Fantasmi e camaleonti
I neutrini al centro della fisica fondamentale
di Lucia Votano
C’è una parola italiana che in tutte le lingue del mondo identifica una particella elementare protagonista di un’avventura scientifica iniziata novant’anni fa, quando Wolfgang Pauli ne ipotizzò l’esistenza nel decadimento beta dei nuclei. Pauli la chiamò “neutrone” (il neutrone vero, costituente dei nuclei, non era ancora stato scoperto), ma Enrico Fermi fece notare che per una particella così leggera era più appropriato usare un tipico diminutivo italiano, e la ribattezzò “neutrino”. Era il 1933 e da allora il nome è rimasto quello, per tutti. Sappiamo oggi che i neutrini rientrano nella categoria dei leptoni (le particelle non soggette alla forza forte) ed esistono in tre diverse specie, o sapori, associate ai tre leptoni carichi (elettrone, muone, tauone): il neutrino elettronico, scoperto nel 1956 (un quarto di secolo dopo la predizione di Pauli), il neutrino muonico, scoperto nel 1962, e il neutrino tauonico, scoperto nel 2000. Sono le particelle di materia più vicine al niente che esistano: privi di carica elettrica, con una massa molto piccola, che ancora non siamo riusciti a misurare, interagiscono pochissimo con la materia e unicamente tramite la forza debole. Arrivano dritti sino a noi dall’universo più remoto, viaggiando quasi alla velocità della luce e recando informazioni sui fenomeni celesti che li hanno generati; per contro, proprio a causa della scarsissima probabilità di interazione, la loro rivelazione richiede giganteschi apparati sperimentali. Eppure, nell’universo visibile, i neutrini sono, assieme ai fotoni, le particelle più numerose. Apparsi liberi ben prima della luce, un secondo dopo il Big Bang, costituiscono oggi, dopo quasi 14 miliardi di anni, un fondo diffuso in tutto l’universo, una specie di gas freddissimo alla temperatura di 1,9 gradi sopra lo zero assoluto.
Il flusso dei neutrini (cioè il numero di neutrini per cm2, per secondo e per MeV di energia) provenienti da varie sorgenti. I neutrini più abbondanti e di più bassa energia sono quelli cosmologici, prodotti subito dopo il Big Bang. All’estremo opposto dello spettro, i neutrini di più alta energia sono i neutrini cosmogenici, prodotti dall’interazione dei raggi cosmici con i fotoni della radiazione cosmica di fondo.
Riuscire a rivelare questi neutrini fossili di bassissima energia (circa 350 per centimetro cubo) ci consentirebbe di osservare l’universo nei suoi primissimi istanti di formazione. All’altro estremo dello spettro energetico, l’esperimento IceCube, tra i ghiacci del Polo Sud, ha misurato un flusso diffuso di neutrini astrofisici di energia molto elevata, tra le decine di TeV e i PeV (vd. fig. a), di probabile origine extragalattica. Una scoperta strettamente connessa con l’enigma dell’origine e dell’accelerazione dei raggi cosmici di energia estrema (fino a 1020 eV), che si ritiene siano generati al di fuori della nostra galassia da eventi cosmici d’inaudita violenza. Tuttavia, solo i raggi gamma (fotoni estremamente energetici) e i neutrini, prodotti secondari delle interazioni dei raggi cosmici in prossimità delle sorgenti, possono aiutarci a identificare cosa li ha generati, perché, essendo neutri, non sono deviati dai campi magnetici cosmici. Per la prima volta nel 2017, c’è stata l’osservazione congiunta di un neutrino di energia di 290 TeV in IceCube e di raggi gamma nei rivelatori Fermi-Lat e Magic, provenienti dalla stessa direzione in cui è stato individuato come possibile sorgente un blazar già noto, TXS 0506+056: una galassia attiva con un buco nero super massiccio al centro, distante da noi 4,5 miliardi di anni luce. Con l’astronomia neutrinica associata alla rivelazione di fotoni si è aperta una nuova finestra di osservazione dell’universo, che nel futuro il telescopio sottomarino Km3net/Arca potrebbe ampliare nell’emisfero Nord del pianeta (vd. p. 34, ndr). Altre importantissime sorgenti naturali di neutrini sono le reazioni di fusione nucleare che alimentano le stelle, come il nostro Sole (dal quale giungono sulla Terra 60 miliardi di neutrini al secondo per centimetro quadrato). Anche l’ultimo violento sospiro di una stella che si spegne per esaurimento del combustibile, accendendo una supernova, è fatto di neutrini. Geoneutrini sono poi emessi nei decadimenti degli isotopi di uranio, torio e potassio, presenti nel mantello e nella crosta terrestre.
E persino noi emettiamo neutrini (circa 5000 al secondo) a causa dei decadimenti degli isotopi radioattivi presenti nel nostro corpo. Come messaggeri cosmici, i neutrini suscitano oggi molto interesse, ma il mistero principale legato a essi riguarda la natura e i valori delle loro masse. In fisica classica la massa è una quantità fondamentale, una proprietà della materia apparentemente facile da intuire. Al contrario, nella fisica moderna il concetto ha subito uno sconvolgimento totale e oggi la massa ci appare piuttosto come una manifestazione dell’interazione di campi quantistici. A seguito della scoperta del bosone di Higgs nel 2012 sappiamo che le particelle elementari del modello standard acquistano massa nell’interazione con l’omonimo campo, anche se in realtà non sappiamo ancora spiegare le diverse intensità dell’accoppiamento. Per i neutrini va ancora peggio: nella sua forma originaria il modello standard prevedeva che avessero massa nulla come il fotone, ma alla fine del secolo scorso si è scoperto che oscillano, cioè cambiano la loro identità viaggiando nello spazio e nel tempo, trasformandosi ciclicamente da un sapore a un altro, il che è possibile solo se hanno masse non nulle e diverse tra loro. Si tratta di un fenomeno quantistico, teorizzato da Bruno Pontecorvo nel 1957, per cui i tre neutrini di massa definita sono una miscela dei tre neutrini di diverso sapore prodotti nelle interazioni deboli. Le frequenze di oscillazione dei neutrini dipendono dalle differenze dei quadrati delle loro masse e non possono quindi aiutarci a determinarne il valore assoluto (vd. fig. c). La scoperta di questo fenomeno e la misura dei parametri che lo caratterizzano possono essere viste come un grande mosaico il cui disegno ha cominciato a svelarsi solo quando è stato incastrato un numero sufficiente di tessere. Tutto cominciò negli anni ’60 con l’osservazione, da parte di Raymond Davis nell’esperimento Homestake in South Dakota, di un significativo deficit rispetto al flusso atteso dei neutrini elettronici solari di più alta energia. Tessera dopo tessera, misurando con tecniche diverse le varie componenti dello spettro dei neutrini solari, si giunse all’inizio del nuovo millennio, quando l’esperimento Sno in Canada, in grado di rivelare le interazioni dei neutrini di tutti i sapori, fornì la prova conclusiva che il deficit era imputabile alla trasformazione dei neutrini elettronici solari in altri sapori nel viaggio fino alla Terra. Nel frattempo, nel 1998, l’esperimento giapponese Super-Kamiokande aveva fornito una chiara evidenza delle oscillazioni di neutrini muonici, presenti nei raggi cosmici secondari che raggiungono la superficie terrestre, in neutrini tauonici. Per osservare il fenomeno dell’oscillazione in modo più controllato sono stati prodotti con gli acceleratori di particelle fasci artificiali di neutrini muonici di intensità nota, associati a esperimenti capaci di misurare l’entità della loro parziale scomparsa a distanza di diverse centinaia di chilometri dalla sorgente. Dopo il fascio Numi e l’esperimento Minos negli Stati Uniti, fu realizzato il progetto Cngs: un fascio di neutrini muonici viaggiava dal Cern verso il Gran Sasso, dove c’era l’esperimento Opera che, identificando 10 neutrini tauonici tra i quasi 20.000 eventi da neutrini muonici registrati nell’apparato, ha fornito la prima prova diretta della trasformazione dei neutrini muonici in tauonici (vd. p. 14, ndr). Infine, nell’ultimo decennio, gli esperimenti Daya Bay in Cina, Reno in Corea e, per ultimo, Double Chooz in Francia, misurando a opportuna distanza la scomparsa degli antineutrini elettronici emessi da centrali nucleari, hanno aggiunto ulteriori importanti misure di alcuni dei parametri propri dell’oscillazione di queste particelle. Le masse non nulle dei neutrini sono un chiaro segnale di nuova fisica oltre il modello standard, tuttavia non ne conosciamo ancora il valore e non sappiamo come sono ordinate tra loro; inoltre, non riusciamo a spiegare perché i neutrini siano tanto più leggeri delle altre particelle e rimane incerto il meccanismo che conferisce loro la massa.
Ogni secondo il nostro corpo è attraversato da 500.000 miliardi di neutrini provenienti dal Sole e da 50 miliardi di geoneutrini provenienti dalle profondità della Terra. Noi stessi emettiamo circa 5000 neutrini al secondo a causa dei decadimenti degli isotopi radioattivi presenti nel nostro corpo. Siamo poi immersi in un gas di neutrini prodotti nei primi istanti di vita del cosmo (ce ne sono circa 350 in ogni cm3 dell’universo).
Gli stati di neutrino di massa definita (indicati con ν1, ν2, ν3) sono miscele degli stati di definito sapore (neutrino elettronico, neutrino muonico, neutrino tauonico, indicati con un diverso colore). Si conosce l’ordinamento delle masse degli stati ν1 e ν2, ma non si sa se la massa dello stato ν3 è maggiore (gerarchia normale) o minore (gerarchia inversa) delle altre due masse.
Lo studio dei neutrini elettronici emessi dal Sole e della loro interazione collettiva con gli elettroni nella materia ci ha consentito di conoscere l’ordine di due delle masse ma non si sa ancora se la terza massa sia superiore o inferiore alle altre. Queste due possibilità sono note rispettivamente come gerarchia diretta e inversa (vd. fig. c). Per capire quale sia l’ordine corretto, si possono usare due metodi. Il primo consiste nello sfruttare ancora l’interazione dei neutrini con gli elettroni, che produce esiti diversi nel caso di gerarchia diretta e inversa. Per massimizzare l’effetto si utilizzano come sorgenti i neutrini atmosferici provenienti dalla parte opposta del pianeta rispetto al sito del rivelatore (esperimenti Pingu e Orca) oppure fasci artificiali di neutrini con apparati posti a grande distanza (esperimento Noνa e, nel futuro, Hyper-Kamiokande e Dune). La seconda tecnica consiste nel misurare con enorme precisione in un rivelatore di grandi dimensioni, posto ad alcune decine di chilometri dalla sorgente, la scomparsa degli antineutrini elettronici emessi dalle centrali nucleari.
Questa è la tecnica dell’esperimento Juno che sarà operativo entro il 2021 nel sud della Cina. I neutrini potrebbero essere anche la chiave per risolvere il grande enigma dell’asimmetria cosmologica tra materia e antimateria. È ragionevole ritenere che, all’inizio di tutto, l’universo contenesse un ugual numero di particelle e antiparticelle, le quali interagendo avrebbero dovuto progressivamente annichilirsi in pura energia dando luogo a un universo privo di strutture materiali. Come mai allora esistono stelle e galassie fatte di materia e non di antimateria? L’ipotesi più probabile è che, sul finire del periodo di espansione inflazionaria dell’universo, un’impercettibile asimmetria in una delle leggi che governano le particelle elementari abbia determinato il sopravvento dei barioni (protoni, neutroni, ecc.) sugli antibarioni: la cosiddetta bariogenesi.
La violazione della simmetria CP (l’invarianza delle leggi fisiche rispetto all’inversione degli assi spaziali e al cambiamento di carica) è uno degli ingredienti necessari di ogni possibile teoria di bariogenesi, che richiede comunque, alla luce delle osservazioni sperimentali a noi note, un’estensione del modello standard (vd. Lo specchio rotto, ndr). Uno dei meccanismi di bariogenesi ipotizzato, detto “leptogenesi”, potrebbe riuscire a mettere in relazione e spiegare sia la massa dei neutrini sia l’asimmetria materia-antimateria.
Si suppone in questo caso che alle energie altissime dell’universo appena nato potessero essere presenti anche neutrini molto pesanti e non interagenti, detti perciò “sterili”, che decadendo in modo asimmetrico in altre particelle avrebbero creato quel piccolissimo eccesso di materia che ha dato origine al nostro universo, mentre tutto il resto si trasformava in bagliori di luce primordiale. La teoria prevede anche che quanto più è grande la massa dei neutrini sterili, tanto più è piccola la massa dei neutrini a noi noti, con un meccanismo ad altalena (seesaw) che riuscirebbe a spiegare l’enorme differenza tra le masse dei neutrini e quelle delle altre particelle elementari (vd. Tre uomini e un neutrino e Gli indifferenti, ndr).
La leptogenesi richiede inoltre che i neutrini sterili non siano particelle del tipo di Dirac, ma particelle di Majorana, coincidenti cioè con le proprie antiparticelle. Questa particolare natura potrebbe in linea di principio essere dimostrata cercando di misurare un processo mai osservato finora, il doppio decadimento beta senza neutrini (vd. Il fascino dell'assenza, ndr), come cercano di fare ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso gli esperimenti Cuore e Gerda, quest’ultimo al momento il più sensibile al mondo. La sola speranza di un risultato positivo in questo campo, stante il livello di sensibilità di tutti gli esperimenti, è però legata all’ipotesi che la gerarchia di massa sia quella inversa.
Altri elementi di prova a favore della teoria della leptogenesi possono essere ottenuti attraverso la misura della violazione della simmetria CP a bassa energia con i neutrini già noti.
Risultati molto incoraggianti sono recentemente arrivati dall’esperimento giapponese T2K che ha trovato che il numero di antineutrini muonici che oscillano in antineutrini elettronici è inferiore rispetto a quello dei neutrini muonici oscillanti in neutrini elettronici (vd. Apparizioni e sparizioni, ndr). Nel futuro risposte definitive sulla misura della violazione di CP potrebbero arrivare dagli esperimenti Hyper-Kamiokande e Dune (vd. Il neutrino che verrà, ndr). Guardando alle prospettive future nel panorama mondiale dello studio dei neutrini, possiamo concludere che ci attendono notevoli progressi sia nella comprensione delle loro caratteristiche sia nel loro impiego come sonde di esplorazione dell’universo. È veramente entusiasmante come il neutrino non cessi mai di sorprenderci: paragonabile a un fantasma per la sua elusività e a un camaleonte per la sua capacità di trasformarsi da un sapore a un altro, è anche l’indiziato principale per la scomparsa dell’antimateria dell’universo.
Biografia
Lucia Votano, è dirigente di ricerca emerita dei Laboratori Nazionali di Frascati. Già direttrice dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, si occupa di fisica dei neutrini e partecipa all’esperimento Juno in costruzione nella Cina meridionale. Ha pubblicato “La via della seta. La fisica da Enrico Fermi alla Cina” con Di Renzo Editore.