Antiparticelle accelerate
Come usiamo l’antimateria per la ricerca con gli acceleratori.
di Mario Calvetti


a.
Foto storica di Ada, il primo anello di accumulazione elettroni-positroni.
La scoperta dell’antimateria cambiò in modo straordinario la nostra visione della Natura. Improvvisamente un altro Universo sembrò possibile, costruito con antiprotoni, antineutroni e antielettroni. Il nostro “mondo” era quindi solo uno dei due modi possibili di esistenza: un antiuomo, in una antiterra, avrebbe potuto mangiare un’anticioccolata e sentire esattamente lo stesso sapore, perché le leggi della chimica sono le stesse. Ma queste, almeno per ora, sono solo visioni da fantascienza.
In realtà l’antimateria, infatti, non è presente abbondantemente in Natura: la si trova nei raggi cosmici, nei prodotti di decadimento di alcune sostanze radioattive e vive solo brevemente, perché viene distrutta entrando in contatto con la materia ordinaria. Ma gli scienziati sono riusciti a produrla “artificialmente” e oggi l’antimateria viene usata nei laboratori di ricerca di tutto il mondo. Il suo uso ha permesso una straordinaria serie di scoperte che hanno portato alla descrizione della struttura profonda della Natura, dell’evoluzione del Cosmo e delle sue leggi. Ripercorriamo insieme questa storia.
Tutto cominciò nel 1961 con il progetto Ada (Anello di Accumulazione), proposto dal fisico austriaco Bruno Touschek nei Laboratori Nazionali di Frascati (vd. fig. a). L’idea era di far circolare in senso opposto particelle e antiparticelle, in uno stesso tubo vuoto, immerse in un campo magnetico adeguato, in modo che potessero incontrarsi in volo. Quando un elettrone e un positrone entrano in collisione, tutta la loro energia, compresa quella della loro massa, viene istantaneamente concentrata nel punto di collisione. Si forma una bolla di energia di alta densità, simile a quella che si pensa sia stata presente poco dopo il Big Bang. Più alta è l’energia delle particelle incidenti e più alta è l’energia depositata. Questa bolla di energia, di carica elettrica nulla (perché la carica elettrica totale si conserva sempre) è pronta a obbedire alle leggi della Natura che regolano le trasformazioni di energia in massa, e si “scatena” creando tutte le possibili particelle e antiparticelle che prima non esistevano: è la creazione della materia.
b.
Un evento registrato dall’esperimento UA1 al Cern. Si vedono le tracce delle particelle prodotte nell’interazione protone-antiprotone. Le due tracce bianche, che attraversano i rettangoli bianchi, sono l’elettrone e il positrone creati nel decadimento di uno Z° prodotto nel punto d’interazione. L’area dei rettangoli è proporzionale all’energia delle particelle.

La meccanica quantistica ci dice che per breve tempo l’energia totale può non conservarsi. Si tratta del principio di indeterminazione, per cui particelle molto pesanti possono essere prodotte, esistere nel breve tempo dell’interazione e influire sui risultati degli esperimenti. Il progetto Ada dimostrò che era possibile costruire questo tipo di macchine. Furono anche scoperti alcuni fenomeni importanti relativi al funzionamento di questo tipo di acceleratori. Sull’onda di questo successo si costruì a Frascati un acceleratore più grande chiamato Adone. Era l’inizio di una nuova era che avrebbe portato alla costruzione di decine di “anelli di accumulazione” nel mondo intero e permesso una serie di scoperte che hanno forgiato la nostra comprensione del mondo.
La prima grande scoperta fu l’abbondante produzione di particelle nelle annichilazioni elettrone-positrone, vista da Adone per la prima volta. Questo ha portato a capire, tra l’altro, che i quark (che sono per noi, ad oggi, alcuni dei mattoni fondamentali della materia), oltre ad avere una carica elettrica frazionaria, hanno anche un altro tipo di carica detta di “colore”, molto importante per la descrizione delle forze nucleari.
Nel 1974, con la scoperta e lo studio della particella J/Ψ negli Stati Uniti, osservata anche a Frascati con Adone pochi giorni dopo l’annuncio, iniziò una nuova fase nella sperimentazione in fisica delle particelle. A energia più elevata, sempre in annichilazioni elettroni-positroni presso il laboratorio Slac (Stanford Linear Accelerator Center) in California, fu osservato per la prima volta l’elettrone pesante tau che, insieme al normale elettrone e al muone mu, forma un terzetto di elettroni di masse crescenti, particelle identiche rispetto all’interazione debole (quella responsabile, ad esempio, del decadimento del neutrone). Era la prima manifestazione della terza famiglia dei leptoni che, insieme alle tre famiglie di quark e le corrispondenti anti-famiglie, sono, secondo il cosiddetto Modello Standard, gli elementi fondamentali, indivisibili, con i quali si possono costruire tutte le particelle conosciute. L’uso dell’antimateria negli acceleratori ha quindi portato alla verifica sperimentale di molti aspetti di questa teoria della fisica delle particelle.

Sempre secondo il Modello Standard tutte le particelle interagiscono tra loro attraverso lo scambio di altre particelle, che sono emesse e assorbite dai quark e dai leptoni. Queste particelle sono i gluoni per le forze nucleari, i fotoni e i bosoni Z°, W+ e W- per le forze elettromagnetiche e deboli. Ebbene, a parte il fotone, anche queste particelle sono state scoperte usando anelli di accumulazione materia-antimateria. Il gluone fu visto nei frammenti delle annichilazioni elettroni-positroni, allo Slac e a Desy (ad Amburgo, in Germania), attraverso la produzione di sciami di particelle (detti in gergo jet).
La tecnologia degli acceleratori stava intanto progredendo, le dimensioni e le energie disponibili nella “bolla di energia” stavano crescendo. Verso la fine degli anni ’70 divenne possibile produrre e immagazzinare abbastanza antiprotoni da poterli usare per la sperimentazione con gli anelli di accumulazione.
Nel 1978 fu approvato il progetto proposto da Carlo Rubbia per la conversione del Super Proto Sincrotrone del Cern in un anello di accumulazione protoni-antiprotoni. Il progetto era basato sulla possibilità di immagazzinare abbastanza antiprotoni usando la tecnica del “raffreddamento stocastico” (vd. approfondimento "Come si distilla l’antimateria?”, ndr). Con questa tecnica, proposta da Simon Van Der Meer, che con Rubbia ha diviso il premio Nobel, si potevano accelerare gli antiprotoni lenti e rallentare quelli veloci, in modo da poterli mettere insieme in pacchetti molto densi prima di infilarli nell’acceleratore proposto. Con questo nuovo acceleratore le particelle W+, W- e Z° sarebbero state prodotte in numero sufficiente da poter essere scoperte e così fu (vd. fig. b).
Negli stessi anni furono approvati i progetti per la costruzione dell’acceleratore Lep (collisionatore elettroni-positroni) in 27 km di tunnel 100 metri sotto terra al Cern, e del Tevatron (collisionatore protoni-antiprotoni ma a energia più elevata) al Fermilab negli Stati Uniti. Al Tevatron è stato scoperto il quark top, l’ultimo mancante all’appello, e si sta ancora dando la caccia all’ultima importantissima particella, necessaria per confermare la teoria del Modello Standard, il bosone di Higgs.

c.
Il tunnel dell’acceleratore Lep del Cern, il più grande anello di accumulazione elettroni-positroni che sia possibile costruire. Pronipote di Ada, ha una circonferenza di 27 km sotto la città di Ginevra, in Svizzera.

Misurando i decadimenti della Z0 al Lep, i decadimenti del mesone B a Stanford e in Giappone, sono stati misurati con grande precisione i parametri della teoria mettendo le basi per possibili future scoperte.
Oggi ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn abbiamo Dafne, acceleratore di elettroni e positroni di alta intensità, la più alta mai realizzata a bassa energia. L’esperimento Kloe installato su Dafne, ha misurato con grande precisione numerosi parametri della teoria osservando i decadimenti della materia e dell’antimateria (vd. A caccia di asimmetrie, ndr).
Ancora, il più grande acceleratore mai pensato, oggi nella fase di progetto, sarà un acceleratore lineare per elettroni e positroni (Ilc – International Linear Collider), e nuove macchine come “fattorie” di mesoni sono in fase di studio: uno in Giappone, con il potenziamento dell’acceleratore esistente, e uno in prossimità di Roma, il progetto SuperB.
L’antimateria, così sfuggente per noi, ha dato e sta ancora dando contributi fondamentali per la comprensione delle leggi della Natura. La grande avventura continua.

[as] approfondimento
Come si distilla l’antimateria?

1.
Produzione dei positroni: facendo incidere un elettrone (e-) contro un materiale ad alto numero atomico si produce uno sciame di positroni (e+), fotoni (γ) ed elettroni (e-). Con l’ausilio di magneti, i positroni vengono raccolti e guidati verso una struttura accelerante da un lato, gli elettroni dall’altro.
 

Un fascio di particelle, per essere accelerato o portato a collidere con alta efficienza contro un altro fascio, deve essere composto di “pacchetti” di particelle di altissima densità. Un numero estremamente alto di particelle deve essere confinato in un volume di frazione di millimetri cubi e viaggiare a velocità quasi uguali nella stessa direzione di moto. Le particelle, cioè, devono rimanere estremamente “parallele”, in modo da muoversi tutte insieme, senza tendere a disperdersi più di quanto le lenti magnetiche che le guidano possano tenerle raccolte. Se questo è possibile per le particelle di materia ordinaria, come elettroni e protoni, grazie alla loro abbondanza, non è altrettanto facile da ottenere per le loro antiparticelle, cioè positroni e antiprotoni. Le antiparticelle possono essere prodotte facendo interagire ad altissima energia le particelle “normali” con materiali di alto numero atomico (come ad esempio il tungsteno). Nel caso degli elettroni (vd. fig. 1), quando uno di essi si scontra con un nucleo, che è carico positivamente, viene fortemente deflesso, causando l’emissione di un fotone di alta energia, che a sua volta, nel campo di un nucleo, può con notevole probabilità creare una coppia elettrone-positrone. Ognuno di questi elettroni e positroni che si sono creati può dare origine allo stesso processo. Si ha cioè la formazione di uno sciame di particelle (elettroni, fotoni e positroni) che cresce di numero anche se diminuisce l’energia media di ogni particella. Adeguando lo spessore del materiale si può produrre il massimo numero di particelle alla sua uscita e, con delle lenti magnetiche, sarà poi possibile raccogliere i positroni e guidarli verso una struttura accelerante. Ovviamente non tutti i positroni prodotti avranno l’energia e la direzione adatta per essere raccolti, ma la frazione che si ottiene usando come “materiale-bersaglio” il tungsteno può arrivare a parecchi percento del numero di elettroni incidenti. Per gli antiprotoni, il meccanismo di produzione è molto simile. Anche in questo caso si fanno interagire protoni di altissima energia con un materiale di alta densità. Tuttavia, il processo fisico alla base è diverso, poiché quello che si ottiene è una cosiddetta cascata adronica, in cui vengono prodotti un gran numero di mesoni π, molti mesoni K, insieme a neutroni, protoni e antiprotoni. Gli antiprotoni possono essere selezionati e raccolti sempre utilizzando campi magnetici, ma il loro piccolo numero e la loro grande differenza in energia e direzione di volo richiede l’accumulo in un anello intermedio, prima di essere ri-accelerati nell’acceleratore principale. Qui deve essere anche effettuata l’operazione di raffreddamento stocastico che serve a ridurre le dimensioni del pacchetto di antiprotoni e a rendere il più possibile parallele le loro traiettorie. Questa tecnica consiste nel misurare lo spostamento degli antiprotoni dalla loro posizione ideale in un determinato punto dell’acceleratore. Questa informazione viene poi usata per elaborare un segnale di correzione, che sposta gli antiprotoni verso la posizione corretta. L’elettronica di misura non può identificare la singola particella, ma solo lo spostamento medio di un gruppo casuale di antiparticelle. Tuttavia, dopo un certo numero di interazioni, gli antiprotoni hanno praticamente tutti la stessa velocità e risulta possibile metterli assieme in pacchetti molto densi. [Michele Castellano]

Biografia
Michele Castellano è dirigente di ricerca dell’Infn presso i Laboratori Nazionali di Frascati. Ha partecipato allo studio delle interazioni elettronipositroni su Adone e si è poi dedicato alla fisica degli acceleratori e ai Laser ad Elettroni Liberi.

Biografia
Mario Calvetti insegna Fisica Generale all’Università di Firenze. Ha partecipato alla prima osservazione della J/Ψ a Frascati, alla prima accumulazione di antiprotoni al Cern, alla scoperta delle particelle W± e Z0 e alla scoperta della violazione diretta di CP. Attualmente è direttore dei Laboratori Nazionali di Frascati.

 

Link
http://www.lnf.infn.it/
http://www.slac.stanford.edu/
http://www.fnal.gov/
http://www.cern.ch/
http://www.desy.de/

 

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