[as] intersezioni
Luce sulle molecole.

di Mariangela Cestelli Guidi
ricercatrice Laboratori Nazionali di Frascati

a.
Radiografia a contrasto di fase di una lucertola con luce di sincrotrone di energia pari a 17 keV. Si riesce a vedere ciò di cui la lucertola si è nutrita.
Quando osserviamo un oggetto alla luce del Sole, i nostri occhi rivelano la componente della luce diffusa dalla sua superficie e il colore è determinato da quelle componenti dello spettro solare che non vengono assorbite. La luce quindi, sotto forma di fotoni (il messaggero più antico che conosciamo), porta con sé un’informazione legata al suo passaggio sulla superficie di un materiale. Se guardiamo questo fenomeno su una scala più ampia - la luce visibile, infatti, è solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico - ci accorgiamo che la nostra vita quotidiana ci mostra in continuazione esempi in cui la radiazione elettromagnetica, anche e soprattutto quella non visibile, porta con sé informazioni sulle proprietà degli oggetti che attraversa: uno scanner in aeroporto, una radiografia in ospedale o una Tac sono tutte tecnologie basate sull’assorbimento di energia elettromagnetica da parte di corpi con proprietà diverse. Questo fenomeno è alla base della “spettroscopia”, la scienza che studia in che modo lo spettro della radiazione elettromagnetica viene modificato dall’interazione con un materiale (vd. Spettri, ndr). Scegliendo opportunamente la sorgente di radiazione, possiamo studiare le proprietà microscopiche di un qualsiasi materiale attraverso il suo spettro di assorbimento, che può rivelare tutta l’informazione molecolare, elettronica, strutturale o magnetica. Le cose si complicano se la quantità di materiale da studiare è molto piccola, come ad esempio una molecola o una cellula umana: per avere un segnale rivelabile è necessario utilizzare una sorgente di radiazione elettromagnetica con una potenza molto elevata oppure fare in modo che tutta la radiazione sia emessa unicamente in direzione dell’oggetto che vogliamo studiare. Questa proprietà, ossia il flusso per unità di superficie, è detta “brillanza” ed è la stessa per cui possiamo vedere un fascio laser a centinaia di metri di distanza, mentre non è possibile per la luce di una torcia elettrica. Negli anni ’60, assieme al crescente sviluppo degli acceleratori di particelle per la fisica delle alte energie, è nato un nuovo tipo di tecnologia che ha consentito di utilizzare la radiazione, detta “radiazione di sincrotrone”, prodotta da cariche elettriche accelerate su orbite circolari a velocità prossime a quelle della luce. Questo tipo di radiazione ha proprietà uniche che consentono di studiare le proprietà microscopiche di quantità estremamente piccole di materia. Lo spettro della radiazione di sincrotrone è uno spettro continuo, esteso dalle microonde fino ai raggi X, e il tipo di applicazioni di carattere scientifico e tecnologico è davvero molto ampio: dallo studio e caratterizzazione di nuovi materiali, allo sviluppo di moderne componenti elettroniche e magnetiche, dalla produzione di energia, agli studi di biologia con il loro impatto in campo medico, dall’analisi non distruttiva di elementi legati all’ambiente naturale, alla conservazione e studio dei beni culturali, a campioni considerati unici come materiali stellari o di interesse paleontologico. Oggi nel mondo esistono più di 30 acceleratori dedicati alla produzione di luce di sincrotrone e centinaia di linee di luce (i canali che raccolgono la radiazione e la traspor tano fino alle stazioni sperimentali nei laboratori), ottimizzate per selezionare lunghezze d’onda specifiche e dunque campi di applicazione distinti. Un fascio di luce di sincrotrone rende visibile ciò che è molto difficile vedere con una sorgente di luce convenzionale. Ad esempio, una cellula di un tessuto tumorale può essere riconosciuta in mezzo a milioni di cellule sane grazie agli assorbimenti molecolari presenti nel suo spettro infrarosso, detti “biomarker”, legati in modo univoco ad alcune delle caratteristiche del tumore. È inoltre possibile determinare l’efficacia di un farmaco antitumorale a livello cellulare dal modo in cui questi biomarker spettrali vengono modificati dall’azione del farmaco. La sorgente di luce utilizzata per questo tipo di esperimenti deve necessariamente essere collimata per poter misurare segnali deboli, provenienti da una singola cellula, con il minor livello di rumore possibile. I vantaggi della luce di sincrotrone non si esauriscono a livello atomico e molecolare. Recenti sviluppi nelle tecniche di imaging con raggi X a cosiddetto “contrasto di fase” hanno infatti consentito di realizzare immagini di tessuti biologici con una definizione finora mai ottenuta, utilizzando dosi di raggi X estremamente più basse di quelle utilizzate negli ospedali con tubi a raggi X tradizionali, grazie alla brillanza della sorgente. Per trasferire in ambito diagnostico queste tecniche sviluppate nei sincrotroni molti istituti di ricerca, ma anche industrie, studiano il modo per rendere più compatti i dispositivi per la produzione di radiazione. Altri invece, come il sincrotrone di Trieste, dove l’Infn ha sviluppato una linea dedicata all’imaging a contrasto di fase, cercano di portare i pazienti in queste strutture. Le sorgenti di luce di sincrotrone cosiddette di terza generazione, basate sull’utilizzo di magneti ondulatori o wiggler, stanno lentamente facendo spazio ai free electron laser (Fel) (vd. E luce fu, ndr). Questo tipo di sorgenti ha aperto la strada a esperimenti inaccessibili con sorgenti di luce di sincrotrone di terza generazione, come ad esempio la possibilità di girare il “film” di una reazione fotochimica, interpretandone i dettagli nascosti con l’aiuto di sistemi di calcolo dedicati. I primi passi nei processi fotochimici implicano infatti cambiamenti nella struttura elettronica e geometrica su tempi estremamente brevi misurati in femtosecondi (un milionesimo di miliardesimo di secondo), e solo l’avvento di queste macchine di ultima generazione ha consentito di ricostruire con precisione tutta la sequenza della reazione.
 
b.
Spettroscopia al femtosecondo di una reazione chimica: una sorgente laser eccita un fascio molecolare utilizzando impulsi della durata di 10-15 s (femtosecondi). L’immagine di diffrazione della molecola viene registrata utilizzando un impulso laser della stesa durata, consentendo di catturare gli stati intermedi della molecola durante la reazione.
 


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