[as] radici
Errori di genio.

di Vincenzo Barone

a.
Foto di gruppo all’Institute di Princeton per il settantesimo compleanno di Einstein. Howard P. Robertson è il primo a sinistra. Di seguito: Wigner, Weyl, Gödel, Rabi. Il penultimo a destra è Oppenheimer.
Esistono le onde gravitazionali? Dopo la loro scoperta sperimentale, avvenuta l’anno scorso, la risposta è naturalmente affermativa e la domanda può apparire bizzarra. Ma per lungo tempo la questione è rimasta aperta anche sul piano teorico e i fisici hanno dibattuto davvero sull’esistenza delle onde gravitazionali. Perfino il loro “inventore”, Albert Einstein, fu attraversato da qualche dubbio e rischiò a un certo punto di commettere uno sbaglio, negando la realtà del fenomeno. Nel 1916, all’indomani della pubblicazione della sua fondamentale memoria sulla relatività generale, Einstein scoprì che le equazioni del campo gravitazionale, scritte in prima approssimazione, ammettevano soluzioni corrispondenti a onde dello spaziotempo prodotte da masse accelerate. La relatività generale, dunque, prevedeva che la gravità potesse propagarsi sotto forma di onde simili a quelle elettromagnetiche, viaggianti alla velocità della luce. Lo status teorico di queste onde rimase però dubbio: alcuni, infatti, ritenevano che fossero un effetto spurio di particolari scelte delle coordinate spaziotemporali. L’illustre astrofisico britannico Arthur Eddington scrisse che le onde gravitazionali viaggiavano “alla velocità del pensiero” (dal momento che la loro velocità sembrava dipendere dal sistema di coordinate adottato) e pertanto non potevano rappresentare qualcosa di oggettivo. Einstein tornò sull’argomento nel 1936 e si convinse di aver dimostrato la non esistenza di soluzioni regolari di tipo ondulatorio delle sue equazioni. Spedì il lavoro che conteneva questo risultato - scritto con il suo collaboratore Nathan Rosen e intitolato interrogativamente “Do Gravitational Waves Exist?” (“Esistono le onde gravitazionali?”) - alla Physical Review, la quale lo sottopose, come era già consuetudine a quel tempo, al giudizio di un revisore anonimo. Questi diede parere negativo alla pubblicazione, segnalando un errore nel ragionamento. Einstein, abituato a pubblicare sulle riviste tedesche che non prevedevano la peer review (e che mai si sarebbero permesse di rigettare l’articolo di un insigne scienziato), si indispettì per la procedura. “Io e Rosen ¬scrisse all’editor della rivista, John Tate - le abbiamo inviato il nostro manoscritto per la pubblicazione e non l’abbiamo autorizzata a mostrarlo ad altri specialisti prima della stampa. Non vedo alcuna ragione per replicare ai commenti, comunque erronei, del vostro esperto. A causa di questo incidente preferisco pubblicare l’articolo altrove”. Ma il revisore - che, come ha scoperto il fisico e storico Daniel Kennefick, era Howard Percy Robertson, uno dei massimi specialisti di relatività generale e di cosmologia (noto per la metrica di Robertson-Walker, che descrive la geometria dell’universo su grande scala) ¬aveva ragione: le onde che a Einstein erano sembrate affette da singolarità e perciò non fisiche, erano in realtà regolari e pienamente valide. Einstein se ne accorse alla vigilia di un seminario all’Institute di Princeton in cui avrebbe dovuto presentare la prova della non esistenza delle onde. Tenne ugualmente il seminario, illustrando il proprio errore e rinviando a nuove ricerche. Poco dopo, rifece assieme a Rosen i calcoli e ottenne una soluzione rigorosa delle equazioni del campo gravitazionale in forma di onde cilindriche. L’articolo, dal titolo non più interrogativo, “On Gravitational Waves”, comparve su una rivista di secondo piano, il Journal of the Franklin Institute, perché il suo permaloso autore decise di interrompere definitivamente ogni rapporto con la Physical Review. Einstein era consapevole del fatto che gli errori rappresentano una componente naturale e inevitabile del lavoro di ricerca e riteneva perciò che non dovessero generare particolari imbarazzi. A Leopold Infeld, che stava scrivendo assieme a lui il famoso saggio su “L’evoluzione della fisica” e che gli confessò di essere più attento del solito, visto che il libro avrebbe avuto il nome di Einstein in copertina, disse: “Non è il caso di essere così accorti. Ci sono anche lavori sbagliati con la mia firma”.
 
b.
L’articolo sulle onde gravitazionali cilindriche pubblicato da Einstein e Rosen sul Journal of the Franklin Institute.

 


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