[as] radici
Il mio ricordo della “pila”.

di Laura Fermi

[as] approfondimento
Energia e tempo



1.
Da sinistra, Enrico, Laura e il figlio Giulio Fermi.
Il 2 dicembre 1942 l’équipe di Enrico Fermi realizzò a Chicago una reazione a catena controllata, producendo energia dalla fissione dell’uranio. La “pila critica” CP-1, costruita in un campo da squash dell’Università, fu il primo reattore nucleare della storia. La “pila” era l’esito finale delle ricerche sulla radioattività indotta da neutroni compiute negli anni ’30 dal gruppo di via Panisperna, e rappresentò il punto di partenza scientifico del cosiddetto “Progetto Manhattan”. La moglie di Fermi, Laura, emigrata negli Stati Uniti assieme al marito pochi anni prima a causa delle leggi razziali del governo fascista, rievoca l’episodio in queste pagine, tratte dall’articolo Some personal reminiscences comparso nel 1962 sullo Iaea Bulletin e ripubblicato nel volume Enrico Fermi. Significato di una scoperta, Ain - Enea, 2001 (traduzione di Bianca Franco).
 

Non sapevo nulla a quell’epoca del lavoro che si svolgeva presso il Laboratorio Metallurgico di Chicago durante la guerra. L’ultima notizia eccitante che mi fosse giunta, in materia scientifica, era stata quella concernente la fissione: erano gli inizi del 1939 e noi Fermi ci trovavamo solo da qualche settimana a New York, dove eravamo andati a stabilirci per sfuggire all’Italia fascista. […] Poco dopo aver appreso della fissione, seppi anche da Fermi che gli era accaduto di accertare che durante il processo di fissione poteva esservi emissione di neutroni, e che tale ipotesi, che era stata esaminata con Bohr durante un incontro teorico, aveva suscitato grande interesse. Poi si mise a spiegarmi il principio della reazione a catena. Ma ad un certo momento, durante le settimane seguenti, la famosa cappa della segretezza calò sull’attività atomica. Una segretezza che gli stessi fisici, incluso Fermi, rispettarono a malincuore, rinnegando le loro tradizioni, appena capirono quali implicazioni belliche potesse avere l’energia nucleare. Io fui tagliata fuori da qualsiasi informazione riguardante il lavoro di Fermi e, dunque, non potevo sapere che allo scopo di tentare di realizzare una reazione a catena, Fermi e Leo Szilard avevano concepito l’idea di costruire una “pila”. È vero che una volta, in mia presenza, qualcuno menzionò di aver visto una montagna di carbone nell’edificio di fisica, ma non diedi molta importanza alla cosa e Fermi mi disse di dimenticarmela. Null’altro trapelò dopo questo episodio. […] Nella primavera del 1942 Fermi si trasferì a Chicago, dove tutto il lavoro concernente la reazione a catena si svolgeva sotto la direzione di Arthur Compton. […] A Chicago la segretezza era più organizzata, molto più tangibile che alla Columbia University. Vi erano guardie in tutti i Laboratori del Progetto Metallurgico, alcuni ricercatori erano forniti di guardie del corpo, alle mogli venivano fatte conferenze sui gravi pericoli dei discorsi sbadati, bisognava rispettare certe regole; un numero incredibilmente vasto di gente, trovandosi riunita per uno stesso scopo, accettò questa inevitabile segretezza. Fermi era abilissimo nel custodire segreti ed io non riuscii mai a cavar fuori dalla sua bocca qualcosa che riguardasse il progetto, nemmeno il segreto meno importante, e cioè che al Laboratorio Metallurgico non c’erano metallurgisti. Con il tempo, quando ci fummo sistemati ed io incontrai più gente, fui io a riferirgli i pettegolezzi esterni: “Dicono che al Met Lab state lavorando ad una cura per il cancro”, gli dissi un giorno e la sua unica risposta fu: “Ah sì, è questo che dicono?”. E un’altra volta: “La gente che vive vicino ai West Stands dice che ogni tanto le loro case tremano e che ciò è dovuto ad una macchina costruita da voi fisici”. “Davvero?”, rispose Fermi. Non mi ricordo di aver provato irritazione a queste risposte evasive. Esse facevano parte di un gioco in cui io cercavo senza molta convinzione, di ottenere informazioni; invariabilmente finivo sconfitta. […] Del giorno della prova finale, il 2 dicembre, ebbi varie descrizioni, dato che i testimoni non erano riluttanti a ricordarlo. Erano tutti d’accordo su un punto: Fermi era rimasto calmo mentre dirigeva l’esperimento, forse il più calmo fra tutti i presenti. A volte ho pensato che nei commenti dei suoi amici ci fosse una punta di critica per la sua imperturbabilità in un tale momento, come se un po’ di ansia fosse stata più appropriata della sua sicurezza. Da parte mia si trattava certo di ipersensibilità, ma non potei fare a meno di pensare ad un’osservazione espressami nell’autunno del 1942 da un fisico, che era per sua natura pessimista. Dopo avermi esortata a non preoccuparmi per il mio destino, mi disse: “Se Enrico salterà in aria, salterai anche tu”. Questo mi portò ad affrontare con Fermi il problema del pericolo insito nell’esperimento della “pila”, eseguito com’era nel cuore di una grande città. Si vede che mi aspettavo una risposta in chiaro oscuro, giacché quella che mi diede lui mi parve molto arzigogolata e poco esauriente. Quando era stata costruita la “pila”, mi disse, egli ed il suo gruppo avevano preso attente misure per tutte le conseguenze possibili e si erano resi conto fino in fondo del comportamento della “pila” stessa. Non si aspettavano sorprese dalla “pila” ed erano certi che, una volta dato l’avvio alla criticità, essa si sarebbe comportata nel migliore dei modi. Purtuttavia, avendo a che fare con una cosa del tutto nuova, quale la liberazione di energia nucleare, non potevano scartare l’eventualità che un fenomeno imprevisto venisse a disturbare l’esperimento. Il rischio che correvano consisteva in questo elemento imponderabile. Allo scopo di ridurre al massimo tale rischio presero tutte le precauzioni possibili ed immaginabili. Grandi quantità di cadmio erano a portata di mano per spegnere la “pila”, qualora fosse andata fuori controllo. Le barre di sicurezza automatiche però erano tarate per scattare ad un livello troppo basso di attività, come risultò evidente quando entrarono in funzione con uno scatto secco, che Fermi interpretò come il segnale di pausa “per andare a mangiare un boccone”. L’esperimento fu condotto lentamente e con estrema cautela, passo passo, mentre Fermi controllava ripetutamente se la “pila” si comportasse secondo i calcoli. Fu così che la semplice operazione di rimuovere tutti i controlli e dare l’avvio alla “pila” durò per tutta la mattinata, e parte del pomeriggio della storica giornata del 2 dicembre 1942.

 
a.
Laura Fermi (a sinistra), mentre taglia la torta a forma di “pila” preparata all’Argonne National Laboratory per le celebrazioni del 35° anniversario della prima reazione a catena raccontata in questo articolo. È una delle ultime foto esistenti di Laura Fermi, deceduta il 26 dicembre 1977.

 


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