[as] con altri occhi
Il gioco più bello del mondo.

di Sonia Bergamasco
attrice e regista

Quando il tram n.18 ci lascia al capolinea, ad accoglierci c’è la bella struttura in legno del Globe. Io e la mia amica Laura Piazzi ci guardiamo attorno, indecise su dove dirigerci. Ci raggiunge in quel momento Paola Catapano, trafelata e sorridente. È lei, storica “colonna” dell’ufficio comunicazione del Cern di Ginevra, che ha coordinato il nostro arrivo e ha predisposto il fittissimo programma della nostra visita. Sarà una due giorni di esplorazione ricca di appuntamenti: Guido Tonelli, già spokesperson di Cms, fisico di fama mondiale, sorridente, aperto, spiritoso, sarà il nostro Virgilio e ci guiderà nella “discesa al centro dei giochi”. Beninteso, non c’è nessun Dante da accompagnare, semplicemente due persone curiose, certe che quello che verrà man mano mostrato loro sarà qualcosa che le riguarda. E, in effetti, uno strano senso di familiarità mi accompagna attraverso le sale, malgrado lo sforzo continuo di attenzione alle descrizioni complesse e specialistiche del lavoro di fisici, ingegneri, informatici e tecnici. Mi sento bene, qui, sento che c’è una ricerca che poggia su elementi comuni anche al mio lavoro. Intuizione, pratica intensa, revisione continua. Dialogo, senso critico, passione. Quello che mi risulta chiaro, da subito, è che questa comunità internazionale - variopinta e trasversale - si è immaginata, progettata e costruita il gioco più bello del mondo. Il gioco, qui al Cern ha, secondo me, a che vedere con un’infanzia del pensiero capace di immaginare mondi e di avvicinarsi a un’idea di presente in continuo divenire: quella del gioco, appunto - roba seria, s’intende. Contrapposta all’immagine del gioco “bambino”, l’idea di universo proposta da Guido Tonelli è la seguente: il nostro è un universo vecchio, freddo, vuoto. Mi chiedo quale spazio ci sia in questo vuoto siderale per il mondo dei suoni, concepiti e percepiti dagli esseri umani. È una domanda insistente, la mia, da musicista. Non mi arrendo all’idea di uno spaziotempo privo di musica, non riesco a pensarlo. La musica, in verità, scorre impetuosa tra le righe del racconto di Guido Tonelli, ma anche di Ludovico Pontecorvo, coordinatore tecnico di Atlas, e di moltissimi “cittadini“ della comunità del Cern. Musica ascoltata e praticata. Per le celebrazioni dei sessant’anni della fondazione del centro sono stati organizzati anche alcuni concerti in cui compositori e musicisti hanno dato vita a una “sonificazione” dei dati di rilevazione scientifica. Altri esperimenti artistico/ musicali sono in corso e sono i benvenuti, qui al Cern. La nostra visita prosegue attraverso i settori principali della grande struttura che si estende come un territorio carsico sopra e sotto terra, e per decine di chilometri, tra la Svizzera e la Francia. E di ora in ora l’immagine di un organismo vivente di enorme complessità si delinea con sempre maggiore chiarezza. La struttura direttiva, all’interno del centro, è chiara, ma non è chiaro come possano convivere anime così diverse e articolate all’interno di un’unica comunità, in un equilibrio che pare perfetto. Deve per forza trattarsi di un equilibrio instabile, come quello del funambolo sul filo. Un errore da niente e tutto è perduto. Amo molto l’immagine dell’uomo sul filo. È la mia immagine guida quando entro in scena, l’unico modo per me di stare in rapporto con il racconto e con il pubblico. Un rapporto rischioso. Qui sento materializzarsi questa immagine, mentre scendiamo “in caverna”, per arrivare alle soglie dell’“esperimento”, che non potremo vedere dal vivo perché il grande acceleratore è, in queste settimane, in piena attività e non è quindi accessibile. Cogliamo però, nelle gigantografie di dimensioni 1:1, realizzate per dare ai visitatori un’immagine concreta della struttura, l’idea di profonda armonia che governa l’esperimento. La struttura dei rivelatori Atlas e Cms sprigiona una carica quasi mistica, sono dei monumentali mandala, ai cui piedi migliaia di donne e di uomini innalzano la loro preghiera laica.
 
b.
Sonia Bergamasco durante la sua visita al Cern, con Guido Tonelli (al centro) e Ludovico Pontecorvo (a destra).
 
Delle migliaia di scienziati al lavoro, i giovani costituiscono una parte importante, anzi fondamentale. Sono loro l’energia più esplosiva dell’“esperimento” Cern. I loro calcoli, le loro analisi e le loro domande costituiscono la materia prima essenziale per ogni nuovo passo della ricerca. E la proposta di un ventenne può mettere in crisi la riflessione decennale di un professore “affermato”. E, incredibilmente, al Cern, questa proposta “giovane”, se ha le basi scientifiche per reggere al metodo sperimentale, verrà accolta e realizzata. Prendiamo nota tutti, si fa così: è possibile, è giusto, ed è anche vantaggioso. La nostra due giorni di “immersione” si chiude con un incontro informale con alcuni rappresentanti della comunità italiana, la seconda per numero all’interno del centro, e si dipana allegra e vivace attorno a un tavolo della sala mensa. Perché siete qui, ci chiedono. Che cosa cercate al Cern, da dove nasce il desiderio di conoscere questo luogo (luogo che è meta quotidiana di visite da parte di comunità di studenti, studiosi, curiosi, gente, provenienti da ogni parte del mondo). Sono consapevole del privilegio che mi è stato accordato, quando nel rispondere alle domande di un’intervista sulle pagine di “Io donna” (l’inserto settimanale del Corriere della Sera, ndr) esprimevo il mio (grande) desiderio. Eccolo esaudito, sono qui, al Cern. E ora? Che cosa ho trovato? Questo luogo che avevo immaginato, che avevo anche sognato, di cui mi ero documentata e di cui avevo molto letto. Ecco la risposta: corrisponde all’immagine che me ne ero fatta. Aderisce alle pareti della mia stanzetta segreta. E questo mi rende felice. Le persone che vi lavorano, nei vari settori che concorrono al funzionamento di questo “organismo”, sono animate da una carica positiva che le rende speciali. Persone che amano profondamente il loro lavoro - sembra scontato, ma non lo è. Per giorni non mi abbandonerà un sorriso piccolo e persistente. Una luce. La certezza che c’è qualcosa di sacro nelle particelle di cui siamo fatti. E questa cosa è un bene condiviso.
 
 

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