La doppia faccia identica dei neutrini

immagine cuoreSe decidessimo di assegnare un aggettivo a ogni particella elementare, eventualità certamente non insolita per la fisica - basti pensare alla suddivisione in belli (quark), strani (quark) e fascinosi dei quark -, l’attributo che meglio si adatterebbe a descrivere i neutrini sarebbe senz’altro “dispettosi”. Fin dalla loro comparsa sul radar della fisica contemporanea, queste particelle hanno infatti frustrato ogni tentativo volto a una piena comprensione delle loro caratteristiche, facendosi beffe anche delle indicazioni fornite dalla più efficace teoria sui costituenti ultimi della materia fino a oggi mai elaborata, il modello standard. Proprio in virtù di questa sfuggente e caparbia natura, i neutrini potrebbero tuttavia fornire la spiegazione a uno dei grandi problemi aperti della fisica, ovvero la sostanziale asimmetria tra materia e antimateria presenti nel cosmo. Sullo stato e sul futuro delle ricerche dedicate a simili tematiche si è focalizzato il workshop “North America-Europe Workshop on Future of Double Beta Decay”, conclusosi lo scorso primo ottobre, che ha chiamato a raccolta fisici provenienti da tutto il mondo. A ospitare l’incontro, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn, uno degli indiscussi centri di riferimento a livello mondiale per lo studio dei neutrini e sede di due dei principali esperimenti su cui si concentrano le speranze di fare luce sulle proprietà fondamentali di queste particelle.

Procedendo con ordine, la storia del neutrino ha inizio nel 1930, quando Wolfgang Pauli ne ipotizza l’esistenza nel quadro di una possibile spiegazione del decadimento beta, fenomeno regolato dalla forza debole, che determina la trasformazione, all’interno di un nucleo atomico, di un neutrone in un protone, e la conseguente emissione di un elettrone e di una particella in grado di bilanciare l’energia complessiva coinvolta nel processo. Il genio di Pauli, già reduce, nel 1925, dalla formulazione del suo principio di esclusione, non si manifesterà tuttavia altrettanto felicemente nel nome scelto per la nuova particella, che sarà battezzata dal fisico austriaco neutrone, all’epoca non ancora scoperto (vd. Tre uomini e un neutrino). L’attribuzione del diminutivo italiano neutrino, capace di rimandare alla ridotta massa che avrebbe dovuto possedere la particella, avverrà solo tre anni più tardi per opera del padre della teoria delle interazioni deboli, Enrico Fermi, il quale, a partire dall’idea di Pauli, elaborerà un modello compiuto dei decadimenti beta, all’interno del quale il neutrino comparirà come una particella priva di carica con una massa pari o inferiore a quella dell’elettrone.

A seguito del fondamentale contributo fornito da Fermi e per l’intero corso del 1900, la fisica dei neutrini conseguirà importanti traguardi sperimentali e teorici: a partire dalla scoperta delle tre tipologie di neutrini associate alle corrispondenti particelle appartenenti alla famiglia dei leptoni carichi (elettroni, muoni e tauoni), per passare all’inserimento di queste ultime all’interno dello zoo di particelle del modello standard, che nega ai neutrini sia carica che massa. Eppure, l’illusione di aver finalmente imbrigliato le proprietà dei neutrini, si scontrerà con l’imprevedibilità di queste sfuggenti particelle, tanto abbondanti, in quanto risultato di ogni decadimento atomico – sia esso di origine stellare o relativo agli elementi essenziali per la biologia umana -, quanto ostili a rivelare la loro presenza. Nel 1998, l’esperimento Superkamiokande, in Giappone, osserverà infatti per la prima volta il fenomeno dell’oscillazione dei neutrini provenienti dal cosmo, ovvero la loro trasformazione da una tipologia (sapore leptonico) a un’altra, comportamento non previsto dal modello standard, poiché dovuto a una variazione della massa delle particelle. L’osservazione dell’oscillazione dei neutrini, che varrà nel 2015 il premio Nobel a Takaaki Kajita, alla guida del gruppo di ricerca di Superkamiokande responsabile della scoperta, e ad Arthur Mc Donald, per l’individuazione della trasformazione dei neutrini solari effettuata nel 2002 per mezzo del Subdury Neutrino Observatory (Sno), in Canada, sarà confermata negli anni successivi anche dagli esperimenti Macro e Opera ospitati nelle gallerie dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (vd. Trasformisti all'opera).

Se la massa dei neutrini evidenzia i limiti del modello standard, i fisici non rimangono tuttavia sprovvisti di armi teoriche in grado di indirizzare gli sforzi volti a fare luce sui misteri che ancora circondano queste particelle, come dimostra il caso di Bruno Pontecorvo. Nel 1957, il fisico italiano, già espatriato clandestinamente oltre la cortina di ferro e ricercatore nel centro sovietico di fisica di Dubna, pubblica un articolo in russo che prevede teoricamente la trasformazione dei neutrini come conseguenza del loro cambio di sapore. Frutto delle intuizioni di un altro italiano, Ettore Majorana, è invece il modello teorico di riferimento che guida oggi le ricerche nell’ambito della fisica dei neutrini: nel 1937, Majorana, che scomparirà senza lasciare alcuna traccia l’anno successivo, ipotizza che, a differenza delle altre particelle elementari, le quali possiedono una controparte speculare con proprietà opposte nel mondo dell’antimateria, il neutrino possa essere identico alla sua antiparticella, l’antineutrino.

Ma come verificare che il neutrino corrisponda effettivamente alla particella descritta da Majorana? Il modo individuato dagli scienziati per rispondere a una simile domanda si basa sulla possibilità di osservare un raro tipo di decadimento beta, lo stesso fenomeno che ha consentito la nascita della fisica dei neutrini, denominato doppio decadimento beta. Proposto da Maria Goppert-Mayer nel 1935, la seconda donna della storia a ricevere un Nobel per la fisica, questo processo prevede la trasformazione nei nuclei atomici non di uno, ma di due neutroni in protoni, e la conseguente emissione di due coppie composte da elettroni e antineutrini. Nel caso l’interpretazione di Majorana dovesse risultare corretta, l’osservazione di questa peculiare trasformazione non sarebbe infatti accompagnata da quella degli antineutrini, i quali, non differendo dai neutrini, verrebbero riassorbiti dai neutroni prodotti (doppio decadimento beta senza emissione dei neutrini). Per quanto elegante, tale soluzione al problema della rivelazione - o meglio della non rivelazione - delle particelle di Majorana è ostacolata dalla rarità del doppio decadimento beta, la cui vita media è stata stimata essere superiore al trilione di anni (vd. Il fascino dell'assenza).

Al fine di superare le difficoltà legate alla rarità del doppio decadimento beta e di confermare il modello di Majorana, c’è quindi bisogno di progettare e realizzare esperimenti estremamente sensibili. Attività, queste ultime, al centro del confronto che ha tenuto banco durante il workshop “North America-Europe Workshop on Future of Double Beta Decay”. Coerente con le tematiche affrontate, anche la scelta della location identificata per il seminario, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che vantano il ruolo di leadership in questo settore d’indagine: schermate dai 1400 metri di roccia del massiccio del Gran Sasso, le gallerie dei laboratori ospitano due dei principali esperimenti dedicati alla ricerca del neutrino di Majorana, Cuore e Gerda, e si apprestano ad accogliere due apparati di nuova generazione, Cupid e Legend.

Frutto di una collaborazione internazionale composta principalmente da ricercatori italiani coordinati dall’Infn, Cuore si compone del più grande e freddo criostato mai realizzato, in grado di raggiungere temperature di poco superiori allo zero assoluto, al cui interno sono ospitati

988 cristalli di ossido di tellurio, disposti in 19 torri e schermati da piombo di epoca romana proveniente da un relitto affondato nel I secolo a.C. vicino a Oristano, il quale, in virtù della sua età, garantisce l’assenza di tracce di isotopi radioattivi che potrebbero influenzare le misure. L’isotopo del tellurio presente (Te-130) all’interno dei cristalli funge sia da sorgente che da rivelatore del doppio decadimento beta.

Gerda, condotto da una collaborazione tra enti di ricerca europei e russi guidata sempre dall’Infn, ha invece sfruttato una tecnologia basata su cristalli di germanio arricchiti con l’isotopo 76 dell’elemento immersi in un liquido ultra-puro. Pur non essendo riuscito a osservare il decadimento beta senza emissioni di neutrini, i dati forniti dall’esperimento, che ha da poco concluso la sua campagna di raccolta dati, hanno consentito di fissare il limite più stringente sul tempo di decadimento del fenomeno e di acquisire le competenze necessarie alla realizzazione di un rivelatore di nuova generazione al germanio più grande e sensibile, Legend, che si avvarrà delle proprietà dell’argon liquido per ridurre ulteriormente il disturbo di fondo legato alla radioattività naturale.

“La rivelazione del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini”, spiega Carlo Bucci, ricercatore dei laboratori nazionali del Gran Sasso INFN e portavoce dell’esperimento CUORE, “sarebbe una scoperta fondamentale sia per la fisica delle particelle che per la cosmologia confermando, dopo più di 80 anni, l’intuizione di Ettore Majorana. I Laboratori Nazionali del Gran Sasso hanno e continueranno ad avere un ruolo di primo piano nel panorama mondiale di questa ricerca grazie agli esperimenti CUORE e GERDA ed ai rispettivi upgrade di prossima generazione CUPID e LEGEND.”

Grazie a futuri esperimenti come Cupid e Legend, la fisica si appresta quindi a entrare in una nuova fase della ricerca sui neutrini, che potrebbe aprire una finestra sui primi istanti del Big Bang e sul momento in cui l’universo ha preferito la materia rispetto all’antimateria. Tra le ipotesi che tentano di spiegare tale asimmetria, vi è infatti quella che prevede la presenza, nei primi istanti di vita del cosmo, di un neutrino non interagente di massa elevata (neutrino sterile), che decadendo in maniera asimmetrica abbia determinato l’attuale eccesso di materia. Uno scenario plausibile solo nel caso in cui i neutrini si dimostrino essere effettivamente particelle del tipo descritto da Majorana. Ecco quindi spiegata tutta la pazienza e l’attenzione che la fisica riserva ancora oggi a queste dispettose particelle.

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