I semi delle cose
Storia e attualità dei quark

di Stefano Forte


a .
Il fuoristrada di Gell-Mann targato “QUARKS”.

Introdotti nel 1964 da Murray Gell-Mann, i quark sono particelle alquanto peculiari, che non possono essere osservate direttamente, ma di cui si hanno solo indizi indiretti. Oggi sappiamo che, assieme ai leptoni, essi rappresentano i costituenti elementari della materia. Tuttavia, i quark come sono concepiti dalle moderne teorie delle interazioni fondamentali sono oggetti piuttosto diversi dai quark di Gell-Mann. Ma facciamo un passo indietro.

Per dare una risposta al problema della proliferazione delle particelle fortemente interagenti (gli adroni), nel 1961 Gell-Mann suggerì che l’interazione forte potesse avere una simmetria descritta matematicamente dal gruppo SU(3) (vd. [as] La forza del gruppo., ndr), cioè che restasse invariata sotto le trasformazioni di questo gruppo. Il modello di Gell-Mann riuscì a fare ordine nella congerie degli adroni noti all’epoca (molte decine) e fu in grado di descrivere con successo la loro fenomenologia. Ma perché la simmetria è proprio SU(3)? Una possibile risposta è che gli adroni non sono particelle elementari, ma stati legati di oggetti più piccoli, i quark appunto, e delle loro antiparticelle, gli antiquark. Gell-Mann ipotizzò tre tipi, o “sapori”, di quark (up, down e strange), e la simmetria SU(3) è quella che scambia i sapori. Le regolarità osservate nelle masse degli adroni e nei loro processi sono conseguenza del fatto che l’interazione forte è invariante (del tutto o in parte) sotto questo scambio.

[as] approfondimento
L’eredità di Rutherford

1.
Ernest Rutherford (a destra) e Hans Geiger (a sinistra)
nel celebre laboratorio nell’Università di Manchester, dove nel 1909 fu scoperto il nucleo atomico.

Gli esperimenti che hanno rivelato la presenza di costituenti elementari all’interno del protone rientrano in un modello di esplorazione della materia che ha una lunghissima storia ed è basato su un’idea molto semplice: studiare la struttura di un sistema sparandogli contro delle particelle e osservando come queste vengono diffuse. I tre elementi base di questa classe di esperimenti sono un fascio di particelle (che fungono da proiettili), un bersaglio e un rivelatore. Il bersaglio è costituito dal sistema che si intende studiare (atomi, nuclei, protoni, ecc.). Le particelle-proiettili sono elementari (cioè prive di struttura interna, come gli elettroni, i muoni o i neutrini) o si comportano come tali. Il rivelatore è posto dietro e attorno al bersaglio e segnala l’arrivo delle particelle diffuse, contandole ed effettuando una serie di misure (identificazione del tipo di particella, misura dell’energia, ecc.). Fu con un apparato di questo genere (che stava tutto su un tavolo da laboratorio) che nel 1909 Hans Wilhelm Geiger ed Ernest Marsden, collaboratori di Ernest Rutherford, scoprirono il nucleo atomico. I due fisici osservarono che, inviando un fascio di particelle alfa (che oggi sappiamo essere costituite da due protoni e due neutroni, ma che nell’urto rimanevano intatte ed erano quindi assimilabili a corpuscoli elementari) su lamine di vari metalli, un certo numero di particelle subiva una notevole deflessione. Persino un sottilissimo foglio d’oro, dello spessore di mezzo millesimo di millimetro, era in grado di deviare alcune particelle di più di 90°. Rutherford capì che ciò era dovuto al fatto che le particelle urtavano contro un oggetto molto piccolo posto al centro dell’atomo – il nucleo – che concentrava in sé quasi tutta la massa atomica (vd. in Asimmetrie n.9 fig. b, ndr). I primi esperimenti di diffusione di elettroni su atomi furono compiuti negli anni trenta. Da allora questo tipo di esperimenti ha permesso di esplorare anche la struttura dei nuclei e dei nucleoni (protoni e neutroni). Negli anni cinquanta, Robert Hofstadter scoprì in questo modo che i nucleoni non sono oggetti puntiformi, ma sferette composite di raggio pari a circa un fermi (10-15 metri). Con elettroni di più alta energia, alla fine degli anni sessanta, i fisici dello Slac, in California, rivelarono l’esistenza dei quark all’interno del protone. Il processo studiato allo Slac, e in seguito con precisione crescente al Cern di Ginevra e all’acceleratore Hera di Amburgo, è la cosiddetta diffusione profondamente anelastica, in cui il protone bersaglio si frammenta in una miriade di particelle che non vengono osservate. Le sole particelle osservate sono gli elettroni diffusi e, come negli esperimenti di Geiger e Marsden, il cospicuo numero di elettroni deflessi a grandi angoli segnala la presenza di corpuscoli più piccoli all’interno del protone: i quark. [Vincenzo Barone]

Ma i quark esistono davvero? Se sì, dovrebbero essere relativamente facili da individuare, perché hanno una carica elettrica pari a multipli di un terzo della carica dell’elettrone, mentre tutte le particelle note hanno carica pari a multipli interi della carica dell’elettrone. Eppure, i quark liberi sono stati cercati dappertutto, ma non sono mai stati trovati (vd. [as] radici: Libertà impossibile, ndr). D’altra parte, a partire dalla seconda metà degli anni ’60, la presenza di costituenti puntiformi all’interno dei protoni fu rivelata da una serie di esperimenti di diffusione profondamente anelastica (in inglese, deep-inelastic scattering) (vd. approfondimento). In questi esperimenti, l’urto di un elettrone di alta energia su un protone produce uno stato finale che contiene un gran numero di particelle che non vengono rivelate. Sperimentalmente si studia solo la distribuzione angolare degli elettroni deflessi. Ci si sarebbe aspettati, immaginando il protone come una sferetta uniformemente carica, che la probabilità di osservare questi elettroni diminuisse molto rapidamente al crescere del loro angolo di deflessione. Invece, si trovò che, per angoli sufficientemente grandi ed energie sufficientemente alte, essa diventava circa costante.
b.
Quando una particella carica come l’elettrone interagisce con un protone, scambia con esso un fotone. È questo che “sonda” il bersaglio. Il parametro importante nel processo è una combinazione dell’energia e della quantità di moto del fotone chiamata Q. Maggiore è Q, maggiore è la risoluzione con cui il fotone-sonda “vede” il protone. A piccolissimi Q, il protone appare costituito da tre quark di Gell-Mann; a grandi Q, appare invece costituito da un gran numero di quark, antiquark e gluoni puntiformi. L’“evoluzione” in Q della struttura del protone è predetta dalla teoria fondamentale dell’interazione forte, la cromodinamica quantistica (Qcd), che trova proprio nella diffusione profondamente anelastica uno dei suoi test di maggior successo.
Nel 1968 Feynman osservò che ciò poteva essere spiegato supponendo che l’urto avvenisse tra l’elettrone e costituenti elementari (cioè senza struttura interna) e quasi liberi, ossia tali da non accorgersi di essere all’interno di un protone. È stato naturale pensare che questi costituenti, che Feynman battezzò partoni, potessero essere identificati con i quark. In effetti, da questa identificazione seguirono diverse predizioni sperimentali, che furono in seguito verificate con crescente precisione. Questo porta a una conclusione paradossale. Da un lato, è impossibile osservare i quark liberi, il che suggerisce che, se esistono, sono così fortemente legati che l’energia necessaria per spezzare un protone nei suoi costituenti è infinita. Dall’altro, vi sono evidenze della presenza di quark all’interno del protone, i quali però si comportano come quasi liberi, ossia molto debolmente legati. Questa apparente contraddizione è risolta dalla cromodinamica quantistica (Qcd, Quantum ChromoDynamics), la teoria delle interazioni forti, in cui i quark (e gli antiquark) interagiscono con le particelle mediatrici della interazione forte, i gluoni, analogamente a come nell’elettromagnetismo gli elettroni interagiscono con la luce, cioè con i fotoni (particelle mediatrici dell’interazione elettromagnetica). Una delle caratteristiche della Qcd, infatti, è che l’interazione tra quark e gluoni, pur avendo la stessa forma a tutte le distanze, si attenua al diminuire della distanza a cui viene sondata (o, equivalentemente, all’aumentare dell’energia) e tende ad annullarsi a distanze infinitamente piccole, cioè a energie infinitamente elevate (un fenomeno noto come libertà asintotica). Ecco perché negli urti di elettroni di alta energia i quark appaiono come oggetti molto poco interagenti, pressoché liberi.

In una teoria quantistica dei campi come la Qcd anche le entità fisiche cambiano al variare della risoluzione con cui vengono osservate. Questo vuol dire che un oggetto che, osservato con bassa risoluzione (ossia a bassa energia), può apparire come un singolo quark, visto con una risoluzione più alta (ossia ad alta energia) si rivela essere in realtà un coacervo di molti quark, antiquark e gluoni. Ciò permette di chiarire il vero significato dei quark di Gell-Mann. Questi sono solo indirettamente legati ai quark puntiformi della Qcd: si tratta infatti di oggetti compositi. Hanno le stesse cariche dei quark della Qcd, ma le interazioni tra di essi sono descritte da una diversa teoria, che si ottiene dalla Qcd nel limite di basse energie, cioè quando il protone viene “sondato” con bassa risoluzione. Il protone è fatto da tre quark di Gell-Mann, che in esperimenti di alta energia si rivelano essere composti da infiniti quark, antiquark e gluoni: sono questi, in ultima analisi, i mattoni fondamentali della materia.

Nel corso degli ultimi vent’anni la Qcd nel regime delle alte energie ha portato a predizioni sempre più precise, che sono state verificate sperimentalmente con grande accuratezza. C’è questa teoria alla base degli esperimenti che hanno recentemente por tato alla scoperta del bosone di Higgs nelle collisioni tra protoni nell’acceleratore Lhc del Cern. Infatti, una descrizione accurata della sottostruttura del protone è un ingrediente indispensabile per ottenere predizioni per qualunque processo in Lhc. Questa informazione è codificata nelle distribuzioni partoniche, che forniscono la probabilità di trovare all’interno di un protone i vari tipi di quark e antiquark, e i gluoni (vd. fig. c). Dal punto di vista della Qcd, la simmetria SU(3) di Gell-Mann, cioè l’invarianza rispetto al cambiamento di sapore dei quark up, down e strange, risulta essere una proprietà accidentale, dovuta al fatto che questi quark sono tutti e tre molto più leggeri del protone. La simmetria fondamentale della Qcd, quella che determina le leggi dell’interazione forte, è un’altra simmetria di tipo SU(3), ma riguardante una diversa proprietà dei quark, anch’essa immaginata nel 1964: il colore (vd. A tinte forti, ndr).


c.
Le funzioni di distribuzione partoniche del protone per Q2 = 4 GeV2 determinate dalla collaborazione Neural Network Parton Distribution Functions. Ciascuna banda corrisponde a un tipo di costituente distinto (partone) del protone (quark, antiquark o gluone) e fornisce la probabilità che in una collisione di alta energia esso porti una frazione dell’energia del protone da cui è estratto, indicata sull’asse orizzontale. La larghezza delle bande indica l’incertezza teorica. Per comodità di rappresentazione la banda dei gluoni è ridotta di un fattore dieci.

Biografia
Stefano Forte ha conseguito il dottorato di ricerca al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e ha successivamente lavorato a Parigi e al Cern. È stato ricercatore dell’Infn a Torino e a Roma ed è attualmente professore ordinario di fisica teorica all’Università di Milano. Si occupa principalmente di teoria dell’interazione forte e coordina la collaborazione Nnpdf (Neural Network Parton Distribution Functions).

 


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