[as] radici
Semplice come un'altalena.

di Carlo Bernardini - fisico e professore emerito presso l'Università La Sapienza di Roma

Come si fa per rompere qualcosa? Bisogna colpirla con l’energia necessaria. Naturale allora che i fisici, per rompere i nuclei atomici e capire come sono fatti dentro, abbiano pensato a un “cannone elettrico”, una specie di macchina per fare fulmini (scariche elettriche) con cui impartire grande energia a “proiettili” elettrizzati da sparare su un bersaglio atomico. Nasce così il tubo acceleratore, un lungo tubo sotto vuoto ai cui estremi c’è una sorgente di ioni (atomi ionizzati, generalmente di idrogeno, quindi protoni) e dall’altra parte il bersaglio.
Tra questi due estremi un generatore di tensione fa una differenza di potenziale dell’ordine del milione di Volt. Una tra le prime di queste macchine elettriche per fisici la costruiscono, in Gran Bretagna, Sir John Douglas Cockcroft (1897-1967) e Ernest Thomas Sinton Walton (1903-1994), usando un generatore (moltiplicatore di tensione in cascata, una sorta di trasformatore) ideato da un ingegnere tedesco, tale Heinrich Greinacher (attivo tra gli anni 1915 e 1945). Sono impianti lunghi molti metri, verticali.

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Primo ciclotrone costruito da E. O. Lawrence nel 1931.

I problemi delle scariche elettriche e dell’isolamento sono notevoli. Anche in Italia c’è un forte interesse per questi primi acceleratori e se ne occupano in particolare Edoardo Amaldi e Franco Rasetti, entrambi nel gruppo di Enrico Fermi ospitato da Orso Mario Corbino presso l’Istituto di via Panisperna (I ragazzi di via Panisperna). Poi di acceleratori elettrostatici ne avremo uno, presso l’Istituto Superiore di Sanità, alla fine degli anni ’30 del ’900, quando ormai Fermi sta andando via per colpa delle leggi razziali che potrebbero colpire la moglie Laura. Ma Fermi, e con lui Amaldi ed Emilio Segrè, avrebbero voluto un acceleratore più “energico”: non 1 milione di Volt ma decine di milioni di Volt. Segrè era stato in California, a Berkeley, nel 1936, e aveva visto una cosa nuova e, per quell’epoca, straordinaria.

b.
Ernest Orlando Lawrence nel 1939 Berkeley.
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Emilio Segrè nel 1959 a Berkeley.

Il grande passo lo aveva fatto un giovane americano, Ernest Orlando Lawrence che, nel 1929, ispirato dalle idee originali di un brillante ingegnere-inventore norvegese, Rolf Wideroe, aveva avuto l’idea di usare un trucco molto semplice per impartire l’energia gradualmente ai proiettili in moto, a piccole “sberle” come nel caso di un’altalena: costruisce così un nuovo acceleratore, un modellino con un magnete di appena 4 pollici di diametro (1 pollice = 2,54 cm), che funzionerà nel 1931.
Il trucco si chiama “accelerazione risonante” e consiste nel far passare a intervalli di tempo fissi le particelle cariche che ruotano in un magnete e passano perciò più volte in una differenza di potenziale alternata, piccola ma sincronizzata, in modo da accelerare a ogni passaggio. Il modellino crebbe rapidamente fino a raggiungere i 6 MeV (milioni di Volt applicati alla carica unitaria pari a quella dell’elettrone). Lawrence regala a Segrè una barretta di molibdeno irradiato nel ciclotrone, Segrè se lo porta a Palermo, dove ha ancora (per poco: le leggi razziali lo rispediranno in California) la cattedra. A Palermo, lui e il geochimico Perrier scoprono con pazienti prove che parte della radioattività prodotta dal campione irradiato nel ciclotrone con nuclei accelerati di deuterio (l’isotopo dell’idrogeno di numero di massa A = 2) viene dall’elemento con numero atomico Z = 43, che corrisponde a una casella vuota della tabella di Mendeleev.
È un trionfo! La scoperta è sicura, a differenza di quella dei coniugi Noddack che avevano creduto di trovarlo e lo avevano persino chiamato masurio. L’elemento nuovo si chiamerà tecnezio (Tc) e, molto tempo dopo, avrà una importante applicazione nella medicina, con il nome di scintigrafia. Poco prima della Seconda Guerra Mondiale, Fermi e Amaldi sognano un ciclotrone perché la fisica nucleare si sviluppi anche in Italia, al passo con quello che accade altrove, specie negli Stati Uniti. Anche i francesi, Frederic Joliot e Irene Curie (figlia di Marie) vorrebbero macchine così. Ma per questi paesi costano troppo: in Italia, a quell’epoca, un investimento in ricerca si aggirava, quando tutto andava bene, sulle 500.000 lire dell’epoca(il costo di una buona automobile era dell’ordine di poche migliaia di lire). Amaldi, l’unico rimasto, getta la spugna. Il primo ciclotrone che finalmente vedrà è quello del Cern di Ginevra, da 600 MeV, con cui nei primi anni ’50 del ’900 incomincerà la nuova stagione della fisica in tutta Europa. Ma dai tempi di Lawrence, un altro passo è stato fatto: il ciclotrone di Ginevra sarà in realtà un sincrociclotrone, una enorme macchina in cui la difficoltà della variazione della massa relativistica dei protoni accelerati sarà compensata da una modulazione della frequenza del potenziale acceleratore. I sovietici, per non essere da meno, avranno un sincrociclotrone quasi identico a Dubna, il laboratorio vicino a Mosca.

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