[as] con altri occhi
Topolino al Cern.

di Alessandro Bencivenni, sceneggiatore


a.
Una tavola della storia a fumetti Topolino e l’acceleratore nucleare, comparsa sul n. 1563 di Topolino il 10 novembre 1985. La storia, sceneggiata da Alessandro Bencivenni e disegnata da Massimo De Vita, è ambientata al Cern di Ginevra nel periodo in cui era in costruzione il Lep, all’epoca il più grande acceleratore di particelle esistente, oggi sostituito da Lhc.
Pur avendo una formazione umanistica e non scientifica, ho sempre nutrito interesse per l’astrofisica, poiché risponde in fondo alle stesse domande della filosofia. Il mio lavoro si svolge in tutt’altro campo (sono sceneggiatore e critico cinematografico), ma ho accolto volentieri l’invito in questa rubrica. Lo faccio con tre brevissime testimonianze: come autore, spettatore e critico.
All’inizio della mia carriera scrivevo sceneggiature per Topolino. Trovandomi a Ginevra, visitai il Cern e presi spunto dall’annuncio della costruzione del nuovo acceleratore per una storia che fu pubblicata nell’85: Topolino e l’acceleratore nucleare. Per l’occasione, mi feci scrupolo di fornire alcune foto degli impianti al disegnatore, Massimo De Vita, per garantire a quella vicenda di fantasia un’attendibilità divulgativa. Con mia sorpresa, gli scienziati del Cern vennero a conoscenza del fumetto e fui contattato dal direttore della biblioteca che me ne chiese una copia. Di recente, dopo l’ultimazione di Lhc, quella vecchia storia è tornata di attualità e una troupe del TG ha dato conto della presenza al Cern di quelle tavole. Nulla mi lusinga e mi diverte più dell’idea che quella storiella sia esposta in un solenne tempio della scienza dove si investiga l’origine dell’Universo. Come spettatore, non posso fare a meno talvolta di sorridere per le eresie scientifiche contenute nei film. Purtroppo, non ho avuto occasione di gettare un ponte fra il mondo della finzione e quello della ricerca,né sembra probabile che questo possa accadere in futuro, visto che mi occupo per lo più di cinema comico. Mi è di conforto, tuttavia, una notizia curiosa: che proprio l’esponente di un cinema che apparentemente si colloca agli antipodi di ogni scrupolo di attendibilità scientifica (Jerry Zucker, il regista dell’esilarante Aereo più pazzo del mondo), si sia fatto carico di fondare con un fisico il programma Science & Entertainment Exchange, finalizzato a garantire una base scientificamente più corretta alle finzioni hollywoodiane.
Al di là dei rapporti diretti tra cinema e scienza, credo che l’influenza reciproca più importante sia da ricercarsi sul piano filosofico, ossia sul concetto che abbiamo oggi di realtà oggettiva. In un mio recente libro (Alessandro Bencivenni, Ricordare sognare sceneggiare, Le Mani, Recco 2009), mi sono avventurato in uno spericolato paragone fra il paradosso Einstein-Podolsky-Rosen (EPR) e il film di Kieslowski La doppia vita di Veronica. Come il paradosso EPR analizza il legame apparentemente misterioso che condiziona reciprocamente due particelle dopo la loro separazione, così il film di Kieslowski indaga il legame misterioso fra due ragazze omonime, i cui destini appaiono condizionarsi a vicenda anche se le due non hanno modo né di conoscersi, né di comunicare. Qui non si tratta ovviamente di azzardare un confronto diretto, ma solo un’analogia simbolica. Il paradosso EPR ha infatti implicazioni interessanti sulla concezione della realtà. È stato ipotizzato che le due particelle appartengano a due universi caratterizzati da sorti diverse e tuttavia collegate: universi molteplici, tali che mentre l’osservazione si concentra su uno dei possibili stati di una particella, tutti gli altri esistono contemporaneamente, evolvendosi ciascuno secondo la sua legge. Ciò che mi affascina, come narratore, è che questo principio non sembra lontano da quello che presiede agli sviluppi alternativi di una storia. Oggi infatti, al concetto lineare e unidirezionale di trama si affianca sempre più spesso la sperimentazione di strutture narrative alternative o sovrapposte.
In conclusione, ogni escursione nel genere fantastico ci obbliga a interrogarci sul senso di realtà, che ha perso in generale la sua assolutezza, tanto che il principio di indeterminazione è ormai invalso anche nel senso comune. Il concetto di mistero non è più relegato alla sfera dell’immaginazione, ma ci appare connaturato alla natura stessa del mondo fisico. Così com’è apparentata, sia in campo estetico che scientifico, la sfida della ricerca.

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