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Messaggeri d'oriente. Intervista a Stefano Mastroianni, ricercatore dell'esperimento Argo.

di Francesca Scianitti

Il viaggio, dalle pendici del Vesuvio agli altipiani del Tibet, dura tre giorni. All'arrivo, gli spazi lasciano senza fiato. Non solo per l'altitudine che rende l'aria rarefatta. "[…] Tutto ciò che vedi è sconfinato e si ripete in modo simile in ogni direzione. È meraviglioso, ma stordisce". Stefano Mastroianni è napoletano: le sfumature mediterranee del suo accento aumentano i contrasti del suo racconto. Specializzato nella progettazione dell'elettronica di lettura per i rivelatori di particelle, lavora come ricercatore tra Napoli e un piccolo villaggio del Tibet, YangBajing, a 4.300 metri sul livello del mare. Qui, più di dieci anni fa è nato l'esperimento Argo. Ma come si arriva, giovanissimi, a lavorare a un esperimento localizzato in un ambiente così distante e così estremo? Stefano sorride sornione. "È stata per lo più una fortunata coincidenza – racconta – la progettazione vera e propria di Argo è cominciata nel 1999, proprio nell'anno in cui avrei dovuto scegliere un argomento per la mia tesi di laurea. E l'opportunità di lavorare ad Argo, riunendo in sé le mie tre principali passioni, la fisica, l'elettronica e la montagna, mi sembrò perfetta." Argo rivela raggi cosmici e gamma primari a energie superiori ad alcune centinaia di miliardi di elettronvolt, misurando le particelle cariche generate dalla loro interazione con l'atmosfera. E la scelta del luogo non è casuale. "In alta montagna – spiega Stefano – diminuisce l'assorbimento delle particelle secondarie da parte dell'atmosfera. I rivelatori coprono integralmente i 6.500 mq di superficie occupata da Argo, consentendo di rivelare anche sciami con un numero di particelle molto piccolo. è quindi possibile lavorare a un'energia di soglia dei raggi cosmici primari più bassa rispetto agli apparati al suolo tradizionali. "In questo modo – continua – Argo è in grado di aprire una finestra sul cosmo ancora poco esplorata, al confine tra le misure dirette, con satelliti, e quelle indirette, con altri apparati al suolo. Il tipo di radiazione rivelata da Argo fornisce preziose informazioni sulle sorgenti e sui meccanismi di accelerazione dei raggi cosmici, per esempio in supernovae, stelle di neutroni e buchi neri." Ma se per l'astronomia gamma e per la fisica dei raggi cosmici l'alta quota è ideale, in un ambiente così duro, non mancano le difficoltà e la passione per la fisica non è la sola qualità richiesta. "Serve un po' di tempo perché il corpo si abitui a rinunciare alla solita quantità di ossigeno – racconta Stefano – per un paio di giorni si lavora con l'affanno e il corpo ti fa lo scherzo di svegliarti di soprassalto nella notte con la sensazione di non avere abbastanza aria per respirare. Poi tutto torna normale, anzi quasi meglio. Dopo tre settimane in queste condizioni, quando gioco a calcetto con gli amici, al rientro, sono un vero fenomeno. È l'effetto doping d'alta quota, ma sfortunatamente dura poco." L'ambiente è estremo nel bene e nel male. A causa delle distanze e della complessità del viaggio, infatti, l'organizzazione del lavoro è stata particolarmente delicata. "Una volta provato e assemblato in Italia, il materiale è stato spedito in Tibet in container, via nave verso Pechino e poi in treno e camion. Il viaggio, così, dura circa 3 mesi. Questo non ha escluso imprevisti nell'approvvigionamento del materiale e, talvolta, per ovviare abbiamo dovuto sacrificare spazio prezioso in valigia. Il luogo, poi, ci ha costretti a mantenere fede a obiettivi minimi irrinunciabili: la robustezza e la ridondanza nella progettazione, la possibilità di controllo e intervento remoto, via computer, per essere il più possibile indipendenti dalla presenza umana qualificata". Stefano ha dedicato gli anni delle tesi di laurea e di dottorato alla progettazione e installazione del sistema di selezione degli sciami di particelle generati dai raggi cosmici primari, la cosiddetta elettronica logica di decisione (o anche trigger), e al controllo dell'acquisizione dati. Gli sciami di particelle osservati da Argo spaziano da quelli con densità di particelle molto bassa, come quelli prodotti da fotoni di più bassa energia, sino a sciami molto densi, come quelli da raggi cosmici di energia elevatissima. "Argo deve poter rivelare sciami composti da meno di un centinaio di particelle distribuite sull'intera superficie del rivelatore – spiega Stefano – fino a densità di oltre un migliaio di particelle per metro quadro. Per questo è stato necessario mettere a punto più canali di selezione degli sciami – i trigger – basati sulla densità di particelle. Dopo il dottorato – continua – mi sono occupato del sistema di acquisizione dati dell'esperimento, che provvede alla raccolta delle informazioni sulla posizione e tempo di arrivo delle particelle dello sciame, all'archiviazione temporanea e al successivo trasferimento ai centri di analisi di Pechino e al Cnaf di Bologna (Centro Nazionale per la Ricerca e Sviluppo delle Tecnologie Informatiche e Telematiche)". In contatto più diretto con gli obiettivi di fisica per i quali Argo è stato progettato, oggi Stefano lavora all'analisi dei dati, ma anche all'implementazione di un nuovo sistema di elettronica di lettura del rivelatore per estenderne l'intervallo di energie accessibili. "Passando da alcune centinaia di miliardi di elettronvolt (GeV) a milioni di miliardi di elettronvolt (PeV) – spiega – sarà possibile studiare con lo stesso rivelatore tutto lo spettro energetico dei raggi cosmici." Argo continuerà a prendere dati per altri due anni. E poi? "I prossimi due anni non saranno una fase di attesa. Saremo impegnati più che mai nel completamento della raccolta dei dati e nelle analisi che ci suggeriranno come migliorare il rivelatore stesso per renderlo più sensibile verso i nostri obiettivi di fisica. I risultati, poi, ci diranno come comportarci per il futuro, anche perché la fisica delle astroparticelle è davvero in rapida evoluzione". Stefano ha 34 anni e il futuro sembra non preoccuparlo affatto. Al termine del suo racconto il motivo di questa mancanza di esitazione è più chiaro ed è più che mai evidente la forza che deriva dall'aver contribuito, già giovane laureando, a posare la prima pietra di Argo.



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