[as] intersezioni
Attacco al nucleare italiano.

di Marco Pivato
giornalista e autore del libro “Il miracolo scippato” (ed. Donzelli)


a .
Felice Ippolito (a destra) ed Edoardo Amaldi (a sinistra), uno dei padri fondatori dell'Infn, durante una visita alla Villa Farnesina di Roma, sede dell'Accademia dei Lincei.

Nel 1964 avvenimenti, accertati dalla magistratura e dalla storiografia disponibile, raccontano l’attacco fatale all’industria italiana dedita alla produzione di energia nucleare, fino al 1965 la terza nel mondo (in termini di produzione lorda e potenza installata, dietro solo a Gran Bretagna e Stati Uniti). Un attacco, in realtà, effetto collaterale di un altro, frontale, ovvero quello inferto ai soggetti, da Edoardo Amaldi a Felice Ippolito, che il nucleare italiano l’avevano fondato nel dopoguerra. È proprio Amaldi a introdurre Ippolito, di formazione ingegnere e dal 1950 docente di geologia applicata all’Università di Napoli, nella fucina della nuova fisica italiana. In quegli anni l’industria dell’energia nucleare muove i primi passi per iniziativa del Centro Informazioni Studi ed Esperienze (Cise), promosso nel 1946 a Milano da alcuni grandi gruppi privati. Divenuto segretario generale del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (Cnen) – ente evoluto dal Cise, dedito all’allora prospera industria nucleare italiana, e dal quale si costituirà in seguito l’Infn – il 3 marzo 1964 Ippolito viene arrestato per presunte irregolarità amministrative. Per ricostruire le dinamiche che sottendono la caduta di Ippolito, bisogna tornare a qualche anno prima, quando nel 1962 va a buon fine la nazionalizzazione del settore elettrico, con la riforma che contemporaneamente istituisce Cnen ed Enel (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) e che assorbe tutte le aziende elettroproduttrici pubbliche e private, come, per esempio, Finelettrica, Sade ed Edison. Si tratta di un progetto caldeggiato da tempo dalle sinistre, ma reso possibile solo, durante il quarto governo Fanfani, grazie alla linea di collaborazione con l’area progressista, meditato dal segretario della Democrazia Cristiana (Dc) Aldo Moro. È un’operazione che però non va giù a diversi portatori di interessi, in primis proprio le imprese private che si vedono sottrarre il monopolio del a. Felice Ippolito (a destra) ed Edoardo Amaldi (a sinistra), uno dei padri fondatori dell'Infn, durante una visita alla Villa Farnesina di Roma, sede dell'Accademia dei Lincei. settore elettrico.

b.
Il 3 marzo 1964, la Procura generale di Roma arresta Felice Ippolito, con l’accusa di peculato aggravato continuato, falso in atto pubblico e abuso di poteri d’ufficio. Il giorno seguente la notizia dell’arresto campeggia sulla prima pagina del Corriere della Sera.
Ai vertici dell’Enel sono nominati gli stessi ex dirigenti delle citate aziende, come Arnaldo Maria Angelini, ex vicepresidente di Finelettrica, che diventa direttore di Enel, e che se hanno mal digerito la nazionalizzazione tollerano ancora meno la spartizione delle risorse con il Cnen. I rapporti tra i due enti divengono estremamente tesi. Le due nuove istituzioni, che avrebbero dovuto collaborare (il Cnen porta energia elettrica da energia nucleare e l’Enel la distribuisce), si fanno tesi per la pretesa dell’Enel di imporre le proprie politiche economiche su tutta la filiera. Della querelle, a partire dall’estate 1963, comincia a discuterne la stampa. Seguirà, infatti, una raffica di note dell’agenzia di stampa del Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi), nelle quali il segretario Giuseppe Saragat – dell’idea che il nucleare dedicato solo a scopi civili e non militari equivale a “una segheria che produce solo segatura” – attacca il Cnen, annunciando che avrebbe personalmente “vigilato” sull’“ossessione dell’energia atomica” e sullo “sperpero di pubblico denaro”. Il caso del presunto “sperpero di pubblico denaro” da parte del Cnen è ripreso dai maggiori quotidiani di allora, poi approda prima in Parlamento, infine in Procura. Al termine delle inchieste Ippolito è processato e condannato a una pena detentiva, pecuniaria e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, anche se, dopo due anni di prigione, riceverà la grazia proprio da Saragat, divenuto, nel frattempo, Presidente della Repubblica. Ma già prima, quando è Indro Montanelli a seguire la cronaca per il Corriere della Sera, appare chiaro che il caso Ippolito poco ha a che fare con gli interessi scientifici e l’energia nucleare: la battaglia muove dalle faide interne alle forze politiche – le correnti “progressiste” della Dc contro quelle “conservatrici” e fobiche per l’apertura al centrosinistra – e dal polverone seguito alla nazionalizzazione. Dalla parte di Felice Ippolito si schiera l’Europa, con il presidente della Commissione dell’Euratom Etienne Hirsch, che al governo italiano non fa mancare di notare la stima internazionale che il Cnen aveva assunto sotto la guida del suo segretario. Simile posizione è espressa nell’indignato appello che sessantacinque fisici accademici italiani lanciano a favore di Ippolito in una lettera al Tribunale, sottolineando come in quegli anni “il Cnen ha salvato il prestigio scientifico del Paese” e come “le somme impegnate nella ricerca hanno avuto un rendimento […] maggiore di quello ottenuto in ogni altro Paese”. Ma l’epilogo più efficace del caso Ippolito forse lo scrive Sergio Romano: “Quando ebbi occasione di lavorare con Saragat, giunsi alla conclusione che il leader dei socialdemocratici aveva dato troppo ascolto a qualche interessato consigliere e si era convinto che Felice Ippolito sarebbe diventato, come Enrico Mattei, uno zar dell’energia […]. Allorché divenne presidente della Repubblica qualcun altro, per fortuna, dovette spiegargli che era ora di chiudere quella vicenda”.

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