[as] radici
L'equazione di Dirac.

di Enrico Bellone, direttore de Le Scienze

a.
Dirac alla lavagna, nei primi anni ’30 dello scorso secolo.
Siamo alla fine del 1927 e la comunità dei fisici ha molti problemi da risolvere. Uno di questi riguarda una proprietà enigmatica dell’elettrone che è stata battezzata con il nome spin e che consiste nella presenza di due numeri quantici, pari a + ½ e – ½. In termini di senso comune, l’elettrone si comporta come se potesse ruotare intorno a un asse in un senso e in quello opposto: un modo intuitivo di descrivere il fatto per cui questa particella ha lo spin. Ma l’intuizione non è un buon argomento. Essa permette certamente di costruire un modello di elettrone, presumendo che la particella abbia una forma geometrica tale da consentire rotazioni attorno a qualcosa. Altrettanto certamente, però, una teoria sull’elettrone non può partire da un modello di questo genere. Deve essere una teoria matematica, e su questo c’è un ampio consenso. Il giovane Paul A.M. Dirac ha, in generale, una posizione molto precisa: dobbiamo usare tutte le potenzialità della “matematica pura” con lo scopo di generalizzare la base formale della fisica teorica, e solo dopo possiamo tradurre i risultati matematici in un linguaggio che parla di “entità fisiche”. Quale entità fisica è allora in gioco? Nel caso dell’elettrone, la modellistica suggerisce che esso sia un oggetto corporeo e quindi dotato di dimensioni. Ma, come osserva Dirac nel 1928, non è affatto chiaro il motivo per cui “la Natura dovrebbe aver scelto questa particolare struttura per l’elettrone, invece di essere soddisfatta della carica puntiforme”. La vera questione sta invece nella necessità di superare “l’incompletezza delle precedenti teorie” e di sviluppare un sistema matematico che soddisfi sia i requisiti della teoria della relatività, sia quelli della teoria dei quanti. Il superamento si realizza con un capolavoro, intitolato The Quantum Theory of the Electron, che Dirac pubblica appunto nel 1928.
È impossibile descrivere questo capolavoro senza ricorrere all’armamentario della matematica. In linea di massima, si può comunque ricordare che Dirac riprende certe matrici già impiegate da Wolfgang E. Pauli, in contesto quantistico, per esprimere certe proprietà dello spin. Quelle matrici, ora, devono per Dirac rispettare anche le clausole relativistiche sulle simmetrie fra spazio e tempo. Le matrici di Pauli erano a due righe e due colonne, quelle di Dirac sono a quattro righe e quattro colonne. Fatta questa operazione, altri passi puramente algoritmici sfociano necessariamente in una nuova equazione generale per l’elettrone. Per valutare lo spin era allora indispensabile esplicitare il comportamento dell’elettrone in un campo elettromagnetico. Un comportamento matematico, s’intende. Che culminava in un successo e in un nuovo enigma. Il successo stava nella deducibilità dello spin da un punto di vista puramente teorico. L’enigma era inatteso e riguardava proprio le soluzioni matematiche dell’equazione di Dirac. Esse infatti formavano una famiglia che, inaspettatamente, era formata da due sottofamiglie di pari entità. Solo una era tuttavia da prendere in considerazione: l’altra “metà delle soluzioni deve essere scartata in quanto si riferisce alla carica + e”. E dovrebbe essere scartata perché nessuno ha mai osservato in Natura un elettrone con carica positiva.
Ma l’operazione di rigetto non era comunque ammissibile nella cornice della teoria quantistica. Quest’ultima non poteva infatti scartare a priori eventi connessi alla “altra metà” delle soluzioni e che implicavano la possibilità di salti quantici tra livelli energetici descrivibili come positivi o negativi. In un primo momento, quindi, parve giusto a Dirac sostenere che la sua teoria fosse da valutare come una “approssimazione”. Le carenze stavano tutte quante nella base empirica. La teoria di Dirac aveva in realtà scoperto il positrone, ma dovevano trascorrere alcuni anni prima che Carl D. Anderson, e soprattutto Patrick M. Blackett e Giuseppe Occhialini, nel 1933 scovassero le prove sperimentali di quella “approssimazione”. Nell’intervallo fra il 1928 e il 1933 molti furono i tentativi di fornire una interpretazione accettabile delle previsioni fatte da Dirac. Per tutti noi, ad ogni modo, quell’articolo di Dirac rimane come uno dei punti più alti della storia della cultura umana.

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