positrone entrano in collisione, tutta la loro energia, compresa quella della loro massa, viene istantaneamente concentrata nel punto di collisione. Si forma una bolla di energia di alta densità, simile a quella che si pensa sia stata presente poco dopo il Big Bang. Più alta è l’energia delle particelle incidenti e più alta è l’energia depositata. Questa bolla di energia, di carica elettrica nulla (perché la carica elettrica totale si conserva sempre) è pronta a obbedire alle leggi della Natura che regolano le trasformazioni di energia in massa, e si “scatena” creando tutte le possibili particelle e antiparticelle che prima non esistevano: è la creazione della materia.
b.
Un evento registrato dall’esperimento UA1 al Cern. Si vedono le tracce delle particelle prodotte nell’interazione protone-antiprotone. Le due tracce bianche, che attraversano i rettangoli bianchi, sono l’elettrone e il positrone creati nel decadimento di uno Z° prodotto nel punto d’interazione. L’area dei rettangoli è proporzionale all’energia delle particelle.

La meccanica quantistica ci dice che per breve tempo l’energia totale può non conservarsi. Si tratta del principio di indeterminazione, per cui particelle molto pesanti possono essere prodotte, esistere nel breve tempo dell’interazione e influire sui risultati degli esperimenti. Il progetto Ada dimostrò che era possibile costruire questo tipo di macchine. Furono anche scoperti alcuni fenomeni importanti relativi al funzionamento di questo tipo di acceleratori. Sull’onda di questo successo si costruì a Frascati un acceleratore più grande chiamato Adone. Era l’inizio di una nuova era che avrebbe portato alla costruzione di decine di “anelli di accumulazione” nel mondo intero e permesso una serie di scoperte che hanno forgiato la nostra comprensione del mondo.
La prima grande scoperta fu l’abbondante produzione di particelle nelle annichilazioni elettrone-positrone, vista da Adone per la prima volta. Questo ha portato a capire, tra l’altro, che i quark (che sono per noi, ad oggi, alcuni dei mattoni fondamentali della materia), oltre ad avere una carica elettrica frazionaria, hanno anche un altro tipo di carica detta di “colore”, molto importante per la descrizione delle forze nucleari.
Nel 1974, con la scoperta e lo studio della particella J/Ψ negli Stati Uniti, osservata anche a Frascati con Adone pochi giorni dopo l’annuncio, iniziò una nuova fase nella sperimentazione in fisica delle particelle. A energia più elevata, sempre in annichilazioni elettroni-positroni presso il laboratorio Slac (Stanford Linear Accelerator Center) in California, fu osservato per la prima volta l’elettrone pesante tau che, insieme al normale elettrone e al muone mu, forma un terzetto di elettroni di masse crescenti, particelle identiche rispetto all’interazione debole (quella responsabile, ad esempio, del decadimento del neutrone). Era la prima manifestazione della terza famiglia dei leptoni che, insieme alle tre famiglie di quark e le corrispondenti anti-famiglie, sono, secondo il cosiddetto Modello Standard, gli elementi fondamentali, indivisibili, con i quali si possono costruire tutte le particelle conosciute. L’uso dell’antimateria negli acceleratori ha quindi portato alla verifica sperimentale di molti aspetti di questa teoria della fisica delle particelle.

Sempre secondo il Modello Standard tutte le particelle interagiscono tra loro attraverso lo scambio di altre particelle, che sono emesse e assorbite dai quark e dai leptoni. Queste particelle sono i gluoni per le forze nucleari, i fotoni e i bosoni Z°, W+ e W- per le forze elettromagnetiche e deboli. Ebbene, a parte il fotone, anche queste particelle sono state scoperte usando anelli di accumulazione materia-antimateria. Il gluone fu visto nei frammenti delle annichilazioni elettroni-positroni, allo Slac e a Desy (ad Amburgo, in Germania), attraverso la produzione di sciami di particelle (detti in gergo jet).
La tecnologia degli acceleratori stava intanto progredendo, le dimensioni e le energie disponibili nella “bolla di energia” stavano crescendo. Verso la fine degli anni ’70 divenne possibile produrre e immagazzinare abbastanza antiprotoni da poterli usare per la sperimentazione con gli anelli di accumulazione.
Nel 1978 fu approvato il progetto proposto da Carlo Rubbia per la conversione del Super Proto Sincrotrone del Cern in un anello di accumulazione protoni-antiprotoni. Il progetto era basato sulla possibilità di immagazzinare abbastanza antiprotoni usando la tecnica del “raffreddamento stocastico” (vd. approfondimento "Come si distilla l’antimateria?”, ndr). Con questa tecnica, proposta da Simon Van Der Meer, che con Rubbia ha diviso il premio Nobel, si potevano accelerare gli antiprotoni lenti e rallentare quelli veloci, in modo da poterli mettere insieme in pacchetti molto densi prima di infilarli nell’acceleratore proposto. Con questo nuovo acceleratore le particelle W+, W- e Z° sarebbero state prodotte in numero sufficiente da poter essere scoperte e così fu (vd. fig. b).
Negli stessi anni furono approvati i progetti per la costruzione dell’acceleratore Lep (collisionatore elettroni-positroni) in 27 km di tunnel 100 metri sotto terra al Cern, e del Tevatron (collisionatore protoni-antiprotoni ma a energia più elevata) al Fermilab negli Stati Uniti. Al Tevatron è stato scoperto il quark top, l’ultimo mancante all’appello, e si sta ancora dando la caccia all’ultima importantissima particella, necessaria per confermare la teoria del Modello Standard, il bosone di Higgs.

c.
Il tunnel dell’acceleratore Lep del Cern, il più grande anello di accumulazione elettroni-positroni che sia possibile costruire. Pronipote di Ada, ha una circonferenza di 27 km sotto la città di Ginevra, in Svizzera.

Misurando i decadimenti della Z0 al Lep, i decadimenti del mesone B a Stanford e in Giappone, sono stati misurati con grande precisione i parametri della teoria mettendo le basi per possibili future scoperte.
Oggi ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn abbiamo Dafne, acceleratore di elettroni e positroni di alta intensità, la più alta mai realizzata a bassa energia. L’esperimento Kloe installato su Dafne, ha misurato con grande precisione numerosi parametri della teoria osservando i decadimenti della materia e dell’antimateria (vd. A caccia di asimmetrie, ndr).
Ancora, il più grande acceleratore mai pensato, oggi nella fase di progetto, sarà un acceleratore lineare per elettroni e positroni (Ilc – International Linear Collider), e nuove macchine come “fattorie” di mesoni sono in fase di studio: uno in Giappone, con il potenziamento dell’acceleratore esistente, e uno in prossimità di Roma, il progetto SuperB.
L’antimateria, così sfuggente per noi, ha dato e sta ancora dando contributi fondamentali per la comprensione delle leggi della Natura. La grande avventura continua.

[as] approfondimento
Come si distilla l’antimateria?

1.
Produzione dei positroni: facendo incidere un elettrone (e-) contro un materiale ad alto numero atomico si produce uno sciame di positroni (e+), fotoni (γ) ed elettroni (e-). Con l’ausilio di magneti, i positroni vengono raccolti e guidati verso una struttura accelerante da un lato, gli elettroni dall’altro.
 

Un fascio di particelle, per essere accelerato o portato a collidere con alta efficienza contro un altro fascio, deve essere composto di “pacchetti” di particelle di altissima densità. Un numero estremamente alto di particelle deve essere confinato in un volume di frazione di millimetri cubi e viaggiare a velocità quasi uguali nella stessa direzione di moto. Le particelle, cioè, devono rimanere estremamente “parallele”, in modo da muoversi tutte insieme, senza tendere a disperdersi più di quanto le lenti magnetiche che le guidano possano tenerle raccolte. Se questo è possibile per le particelle di materia ordinaria, come elettroni e protoni, grazie alla loro abbondanza, non è altrettanto facile da ottenere per le loro antiparticelle, cioè positroni e antiprotoni. Le antiparticelle possono essere prodotte facendo interagire ad altissima energia le particelle “normali” con materiali di alto numero atomico (come ad esempio il tungsteno). Nel caso degli elettroni (vd. fig. 1), quando uno di essi si scontra con un nucleo, che è carico positivamente, viene fortemente deflesso, causando l’emissione di un fotone di alta energia, che a sua volta, nel campo di un nucleo, può con notevole probabilità creare una coppia elettrone-positrone. Ognuno di questi elettroni e positroni che si sono creati può dare origine allo stesso processo. Si ha cioè la formazione di uno sciame di particelle (elettroni, fotoni e positroni) che cresce di numero anche se diminuisce l’energia media di ogni particella. Adeguando lo spessore del materiale si può produrre il massimo numero di particelle alla sua uscita e, con delle lenti magnetiche, sarà poi possibile raccogliere i positroni e guidarli verso una struttura accelerante. Ovviamente non tutti i positroni prodotti avranno l’energia e la direzione adatta per essere raccolti, ma la frazione che si ottiene usando come “materiale-bersaglio” il tungsteno può arrivare a parecchi percento del numero di elettroni incidenti. Per gli antiprotoni, il meccanismo di produzione è molto simile. Anche in questo caso si fanno interagire protoni di altissima energia con un materiale di alta densità. Tuttavia, il processo fisico alla base è diverso, poiché quello che si ottiene è una cosiddetta cascata adronica, in cui vengono prodotti un gran numero di mesoni π, molti mesoni K, insieme a neutroni, protoni e antiprotoni. Gli antiprotoni possono essere selezionati e raccolti sempre utilizzando campi magnetici, ma il loro piccolo numero e la loro grande differenza in energia e direzione di volo richiede l’accumulo in un anello intermedio, prima di essere ri-accelerati nell’acceleratore principale. Qui deve essere anche effettuata l’operazione di raffreddamento stocastico che serve a ridurre le dimensioni del pacchetto di antiprotoni e a rendere il più possibile parallele le loro traiettorie. Questa tecnica consiste nel misurare lo spostamento degli antiprotoni dalla loro posizione ideale in un determinato punto dell’acceleratore. Questa informazione viene poi usata per elaborare un segnale di correzione, che sposta gli antiprotoni verso la posizione corretta. L’elettronica di misura non può identificare la singola particella, ma solo lo spostamento medio di un gruppo casuale di antiparticelle. Tuttavia, dopo un certo numero di interazioni, gli antiprotoni hanno praticamente tutti la stessa velocità e risulta possibile metterli assieme in pacchetti molto densi. [Michele Castellano]

Biografia
Michele Castellano è dirigente di ricerca dell’Infn presso i Laboratori Nazionali di Frascati. Ha partecipato allo studio delle interazioni elettronipositroni su Adone e si è poi dedicato alla fisica degli acceleratori e ai Laser ad Elettroni Liberi.

Biografia
Mario Calvetti insegna Fisica Generale all’Università di Firenze. Ha partecipato alla prima osservazione della J/Ψ a Frascati, alla prima accumulazione di antiprotoni al Cern, alla scoperta delle particelle W± e Z0 e alla scoperta della violazione diretta di CP. Attualmente è direttore dei Laboratori Nazionali di Frascati.

 

Link
http://www.lnf.infn.it/
http://www.slac.stanford.edu/
http://www.fnal.gov/
http://www.cern.ch/
http://www.desy.de/

 

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[as]
CP, la simmetria imperfetta.

Richard Feynman, in una sua famosa lezione, provocò così i suoi studenti: “Supponete di poter comunicare con un alieno di una lontanissima galassia: potete escogitare qualcosa per sapere se è composto di materia o di antimateria?”. La via alla soluzione passa per le proprietà di tre fondamentali trasformazioni applicabili alla nostra realtà: parità (P), coniugazione di carica (C) e inversione temporale (T). Per lungo tempo si è ritenuto che queste tre trasformazioni fossero delle vere e proprie “simmetrie”: applicate alla realtà fisica, singolarmente o in successione, producono sistemi descritti da equazioni che rimangono invariate. Ebbene, queste simmetrie sono soddisfatte quando sono in gioco interazioni elettromagnetiche o forti ma, se esaminiamo processi regolati dalle interazioni deboli (come nel caso del decadimento beta del neutrone, fig. 1), ciò non è affatto vero.
P. Se c’è “simmetria di parità” allora, cambiando verso ai tre assi del riferimento cartesiano che misura le tre coordinate di ogni punto dello spazio, le leggi della fisica non cambiano. Nel 1957, però, il gruppo condotto da Chien Shiung Wu studiò il decadimento beta del neutrone in nuclei di cobalto, e scoprì che applicando ad esso la trasformazione P si inverte la distribuzione nello spazio delle particelle finali e si produce un antineutrino sinistrorso, che non esiste in Natura (fig. 2): nel caso di questi decadimenti, il mondo “allo specchio P” è perciò irreale.
C. Se adesso ci inventiamo un altro “specchio”, che non inverte coordinate spaziali ma sostituisce a tutte le particelle le corrispondenti antiparticelle, allora gli elettroni diventano positroni, i protoni diventano antiprotoni, i neutrini diventano antineutrini, e così via. Anche questa simmetria viene però violata nell’esempio da noi scelto, il decadimento beta del neutrone dove, applicando la trasformazione C, si produce un neutrino destrorso, che non esiste in Natura (fig. 3).
CP. Riavutisi dallo sgomento seguito alla scoperta delle violazioni di C e P, se applicate singolarmente, i fisici notarono che tutti i processi elementari allora noti erano coerenti se effettuati in un anti-laboratorio (cioè un laboratorio allo “specchio C”), purché visto nello “specchio P”: cioè le simmetrie C e P erano violate se applicate singolarmente, mentre la simmetria “composta” CP si conservava (fig. 4).

Fine della storia? No. Nel 1964 James W. Cronin e Val L. Fitch scoprirono che i mesoni KL, che sarebbero dovuti decadere solo in tre pioni, potevano eccezionalmente decadere in due pioni. In questo secondo caso si può dimostrare che c’è “violazione di CP”. Questa asimmetria appare più evidente in altri due modi di decadimento dei KL, uno lo “specchio CP” dell’altro, con un elettrone o con un positrone tra i prodotti finali. Se CP fosse una simmetria rigorosamente valida, il KL dovrebbe decadere con eguale probabilità nei due modi: invece se i decadimenti con elettroni finali sono 1.000, saranno 1.006 quelli con positroni. La simmetria CP è violata: la Natura sa distinguere tra materia e antimateria! E se l’alieno di Feynman ci informa che, facendo lo stesso esperimento, scopre che le particelle meno frequenti (i “nostri” elettroni) sono anche tra i costituenti dei i “suoi” atomi, allora sapremo che è fatto di materia.
T. I fisici hanno allora pensato anche a un terzo “specchio”, ancora più bizzarro, che inverte la “freccia del tempo”, facendo scorrere i fenomeni a ritroso. Per quanto possa sembrare strano, i processi elementari sono realistici anche se “facciamo scorrere il film all’indietro”, ma con qualche eccezione che, guarda caso, coinvolge sempre le interazioni deboli: invertendo la freccia del tempo in alcuni decadimenti, infatti, si ottengono dei processi che non esistono in Natura.
CPT. Nel 1954 Gerhard Lüders riuscì a dimostrare un fondamentale teorema, il teorema CPT: se a partire dal nostro universo ne immaginiamo un secondo, con scambio particelle-antiparticelle, a partire da esso un terzo, invertendo il segno a tutte le coordinate spaziali, e infine un quarto, invertendo lo scorrere del tempo, giungiamo a un universo realistico, senza contraddizioni, anche in presenza delle interazioni deboli. CPT è dunque una simmetria universale? Finora sembra di sì, tutti gli esperimenti confermano l’invarianza CPT. [Crisostomo Sciacca]

a.
Una rappresentazione schematica del decadimento beta del neutrone (fig. 1). Lo stesso processo sottoposto a trasformazioni di parità (fig. 2) o di coniugazione di carica (fig. 3): i processi che si ottengono applicando singolarmente queste due trasformazioni non sono ammessi in Natura. Se invece le trasformazioni si applicano in modo combinato (fig. 4), allora il processo così ottenuto è possibile: il decadimento beta del neutrone è simmetrico per CP. Per il neutrino, oltre alla velocità è raffigurato lo spin, la sua “rotazione”: in Natura il neutrino è solo “sinistrorso” (se racchiudiamo leggermente la mano sinistra, il pollice ne indica la velocità e le altre dita ne danno il “verso di rotazione”), mentre gli antineutrini sono solo “destrorsi”, come la vite che avanza ruotando in senso orario.

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A caccia di asimmetrie
Grandi esperimenti per scoprire piccole violazioni.
di Fernando Ferroni

a.
La nebulosa Occhio di Gatto. Al momento del Big Bang materia e antimateria furono prodotte nella stessa quantità, ma oggi ciò che conosciamo nel nostro Universo è fatto di materia. L’antimateria originaria sembra così scomparsa.

In fisica il concetto di simmetria gioca un ruolo fondamentale. In particolare nella meccanica quantistica, la teoria deputata a descrivere i fenomeni che avvengono nell’infinitamente piccolo, cioè a livello nucleare e subnucleare. È quasi ironico che, in un mondo dove tutte le leggi che lo governano sono figlie di una simmetria, ci sia una asimmetria fondamentale: quella tra materia e antimateria. Ad oggi non c’è alcuna evidenza che nell’Universo ci siano regioni composte di antimateria, tuttavia questa assenza è un fatto abbastanza misterioso. All’inizio del tempo, infatti, quando il Big Bang avvenne, necessariamente si produsse un’analoga quantità di materia e antimateria. Questo lo possiamo verificare quotidianamente nei nostri acceleratori di particelle dove l’annichilazione di un elettrone con la sua antiparticella, il positrone, produce stati finali assolutamente simmetrici rispetto alla quantità di materia e antimateria. La prova che all’inizio l’Universo fosse simmetrico è data inoltre dal cosiddetto fondo di microonde a 3  kelvin che lo permea (vd. Asimmetrie n.4, ndr). Esso è composto di fotoni, quelli creati nell’evoluzione iniziale dell’Universo dall’annichilazione delle particelle con le loro antiparticelle. Essi erano allora molto energetici ma il lungo cammino che hanno percorso, nei quasi 14 miliardi di anni di vita, per effetto dell’espansione dell’Universo seguita al Big Bang, li ha fatti diventare “freddi”, cioè di bassa energia. Bisogna anche dire che in un Universo totalmente simmetrico non saremmo ammessi noi, osservatori fatti di materia! Solo i fotoni dovrebbero esistere, mentre tutte le particelle dotate di massa dovrebbero aver subito il processo di annichilazione. Ma noi esistiamo e così i pianeti, le stelle e le galassie. Insomma, la materia c’è, persino quella “oscura”! Questo vuol dire che una parte delle particelle, quelle di un determinato “segno” (la materia, appunto), sono sopravvissute. Se le contiamo, vediamo però che esse sono straordinariamente poche: un protone ogni 100 milioni di fotoni. C’è dunque una violazione della simmetria tra materia e antimateria, ma da questo ultimo dato si deduce che essa debba essere molto piccola. Le particelle cioè si devono comportare in maniera impercettibilmente diversa dalle antiparticelle. Si è supposto che ciò si potesse attribuire a una differenza di comportamento tra particelle e antiparticelle per quanto riguarda le proprietà della coniugazione di carica (C) e della parità (P): questa differenza nel comportamento viene chiamata violazione CP (vd. CP, la simmetria imperfetta., ndr).
Alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo tutti erano convinti che la simmetria CP fosse inviolabile. Si pensava, cioè, che una particella riflessa da uno specchio si comportasse come la sua antiparticella davanti allo specchio. Due fisici statunitensi, Jim Cronin e Val Fitch, attaccarono questo tabù, e il coraggio fu premiato. La violazione fu osservata come un effetto minuscolo nel decadimento di un particolare tipo di particelle, i mesoni K0. Esistono due stati di mesoni K0: i “corti” (KS), a vita breve che generalmente decadono in 2 pioni, e i “lunghi” (KL), a vita medio-lunga, appunto, che decadono di solito in 3 pioni. Ciò che si trovò fu che il decadimento dei mesoni K0 “lunghi” produceva due pioni con una frequenza bassissima ma che corrispondeva comunque a un minuscolo effetto di violazione di CP. Così minuscolo che non a caso la scoperta della violazione di CP è del 1964 ma il successivo progresso significativo si è avuto dopo quasi 30 anni!
Una delle conseguenze di questo fondamentale esperimento, premiato col Nobel, fu la formulazione di Andrej Sacharov delle condizioni necessarie per spiegare l’asimmetria tra materia e antimateria nell’Universo. In breve esse sono: prima, l’esistenza del decadimento del protone (assai raro visto che noi, fatti di protoni, siamo qui a discuterne), che è oggetto di ricerca sperimentale in laboratori sotterranei nel mondo, e in Italia ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn; seconda, la violazione CP, per l’appunto osservata nell’esperimento di Cronin e Fitch; e, terza, il fatto che, al tempo della scomparsa dell’antimateria, a ogni reazione non sia corrisposta una reazione opposta, che la controbilanciasse mantenendo così il sistema in equilibrio.

b.
La camera a vuoto dell’esperimento Na48, dove sono stati studiati i decadimenti spontanei dei mesoni K0 in coppie o triple di pioni. Nel 1999 dallo studio di questi decadimenti è stato ricavato un importante risultato: la misura della violazione CP diretta.
c.
Il rivelatore Kloe ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn. L’esperimento, ancora in funzione, ha consentito di eseguire misure molto precise sul decadimento dei mesoni K0 contribuendo in modo significativo a far luce su questi eventi, la cui comprensione è fondamentale per lo studio della violazione CP.

Inizia a questo punto un’avventura non ancora conclusa che cerca di spiegare e inquadrare questa violazione nelle attuali teorie di fisica delle particelle, e soprattutto di capire se questo è quello che serve per rendere l’Universo asimmetrico. La prima domanda fondamentale che ci si pose fu se la violazione osservata potesse spiegarsi con effetti non ancora conosciuti delle interazioni deboli o se dipendesse da una nuova forza (in aggiunta alle quattro note). Solo gli esperimenti potevano dare la risposta e per darla era necessario osservare un altro caso di violazione CP in un diverso processo debole (e allora sarebbe stato un fenomeno comune alle interazioni deboli), oppure dimostrare l’unicità di quanto osservato.
Una premessa è necessaria. Perché si verifichi la violazione di CP serve che una particella e la sua antiparticella possano decadere nello stesso stato finale attraverso due percorsi quantistici diversi. La ricerca di un nuovo processo con i K “lunghi” richiedeva di misurare con precisione una quantità molto più piccola della violazione di CP osservata nell’esperimento di Cronin e Fitch. Se si fosse riuscito a misurare una quantità non nulla, allora la violazione di CP sarebbe stata figlia delle interazioni deboli.
Tre esperimenti si sono a lungo cimentati con questa misura in laboratori americani, al Cern di Ginevra e in Italia ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn, con l’esperimento Kloe all’acceleratore Dafne. Grazie alle prove sperimentali abbiamo verificato l’effetto, ed esso è sicuramente diverso da zero: dopo 30 anni si dimostra dunque che la violazione CP è generata dalle interazioni deboli.
Il secondo grande progresso avviene in congiunzione con lo studio della cosiddetta matrice CKM (dalle iniziali dei nomi dei tre scienziati che la formularono, Nicola Cabibbo, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa), che mostra come la violazione della simmetria CP nel caso delle interazioni deboli porti a prevedere l’esistenza di sei quark rispetto ai quattro allora noti. Si vuole verificare se la violazione di CP osservata sia quella prevista, non solo in base ai risultati sperimentali noti, ma anche in base alla teoria deputata a descrivere il fenomeno, cioè il Modello Standard delle interazioni elettrodeboli, che include anche la Cromodinamica Quantistica (Qcd, perché fa riferimento alle proprietà dei quark, dette colori, che non hanno però nulla a che vedere coi colori come li intendiamo noi comunemente). I mesoni K purtroppo però non sono efficaci per questa verifica perché la loro massa è piccola, così piccola che le correzioni dovute alla Qcd impediscono ogni calcolo capace di produrre predizioni.

d.
Il rivelatore di Babar allo Stanford Linear Accelerator. Scopo dell’esperimento è studiare la violazione CP nel decadimento dei mesoni B. Per studiarla Babar fa scontrare un fascio di elettroni con uno di positroni che collidendo producono sia mesoni sia le loro antiparticelle. Attraverso l’attento studio delle differenze tra il decadimento del mesone B rispetto a quello del suo partner, l’antimesone B, sono stati forniti interessanti contributi allo studio della violazione CP.

Bisogna allora cambiare famiglia di particelle e sceglierne di più pesanti per le nostre ricerche: tocca ai mesoni B0, che sono particelle equivalenti ai K0 ma di massa circa 10 volte maggiore. Due acceleratori speciali, in grado di produrre mesoni B alla frequenza di 10 Hz, sono stati costruiti in Giappone e negli Stati Uniti, e gli esperimenti opportunamente progettati hanno avuto un completo successo, dimostrando in maniera inoppugnabile che la violazione CP è spiegata dalla matrice CKM.
La fisica della violazione CP è diventata oggi un settore di grande precisione e offre la possibilità di esplorare l’esistenza di una fisica che dia traccia di nuovi fenomeni. Questo compito è affidato a Lhc-b, uno dei quattro principali esperimenti del Large Hadron Collider al Cern di Ginevra, e sarà forse affidato alle SuperB-factory di cui si sta discutendo la costruzione sia in Giappone che in Italia. L’avventura continua anche perché la violazione CP, che Sacharov pose come seconda condizione per l’asimmetria tra materia e antimateria, nonostante tutto quello che abbiamo imparato, non è ancora stata compresa in modo soddisfacente: l’entità della violazione osservata, infatti, non è ancora sufficiente a spiegare perché il nostro Universo sia fatto di materia e non di antimateria.

Biografia
Fernando Ferroni, professore all’Università La Sapienza, si occupa di fisica delle particelle elementari dal 1975 e ha partecipato a molti esperimenti tra cui Babar allo Slac. Attualmente è presidente della Commissione Scientifica Nazionale di fisica delle alte energie con acceleratori dell’Infn.

 

Link
http://www.sciam.com/article.cfm?id=what-is-antimatter-2002-01-24
http://www.sciam.com/article.cfm?id=in-search-of-antimatter
http://arxiv.org/abs/hep-ph/9712475

 

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[as] benvenuti a bordo
Intervista a Paolo Giordano
.
di Catia Peduto

Abbiamo incontrato Paolo Giordano, scrittore e dottorando in fisica teorica associato alla sezione dell’Infn di Torino, alla presentazione del suo libro La solitudine dei numeri primi (ed. Mondadori) alla libreria Feltrinelli di Roma nella Galleria “Alberto Sordi”. Il suo libro in poco tempo ha raggiunto la vetta delle classifiche di vendita, imponendosi nelle prime posizioni, e il giovane autore ha vinto il prestigioso Premio Strega e il Premio Campiello Opera Prima. Il romanzo narra le vicissitudini di due adolescenti dalla loro infanzia all’età adulta. Paolo usa la matematica e la fisica, che ha studiato con passione tanto da decidere di proseguire la carriera da scienziato e farne la sua futura professione, per coniare metafore esistenziali estremamente calzanti. Così Alice e Mattia, i due protagonisti del romanzo, sono come due numeri primi che i matematici chiamano “gemelli”, che non si toccano mai perché fra di loro c’è sempre un numero pari.

[as]: Paolo, la nostra rivista si chiama Asimmetrie. Trovo curioso che qui alla Feltrinelli il tuo libro sia stato appena definito “asimmetrico”… Sei d’accordo con questa definizione?
 
Paolo [P]: Beh, è un libro con una simmetria non perfetta. Per dirla da fisico, con una simmetria violata. I due personaggi (Alice e Mattia, ndr) trovano una corrispondenza delle proprie storie e dei propri pensieri l’uno nell’altra, ma questa corrispondenza è sempre imprecisa. E tutto il romanzo vive di queste imprecisioni.

[as]: È un po’ insolito che un dottorando in fisica si metta a scrivere un romanzo, come ti è venuta questa idea?


[P]: In effetti sì, il dottorato in fisica ti assorbe già abbastanza. Il fatto è che io ho suonato per molti anni e sfogavo nella musica la mia parte più creativa. Poi per una serie di motivi ho smesso e per un lungo tempo non ho fatto nient’altro. Dato che sono un antisportivo, mi mancava un’attività secondaria e allora mi sono messo a scrivere. Ho sempre amato molto i libri e ho incominciato scrivendo delle storie. Quando la cosa ha preso una veste un po’ più seria, ho deciso di cimentarmi in un romanzo.

[as]: Ti vedi più scrittore o fisico delle particelle?

[P]: Mi vedo un po’ in tutte e due le cose, direi che sono due aspetti di me che convivono in maniera “asimmetrica”! Scienza e letteratura, infatti, secondo me non sono per nulla antitetiche, anzi trovo che alla base ci sia la stessa spinta emotiva iniziale: la volontà di mettere in ordine, di sistemare le cose.

[as]: Nel tuo libro usi spesso delle metafore tratte dalla scienza. Ad esempio, mentre Mattia osserva la libreria di Alice, pensa che i libri dovrebbero essere ordinati secondo i colori dello spettro elettromagnetico. Capita anche a te, nella vita di tutti i giorni, di ragionare in questo modo?

[P]: Beh, sì penso che a tutti gli scienziati venga di ragionare così. Questa visione un po’ ossessiva e iperanalitica ce l’ho anche io quando penso alle cose. Quando hai una formazione di tipo scientifico, è naturale che ogni tanto ti venga da fare delle analogie, anche perché sia la fisica che la matematica ti mettono a disposizione una strumentazione talmente ampia che poi ti abitui a usarla. Nel mio romanzo però ho anche costruito un personaggio (Mattia, che farà il matematico, ndr) e quindi ho calcato la mano in questo senso.

[as]: Parlaci del tuo dottorato in fisica delle particelle: su cosa verte? Ti piace?

[P]: Sì, mi piace molto. Sono un teorico, mi occupo di fenomenologia, in particolare della fisica del mesone B. È una particella instabile, formata da un quark pesante, che si chiama bottom, e da uno leggero. Il suo studio è interessante soprattutto perché è legato alla violazione di CP e quindi, ad esempio, al problema della prevalenza della materia sull’antimateria.

[as]: E cosa vorresti fare dopo: il ricercatore, lo scrittore o tutte e due?

[P]: Guarda, a me piacerebbe fare tutte e due. Vorrei fare fisica come attività principale e continuare a scrivere nel tempo libero. Visto che la prima prova come scrittore è andata così bene, almeno mi concederò la seconda. Anche perché sono tutti lì ad aspettarmi e sarebbe vigliacco tirarsi indietro.

[as]: Hai già in mente una trama per il tuo prossimo libro, magari potrebbe trattare proprio dell’antimateria?

[P]: In realtà no, non ho la più pallida idea di cosa scriverò, ma ci sto incominciando a pensare. Dopo che hai finito un romanzo, ti senti parecchio svuotato e ci vuole un po’ di tempo per ricaricarsi. E poi, al momento, sto anche collaborando alla sceneggiatura del film che verrà tratto da La solitudine dei numeri primi. Però con l’antimateria forse mi hai dato una buona idea. Potrei pensarci...

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