Foto d’epoca
Immagini dal passato remoto dell’universo

di Paolo De Bernardis


a .
L’effetto dell’espansione dell’universo può essere interpretato immaginando un panettone in fase di lievitazione, i cui canditi rappresentano gli oggetti cosmici (dalle stelle agli ammassi di galassie). Mentre il panettone lievita, la distanza tra i canditi aumenta man mano che cresce il raggio: analogamente, tutti gli oggetti cosmici si allontaneranno uno dall’altro con il passare del tempo, e qualunque altra lunghezza, inclusa la lunghezza d’onda di un’onda elettromagnetica che viaggia per miliardi di anni, risulterà dilatata.
Ricevere immagini che provengono da regioni molto lontane dell’universo significa riuscire a osservarne il passato. Alla pazzesca velocità di un miliardo di chilometri all’ora, la luce proveniente dalle galassie più lontane impiega miliardi di anni per arrivare fino a noi. Osservando galassie sempre più distanti, i cosmologi possono studiare il passato sempre più remoto dell’universo. E si può osservare oltre ancora, la radiazione prodotta prima della formazione delle galassie. Fino a quale passato estremo è possibile spingersi? A causa dell’espansione dell’universo tutte le lunghezze cosmologiche si allungano con il tempo (vd. fig. a). Anche le lunghezze d’onda della luce che percorre il cosmo. Più lontana è la galassia, più a lungo avrà viaggiato la sua luce che stiamo osservando, più si sarà espanso l’universo nel frattempo e maggiore sarà la lunghezza d’onda ricevuta. La luce blu, prodotta dalle stelle calde in galassie lontane, allunga la sua lunghezza d’onda proporzionalmente all’espansione che l’universo ha subito, tra emissione e ricezione della luce, e diventa gradualmente luce rossa, o infrarossa. È un fenomeno noto come redshift cosmologico (dall’inglese shift, spostamento, quindi “spostamento verso il rosso”). Per osservare una galassia molto lontana, è quindi necessario usare complessi rivelatori a infrarossi, raffreddati a temperature criogeniche per ridurne il rumore (ossia i disturbi dovuti all’agitazione termica dei sensori). Inoltre, pur essendo le galassie intrinsecamente luminose (centinaia di miliardi di stelle che splendono simultaneamente!), le loro enormi distanze rendono il flusso luminoso ricevuto a terra estremamente debole. Servono grandi telescopi per raccogliere abbastanza potenza luminosa da sovrastare il rumore dei sensori. Per le galassie più lontane, i cosmologi hanno imparato a sfruttare gli ammassi di galassie (che contengono enormi addensamenti di massa) come lenti gravitazionali (vd. fig. b), che deviano verso l’osservatore la luce proveniente dalle galassie retrostanti. In assenza dell’ammasso, la maggior parte di questa luce avrebbe continuato il suo percorso rettilineo, diretta verso regioni via via più lontane dall’osservatore, mancandolo quindi inesorabilmente. Ad oggi, l’oggetto più lontano mai osservato è la galassia MACS0647-JD (vd. fig. b): la riga Lyman-α (una delle componenti caratteristiche dello spettro dell’idrogeno) che viene emessa da questa galassia nell’ultravioletto a una lunghezza d’onda di 0,12 m, arriva a noi a una lunghezza d’onda di 1,46 m, implicando che nel frattempo l’universo si è espanso di 12 volte. Stiamo vedendo questa galassia come era 13,3 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva solo il 3% della sua età attuale ed erano passati “solo” 420 milioni di anni dal Big Bang. MACS0647-JD ha un diametro di 600 anni luce (oggi, dopo oltre 13 miliardi di anni, una galassia “nana” ha un diametro di 15.000 anni luce) ed è irregolare. È una delle prime aggregazioni di materia che, in quella remota regione di universo, nei miliardi di anni seguenti, formeranno le galassie. Per osservare il passato ancora più remoto dell’universo, dobbiamo guardare a distanze ancora maggiori. La radiazione che riceveremo avrà lunghezze d’onda nel lontano infrarosso o nelle microonde. E dobbiamo anche considerare che l’espansione di un sistema isolato implica sempre un raffreddamento. Man mano che ci inoltriamo nel passato remoto dell’universo, esploreremo quindi fasi nelle quali la temperatura era sempre più elevata. A temperature superiori a qualche migliaio di gradi, elettroni e nuclei non sono legati in atomi, ma liberi, e diffondono efficientemente la luce. Di conseguenza in quella fase, detta primeval fireball (“palla di fuoco primordiale”), l’universo è opaco, come una nebbia incandescente che ci impedisce di osservare più lontano.
b.
In basso a sinistra, l’immagine di un lontano ammasso di galassie (dal nome MACS J0647+7015) osservato per lungo tempo con il telescopio spaziale Hubble. L’enorme quantità di materia oscura presente nell’ammasso agisce come lente gravitazionale e fa convergere verso di noi la luce proveniente dalle galassie retrostanti (come visualizzato al centro della figura). Tra queste, la galassia MACS0647-JD, visibile nel riquadro, è la più lontana mai osservata. La sua luce arriva a noi oggi essendo partita 13,3 miliardi di anni fa.
c.
Mappa dell’universo primordiale ottenuta dal satellite Planck (la cui immagine è stata aggiunta alla mappa), tramite misure del fondo cosmico di microonde. Le macchie rosse e blu rappresentano piccole fluttuazioni di temperatura del gas incandescente che riempiva l’universo 13,7 miliardi di anni fa, 380.000 anni dopo il Big Bang: le parti blu sono le parti più fredde, le parti rosso-arancioni quelle più calde. Queste fluttuazioni potrebbero essersi generate nel periodo dell’inflazione (vd. [as] Crescita in tempi di inflazione) pochi attimi dopo il Big Bang. Dalle risultanti fluttuazioni di densità si formeranno poi tutte le strutture cosmiche (galassie, ammassi di galassie, superammassi).
Queste condizioni si verificano nei primi 380.000 anni dopo il Big Bang: tramite la luce possiamo sondare l’universo per 13,7 miliardi di anni nel passato, arrivando a “soli” 380.000 anni dal Big Bang, ma non oltre. Data la elevata temperatura, dalla fase primeval fireball si sono liberati luce visibile e raggi ultravioletti che, a causa del redshift, si sono trasformati oggi in flebili microonde. Scoperto nel 1965, il fondo cosmico di microonde (CMB, Cosmic Microwave Background) rappresenta la conferma diretta della primeval fireball. Ne è stata misurata la distribuzione di energie con un’enorme precisione (misura per la quale John Mather ha ottenuto il premio Nobel nel 2006). L’esperimento Boomerang nel 2000 ha rivelato l’esistenza di regioni leggermente più calde e leggermente più fredde e, successivamente, l’esperimento Planck, grazie alla sua maggiore risoluzione, ha permesso uno studio molto più dettagliato di queste anisotropie (vd. approfondimento). Planck ha stabilito per la prima volta quante delle microonde ricevute provengono dall’universo primordiale, quante dallo spazio extragalattico, quante dalla nostra galassia e quante dallo strumento stesso. Motivo per cui la mappa di Planck del fondo cosmico di microonde è la più accurata, dettagliata e affidabile mai realizzata. In linea di principio esistono anche dei metodi per sondare l’universo ancora più primordiale. Uno, indiretto, è lo studio delle abbondanze degli elementi. I nuclei più leggeri (idrogeno, deuterio, elio e litio) si sono formati, infatti, nei primi tre minuti dopo il Big Bang, quando la temperatura era così alta da permettere reazioni di fusione termonucleare. Usando la fisica nucleare è possibile stabilire le abbondanze dei diversi prodotti delle fusioni. Osservando nubi ancora non contaminate dalla presenza di stelle (che fondono i nuclei leggeri, creando nuclei più pesanti) si può ottenere un’ulteriore verifica della teoria del Big Bang. Un altro metodo indiretto è lo studio dello stato di polarizzazione (vd. in Asimmetrie n. 12, approfondimento Fotoni polarizzati e intrecci quantistici, ndr) del fondo cosmico di microonde. Se davvero c’è stata l’inflazione, si sono prodotte onde gravitazionali di grandissima lunghezza d’onda, che determinano una caratteristica configurazione di polarizzazione del fondo cosmico di microonde. Se si riuscissero a eseguire misure ultraprecise di questa configurazione, potremmo confermare l’ipotesi dell’inflazione e stabilirne l’energia (stiamo parlando di scale intorno ai 1019 GeV, tipiche dei primi istanti dopo il Big Bang, non raggiungibili dagli acceleratori di particelle, ma interessantissime per la fisica fondamentale). Per fare questo servirebbe una missione spaziale per lo studio del fondo cosmico di microonde di nuova generazione, come Core (Cosmic ORigin Explorer) e Prism (Polarized Radiation Imaging and Spectroscopy Mission), proposte di recente. L’osservazione diretta sembra invece di là da venire. I neutrini “cosmologici” (di bassissima energia) e le onde gravitazionali possono attraversare la primeval fireball senza interazioni apprezzabili. Ma proprio perché interagiscono così poco con la materia, dovremo aspettare molti anni prima di riuscire a sviluppare astronomie basate su questi evanescenti portatori di informazione.
[as] approfondimento
Un accordo entusiasmante

1.
Lo spettro di potenza della mappa del fondo cosmico di microonde di fig. c. In funzione delle dimensioni angolari delle fluttuazioni di temperatura, è riportata l’entità delle fluttuazioni. La successione di picchi è dovuta alle oscillazioni del gas incandescente di materia e luce che riempiva l’universo 13,7 miliardi di anni fa. I punti rossi rappresentano i dati sperimentali, le barre rosse i loro errori di misura. La linea blu rappresenta la previsione teorica, che risulta perfettamente in accordo con i dati.

Il telescopio Planck, che si trova a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, ha perlustrato il cielo in lungo e in largo, registrando la luce proveniente dall’intero universo (nelle frequenze comprese tra 30 e 857 GHz). La radiazione cosmica di fondo presenta un’elevata isotropia, ovvero un’elevata omogeneità in tutte le direzioni. Guardando la mappa di Planck in fig. c potrebbe non sembrare così, ma le minuscole disomogeneità che si possono osservare corrispondono in realtà a piccolissime fluttuazioni di temperatura, minori di una parte su 10.000, e sono il riflesso delle fluttuazioni di densità e temperatura dell’universo primordiale. L’analisi dell’entità di queste fluttuazioni di temperatura in funzione delle loro dimensioni angolari (vd. fig. 1) conferma in maniera spettacolare il modello standard cosmologico, basato su pochi parametri: il tasso di espansione dell’universo, le quantità relative della radiazione, della materia normale, della materia oscura e dell’energia oscura e un indice che descrive le fluttuazioni iniziali di densità all’origine delle strutture cosmiche. Alcuni di questi parametri sono empirici: non abbiamo ancora una descrizione fisica soddisfacente della materia oscura, dell’energia oscura e nemmeno dei processi che provocano le fluttuazioni iniziali di densità, che potrebbero trovare una spiegazione nella teoria dell’inflazione. Ma l’accordo tra i dati e il modello, come mostra la figura, è entusiasmante.

Biografia
Paolo de Bernardis è professore di astrofisica all’Università di Roma La Sapienza. La sua ricerca è focalizzata sul fondo cosmico di microonde: ha coordinato l’esperimento Boomerang e ha contribuito all’esperimento Hfi a bordo del satellite Planck. È membro dell’Accademia dei Lincei e autore di più di 300 pubblicazioni specialistiche e del libro divulgativo “Osservare l’Universo” (Il Mulino, 2010).

 

Link
http://www.inaf.it
http://www.vialattea.net/cosmo/
http://map.gsfc.nasa.gov/
http://www.satellite-planck.it/
www.core-mission.org
www.prism-mission.org


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